In una roboante off-season, segnata da numerosi scambi tra franchigie a dir poco surreali, che hannpo proiettato ancora una volta sulla lega NBA luci non proprio edificanti, c’è chi da inguaribile romantico crede ancora negli uomini di sport che preferiscono essere una bandiera eterna ai confini dell’Impero piuttosto che rappresentare la figura del plebeo nell’Urbe che ambisce alla gloria passeggera e fugace dei famosi “5 minuti di gloria”.
Alto, biondo, dinoccolato e con movenze da ballerino:Dirk Nowitzki sembra un eroe delle tribù germaniche che si scagliarono contro i romanici invasori. Nelle sue vene scorre il sangue di Arminio, e infatti una Teutoburgo sportiva lo ha reso immortale. Un nome ed un volto più tedesco del suo sarebbero difficili da immaginare, quasi una caricatura alla Bonvi, stereotipo totale del uomo germanico.
Arriva nella NBA nel lontano 1998, approda a Dallas frutto di una trade sciagurata, a detta degli esperti forse la peggiore di sempre, da subito si intravede la grandissima classe e tecnica di questo armadio a due ante. Nowitzki deve solo essere sgrezzato, e come marmo nelle mani di Michelangelo, condotto allo splendore. Il suo demiurgo è Geschwindner che lo svezza cestisticamente ed umanamente, capendo di cosa ha bisogno il ragazzo prodigio: non solo tecnica ma anche pathos. Qui la grande intuizione di Geschwindner: creare un giocatore atipico per il tempo, un lungo tiratore, che non attacchi il ferro ma che ferisca dal medio e lungo raggio.
Maestro ed allievo lavorano molto sull’equilibrio, sul tiro, sul rilascio anticipato del pallone, la posizione delle braccia sopra la testa, altissime ed imprendibili, il piede perno che si flette sotto il corpo intento a creare una parabola molto curva e l’altra gamba volante a protezione del corpo.
Questa tecnica di tiro sarà la base di tutti i successi di Dirk Nowitzki. L’inizio in NBA naturalmente non puo’ essere facile, sia perché Dallas non ha mai una squadra competitiva sia perché lo stesso Dirk ha difficoltà ad usare il suo fisico in NBA e la pressione generata dall’essere il numero 9 della scelta del draft. Il suo primo allenatore è il leggendario Don Nelson, che da subito ne comprende il potenziale pur faticando nel sfruttarlo a pieno, anche perché Dirk è assai carente dal punto di vista difensivo.
Tutto cambia con l’arrivo del nuovo presidente, Mark Cuban. Tifoso sfegatato dei Mavs (quasi un personaggio nello stile di Anconetani), Cuban proietta la franchigia nel nuovo millennio con investimenti importanti creando un ambiente perfetto per alimentare la voglia di vincere. Nowitzki è stato il maggiore beneficiario della sua venuta. Il tedesco migliora sensibilmente e nel giro di 5 anni trascina i Mavs alla prima finale NBA della loro storia.
Wunder Dirk è il deus ex machina dei cowboys texani ma proprio quando la strada sembra spianata sul 2-0 nelle prime Finals contro i Miami Heat del 2006, il gigante tedesco è in affanno. Non riesce a giocare bene ed il pallone non entra, i suoi compagni privati della sua luce e della sua leadership si schiantano e consegnano un insperato anello agli Heat che ribaltano e chiudono la serie sul 4-2.
I Mavs accusano il colpo, lo stesso Nowitzki è frustrato ed abbattuto. Cio’ nononostante la stagione 2006-2007 coincide con una serie di record personali e di franchigia mai eguagliati prima. Vincono la stagione regolare con 67 vittorie e Dirk è nominato MVP della stagione regolare, primo ed unico europeo a riuscirci. Ma un’altra sconfitta frustrante è dietro l‘angolo: gli uomini di Cuban vengono sconfitti 4-2 dalla testa di serie numero 8; anche questo rappresenta un precedente nei Playoff.
La striscia negativa dei Mavs continua fino alle stagione 2010-2011. Per Nowitzki paradossalmente però sono stagioni preziose. Macinando record su record, è il primo europeo in tutte le voci statistiche. Manca la consacrazione definitiva, manca l’apogeo che puo’ consegnarlo alla storia. L’appuntamento si protrae fino alla stagione 2010-2011, per l‘appunto. In casa Mavs arrivano un nuovo centro, due vecchie glorie quali Kidd e Stojakovic, ed il piccolo, grande Terry.
Dallas parte agguerrita in vista dell’assalto al titolo. Wunder si infortuna a metà stagione e perde 9 partite.
Rientra in tempo per i Playoff, dove va incontro al suo destino. La banda texana elimina Portland, i Lakers campioni in carica ed Oklahoma in finale di conference. Nelle Finals ritrovano i Miami Heat con i “big three” James, Wade e Bosh in missione. Dallas si trova sotto 2-1 e Wunder con 39 di febbre, proprio come Jordan, non abbandona i suoi compagni ed è artefice del suo “Flu Game” che porta la serie sul 2-2. La contesa poi si chiuderà sul 4-2. Naturalmente è lui il migliore giocatore della serie finale, primo europeo, again. Un dato impressionante è il seguente, Nowizki segna 62 punti totale nei soli quarti periodi delle finali.
Da lì in poi Dallas cede il passo e non riesce a confermarsi ad alti livelli. Si verificano molti cambi nel roster e non sempre forieri di successi. Solo Dirk Nowitzki resiste, riducendosi costantemente l’ingaggio fino al minimo salariale per poter permettere a Dallas un salary cap competitivo e sposando il progetto societario di “tanking” (ossia stagioni perdenti pianificate a tavolino per avere scelte migliori nel Draft). Perché se nelle tue vene scorre il sangue di Arminio, non esiste altro che la battaglia e il sacrificio per arrivare al successo e alla gloria eterna. Tutto questo non lo puoi comperare, al limite barattarlo per solo 194 milioni di dollari. I soldi a cui Dirk ha rinunciato per amore dei Mavs.