Papelitos
21 Novembre 2022

Novak Djokovic è il vero numero uno

Torino sancisce le gerarchie, e la giusta chiusura dell'anno.

Il Master di fine anno (noi romantici suole chiarlo così) se lo aggiudica, come ovvio che sia, Novak Djokovic. Cinque vittorie su cinque, con l’ultimo atto, messo in scena contro il generosissimo seppur improponibile (al suo cospetto) Casper Ruud, affrontato e vinto senza colpo ferire, relegato a mera comparsa, a inerme fantasma. Affrontato e vinto con il piglio del più forte, del numero uno, che con il trionfo di ieri sera, il sesto alle Finals, eguaglia il record di Roger Federer. Ma come, si solleveranno indignati gli statistici progressisti, non è Carlos Alcaraz il numero uno? Già, numero uno e Carlos Alcaraz, che in un triste futuro lontano potrebbero pure starci nella stessa frase ma che ora, quest’anno, adesso, è solo la registrazione ottusa dei matematici, la storia di mille, farseschi, riassunti.

In una stagione che, fino alla vigilia dell’atto finale in quel di Torino, poteva veder occupata questa posizione (la numero uno) financo dallo stesso Casper Ruud oltre che da Rafa Nadal, sempre sul punto di morire e lasciarci orfani del suo tennis e sempre puntualmente pronto a rialzarsi e camminare. In una stagione che ha visto soprattutto il più forte, poiché Novak Djokovic è il più forte, impossibilitato a partecipare a due Slam (Australian e U.S. Open) e quattro Master 1000 per uno sproporzionato giustizialismo sanitario. Non si vuol fare in queste righe l’apologia sulla scelta di vaccinarsi o meno, poiché qui c’è in ballo qualcosa di difficilmente comprensibile a molti, la libertà di scelta.

Libertà di scelta che Novak ha portato avanti sino all’ultimo, e che ha scatenato la ferocia e la rabbia che i media (senza virtù) gli hanno scagliato contro sin dagli albori australiani; libertà di scelta che ha fatto a pugni con l’ipocrisia inclusiva a stelle e strisce, la quale permette ai non vaccinati di giocare a tennis ma vieta ai non vaccinati di varcare il confine; libertà di scelta ancora che si è scontrata contro la pavidità e retorica dei colleghi e avversari – se togliamo Nick Kyrgios che di questo tennis, forse, non ha mai fatto parte.



E inerme al cospetto di (tutti) questi avversari, Novak, si è visto costretto a disertare due Slam che avrebbe potuto tranquillamente aggiudicarsi – soprattutto quello australiano, che aveva vinto otto volte nel decennio 2011-2021. Come si è altresì visto costretto a rinunciare ai punti in classifica, 2000, che gli sarebbero spettati con la vittoria di Wimbledon, il tutto per la dichiarazione di guerra sportiva dell’Inghilterra alla Russia, che ha portato da un lato a un torneo senza russi e bielorussi, dall’altro al più grande Major del mondo “squalificato” dall’ATP e dunque senza punti in palio.

Speriamo di essercelo lasciato alle spalle, allora, questo moralismo isterico applicato ai campi da tennis.

D’altronde, la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione: Nole potrà partecipare agli Australian Open e poi probabilmente varcare il confine statunitense. Spiace per i moralisti nostrani, mai interessatasi al tennis come quest’anno, che già s’intossicano di bile; e anche per tutti coloro che parlano della riammissione australiana di Nole come di “uno schiaffo a chi si è vaccinato”. E spiace anche per Alcaraz e per l’ansia di sostituzione nel tennis, di nuovi fenomeni che detronizzino un re spedito in esilio. Un re tornato adesso al posto che gli compete, in classifica e nella storia. Che senza gli eroi che possono parteciparvi, è soltanto una barzelletta.

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