Papelitos
13 Luglio 2021

Quanto vale una parata?

12 miliardi, non 12 milioni.

Su Donnarumma si dice tutto e il suo contrario. Non entro qui nella questione, né voglio immaginare come si sarebbero comportati coloro che lo criticano – o almeno una buona parte di essi – se gli emiri gli avessero offerto i soldi proposti al portierone azzurro (sì, lo so che dovrei chiamarlo Gigio, o Gigione, o Super Gigio ma, da quanto ricordo, non ho mai avuto l’onore di conoscerlo né tanto meno di mangiarci insieme). Detto questo, a quanto pare nelle prossime ore sarà ufficiale il passaggio dell’estremo difensore del Milan al PSG, dove percepirà un ingaggio di 12 milioni di euro a stagione (netti, of course). Ma davvero ancora ci scandalizziamo per i numeri dell’industria del pallone, pensando che si tratti di cifre astronomiche? Davvero pensiamo che il calcio sia finito per questi stipendi?

Si parli invece di un altro 12, numero che a quanto pare ricorrerà spesso da oggi in poi, al quale però andranno aggiunti tre zeri ai sei del contratto di Donnarumma. Dodici miliardi, infatti, è la cifra che gli analisti di Coldiretti hanno stimato come rimbalzo economico dovuto alla vittoria dell’europeo: una cifra mostruosa e garantita anche e soprattutto «grazie alle parate ai rigori di Donnarumma». In poche parole, quel tuffo a terra verso sinistra (si riduce a questo a voler esser cinici) ha fruttato tanti bei soldoni a un’Italia lavoratrice che cerca di riprendersi da questi due anni bui. Che Donnarumma lo abbia fatto consapevolmente?

No di certo, figuriamoci, non aveva capito neanche di aver parato il rigore decisivo; ma quando, si spera presto, le cose cominceranno ad andare per il verso giusto, secondo queste stime ci sarà l’odore dei guanti e dell’erba sull’export italiano.

Vincere insomma porta soldi: tutti vogliono i prodotti vincenti, degli Stati vincenti, costruiti da persone vincenti. Oggi va così, che ci piaccia o no. Il contadino che raccoglierà la mela in Trentino e che la manderà in Russia lo farà, idealmente per il consumatore sovietico, con la maglia di Marco Verratti, con la stessa eleganza, con la stessa cattiveria. Così il pescatore di Mazzara del Vallo tirerà su le reti, nell’immaginario tedesco, non con la forza bruta che richiederebbe lo sforzo in questione, ma con la leggerezza di un tiro a giro di Lorenzo Insigne. Dodici miliardi di Pil, insomma, per qualcosa che “non esiste”. Per un’idea d’Italia, rinforzata o meglio rispolverata grazie al trionfo europeo. Per 22 uomini che corrono dietro a un pallone e fermano un intero Continente davanti a un televisore.



Tutto ciò stimola diversi ragionamenti: è vero che ormai viviamo nei tempi della finanza creativa, sempre più slegata dall’economia reale, ma colpisce che – secondo queste stime – la crescita di 0.7% del PIL vada a premiare l’Italia produttiva, il Made in Italy. E allo stesso tempo fa impressione la volatilità dell’economia, basata anche sul tuffo di un portiere. E se invece avessimo perso? Se Donnarumma si fosse buttato dall’altra parte? Se il calcio fosse realmente “tornato a casa”? 12 miliardi in meno per noi, i contadini che tornano a essere l’ultimo legame con la terra (quindi emarginati e non più idealizzati), i pescatori di Mazzara da ricordare solo quando vengono rapiti dai libici. Questo è certamente vero ma non dipende dal calcio, bensì dal sistema economico, dalla società dell’immagine.

“L’anno successivo all’ultima grande vittoria degli azzurri al campionato mondiale di calcio del 2006 in Germania, l’economia nazionale è cresciuta in modo sostenuto con un aumento record del 4,1% del PIL a valori correnti mentre il numero di disoccupati è diminuito del 10%, secondo l’analisi della Coldiretti che evidenzia peraltro che si tratta di un risultato registrato alla vigilia di una pesante fase di recessione mondiale”. 

Insomma, la prossima volta che saremo tentati di analizzare il football solo per sé stesso e non più per i suoi effetti e indotti, proviamo a fermarci un attimo e ad ampliare il discorso. Quando dal nostro smartphone ultimo modello definiremo immorale l’ingaggio di Donnarumma, cerchiamo di capire che immorale non è Donnarumma né il calcio stesso, ma i funzionamenti economico-finanziari delle società occidentali. Anche perché altrimenti continueremo a vedere solo la pagliuzza e non l’immensa trave che abbiamo negli occhi: una trave che, fino a quando resisteva ancora l’ideologia, qualcuno chiamava capitalismo.

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