Volendo giocare con la storia, a quasi centotrenta anni di distanza – da quello ben più famoso e drammatico – siamo di fronte a un nuovo Affaire Dreyfus. Fortuna vuole che non ci sia nessun accusato ingiustamente di tradimento alla patria, ma solo il “caso” legato ad un omonimo imprenditore francese Alexandre Dreyfus: questi è il fondatore della piattaforma Socios.com specializzata in Fan Token (una sorta di azionariato popolare su blockchain), la quale è stata scelta dall’Inter come nuovo sponsor dopo ventisei anni di Pirelli.
Una decisione sofferta a cui però la società meneghina è stata costretta, considerata la realtà finanziaria e la conseguente, ed innegabile, ricerca di introiti; anche perché venti milioni all’anno per tre anni fanno sessanta milioni, e diciamo che potrebbero pure fare comodo. Così Socios.com sale al terzo posto degli sponsor più retributivi di tutto il campionato, alle spalle solo di Jeep (45 milioni) e Mediacom (25 milioni). In più, per la stagione 2021/2022, decorerà la maglietta dei campioni d’Italia con la scritta Fan Token $INTER, un’opzione da valutare per i restanti due anni di collaborazione.
L’idea alla base del Fan Token è quella di far interagire quanto più possibile il tifoso con la propria squadra, coinvolgendolo con votazioni indette dalla società e riservate ai soli possessori di queste criptovalute: tanti più Fan Token si possiedono, tanto più peserà il proprio voto. Per avere una maggiore incidenza basta andare sull’app di Socios.com e acquistarne il numero che si desidera – purché effettuati con $CHZ, la moneta virtuale della blockchain di Chiliz che, al cambio attuale, vale 5,14 CHZ per un euro. Sondaggi, premi VIP, promozioni sul merchandising e quant’altro saranno una prerogativa dei tifosi digitali, la cui opinione conterà anche per quel che riguarda il marketing della società, il design per lo stadio, eventuali inni celebrativi e via dicendo.
Addirittura Dreyfus ha specificato che «una volta i tifosi dell’Apollon Limassol hanno usato i Fan Token per scegliere la formazione per un’amichevole». Tutto bello, quindi, con il tifoso finalmente al centro. Già, ma quale tifoso?
«Nel 2021 cos’è un tifoso?». La domanda viene rimbalzata dallo stesso Alexandre Dreyfus al giornalista della Gazzetta dello Sport Filippo Conticello durante la loro chiacchierata, uscita ieri sulla Rosea. Soprattutto, continua Dreyfus, «cosa sarà domani?». E qui scoppia il (nuovo) caso: «Il nostro progetto è per la generazione prossima, più giovane, digitale, che consuma lo sport mentre vede una serie su Netflix o gioca a Fortnite. Dobbiamo portarla [la tecnologia] al calcio e non solo alle partite. C’è il tifoso nato interista, che lo sarà sempre, e c’è quello che non lo è ma magari con la tecnologia può diventarlo. Guardiamo a lui, in un contesto globale». La strada è tracciata, dunque.
In base a tale criterio il tifoso del futuro – o forse già del presente – non si avvicinerà a una squadra per una questione identitaria, territoriale o ereditata da qualche parente. D’altronde, come aveva specificato Dreyfus stesso in passato: «con i fan token è possibile monetizzare mercati precedentemente non utilizzati: per i più grandi club del mondo, infatti, il 99,9% dei tifosi non entra mai fisicamente allo stadio, e non si trova nemmeno nella stessa città o paese della squadra del cuore».
Anche se, ammette il CEO di Socios.com, nessun nuovo Lukaku sarà comprato in criptovalute, dato che «non sarebbe una vera innovazione». Eppure un precedente in questo senso si è già consumato in terza divisione spagnola con l’ex Levante, Sporting Gijon e Real Madrid B David Barral, il cui trasferimento al DUX Internacional è stato pagato interamente in criptovalute (non a caso lo sponsor della squadra spagnola è Criptan, un’azienda attiva nella compravendita di bitcoin). Tutto torna. Nel calcio questa operazione ha rappresentato finora un unicum – a differenza di quanto accade nel football americano – e non è più da escludere che anche le nostre compagini, un giorno, possano utilizzare le cripto monete per realizzare i sogni dei propri tifosi.
Sicuramente il prototipo di questo nuovo sostenitore viene incarnato da Dreyfus stesso: «Se l’Inter vincerà di nuovo lo scudetto? Ma non la conosco! Non sono esperto, sono solo un creativo appassionato di tecnologia. So però che un giocatore turco è passato dal Milan all’Inter, giusto?».
Sì, esatto, e aggiungiamo che non è costato neanche un euro, pardon un bitcoin. Solitamente quando si entra a contatto con un’azienda è cosa buona e giusta studiarne la storia e le attività, anche se si è uno sponsor esterno; al contrario Dreyfus dimostra platealmente quanto, per lui, un club valga un altro. Quello tratteggiato nell’intervista dal patron di Socios.com (che detiene Fan Token anche di Psg, Barcellona, Juventus e Milan) è un concetto di calcio innovativo, ma ormai neanche troppo, che ormai abbiamo imparato a conoscere. Sì, perché se il (nuovo) caso Dreyfus fosse circoscritto all’Inter si potrebbe parlare di un fenomeno interessante, e invece la “rivoluzione” è già qua, inarrestabile.
Nel Regno Unito, per esempio, il fascino per i bitcoin ha già sedotto tanti. Il Southampton è diventata la prima società calcistica a farsi pagare interamente in criptovalute da uno sponsor, Sportsbet.io della Coingaming Group. Si tratta dell‘accordo più proficuo nella storia del club, ben felice di «trarre vantaggio dalla nuova valuta». Stessa strategia adottata dal club scozzese Ayr United, che ha piazzato la Quantocoin – appartenete alla compagnia Gibraltar United, pioniera nel pagamento in bitcoin dei calciatori – sulla propria maglietta, così come il Wolverhampton ha fatto con la piattaforma CoinDeal.
Ma il tutto è iniziato tre anni fa a Londra, neanche a dirlo, quando l’Arsenal ha annunciato la storica partnership con CashBet e il lancio della relativa criptomoneta CashBet coin. Seguirono poi altri club, quali Brighton & Hove Albion, Cardiff City, Crystal Palace, Fulham, Leicester, Southampton e Tottenham, con l’agenzia di trading online eToro, che all’epoca contava dieci milioni di utenti.
Accordi e collaborazioni che hanno attraversato la Manica e sono sbarcati in Europa. In Olanda l’Az Alkmaar ha deciso di stringere rapporti con Bitcoin Meester, diventando così la prima società a pagare gli stipendi dei propri giocatori con questa valuta. L’Italia come abbiamo visto non fa eccezione, e l’Inter non è che l’ultima società ad essersi aperta al mercato digitale. Nella prossima stagione ad accompagnare la Roma in ogni partita ci sarà la DigitalBits, fondazione no profit californiana che gestisce oggetti digitali sul circuito di blockchain, utilizzato dalle varie aziende come trampolino di lancio per i propri prodotti, dai token ai non-fungible token (NFT). Questi ultimi, poi, sono entrati di diritto nella storia del calcio nostrano dopo l’intesa raggiunta tra la Serie A e Crypto.com per la sponsorizzazione dell’ultima finale di Coppa Italia, vinta dalla Juventus sull’Atalanta.
Un primo passo per testare i benefici di questo tipo di partnership e che dovrebbe prevederne di ulteriori, sulla scia di quelli siglati da Socios.com con i club. Ci sono poi i casi di Juventus e Milan, molto attratte dall’idea dei Fan Token.
Oggi in definitiva non si firmano solo accordi per le tasche delle società, come giusto che sia, ma si propone un nuovo modello già con il “tifoso” di domani: non più schiavo di una noiosa partita – addirittura per 90 minuti, per carità – ma multitasking, capace di svolgere più funzioni insieme; non solo guardare un incontro, ma nel frattempo seguire una serie o sparare in un videogioco. Così crolla il modello stesso di tifo, “l’ultima narrazione collettiva rimasta”, che si trasforma in un affare e in un consumo privato. E si mette in discussione anche il calcio stesso, che da fenomeno sociale e condiviso si trasforma in spettacolo da seguire isolati e divisi. Ciascuno con il proprio Fan Token, magari collegato su Zoom come accaduto durante il coronafootball.
Il pallone, pur con tutti i suoi difetti strutturali, fino a prima della pandemia era forse l’ultimo rito rimasto. In un mondo che corre all’impazzata, noncurante del muro che ha davanti a sé, rappresentava un’ora e mezza in cui il tempo assumeva un altro valore. Tutto l’opposto del modello dei vari Dreyfus, che quel tempo vogliono spremerlo e stravolgerlo. Non si tratta come detto solo di fare soldi con il football – questo, ripetiamo, è naturale – ma di modificare il gioco stesso per moltiplicarli, quei soldi. Il nuovo caso Dreyfus allora non ha nulla a che vedere con errori giudiziari, viziati da antisemitismo e revanscismo per una battaglia persa, ma allo stesso modo è una cristallina rappresentazione dei tempi per corrono: J’accuse…!, avrebbero detto un tempo. Almeno quello.