Papelitos
17 Febbraio 2020

Vlahovic contro lo stato dei perbenisti

Lezioni di etica non richieste da un sistema che non ha più argomenti.

L’ennesimo caso di un calciatore contro l’intero sistema mediatico, culturale e sportivo italiano. Come il più scontato dei film in salsa USA, Il colpevole senza alibi, già condannato in contumacia prima di apparire ai microfoni delle tv nostrane, è Dusan Vlahovic, reo di aver esultato in “faccia” alla curva dei tifosi della Sampdoria in seguito al primo dei suoi due gol realizzati a Marassi.

 

Nei tribunali televisivi, questo atteggiamento è stato subito bollato come anti-sportivo, i soloni del calcio nostrano hanno issato gli scudi e chiamato la carica contro il talento viola e il suo comportamento. Ebbene in questo processo con sentenza già scritta, è doveroso per noi fare l’avvocato del diavolo e dissentire dalla caterva di critiche piovute su Vlahovic dai media e, cosa ancor più grave, dagli stessi protagonisti in campo: tutto ciò denota un alto tasso di perbenismo e un livello di cultura sportiva, nel senso più nobile del termine, assai limitato.

 

Ma dove sta scritto che questo rappresenti una forma di anti-sportività? Nel processo Vlahovic contro lo stato dei perbenisti, il ragazzo è stato invitato da più parti a comparire in udienza giustificando la sua esultanza come una imitazione ad un altro calciatore, senza voler in nessun modo provocare la tifoseria avversaria; di più, è stato costretto a chiedere umilmente perdono. A chi? A chi deve chiedere perdono? E invece sì, ha chiesto perdono non solo alla tifoseria avversaria ma a tutti, a tutti coloro i quali lo condannavano con fare accusatore. Prendendo per buone le parole del ragazzo, perché un calciatore che gioca e festeggia (sopra le righe), deve essere subito riportato all’ordine?

“Sono qui perché volevo chiedere scusa agli avversari per la mia esultanza. Non volevo offendere nessuno e chiedo scusa. Questo è solo il mio modo di esultare e non volevo in nessun modo creare alcun problema”

Chiariamolo una volta per tutte, l’atteggiamento può passare pure come mancanza di rispetto ma lo sport senza sano agonismo e goliardia muore. Inoltre non possiamo – letteralmente – pretendere che una sana e verace esultanza diventi dibattito centrale di un sistema asfittico, il quale ha forse finito gli argomenti di conversazione e ancor prima le interpretazioni. Così facendo scadono tutti, il sistema mediatico, sportivo e culturale; così si riconduce lo sport ad un sistema di azioni e reazioni codificate, come fosse un copione.

 

Vlahovic Getty
Sacrosante le reazioni dei giocatori della Sampdoria e gli insulti del pubblico: ma la cosa dovrebbe finire lì, in un sano agonismo di campo senza processi mediatici e rancorosi (Foto di Paolo Rattini/Getty Images)

 

Perche Mr Robbie Fowler può prendersi la briga di “sniffare” la linea di fondo campo, a seguito di una esultanza da goal in un Liverpool-Everton, senza diventare capro espiatorio di un intero sistema e senza, soprattutto, dover andare a scusarsi? Una multa e qualche insulto avversario è il totale che l’ex Reds ha dovuto espiare, una pena molto inferiore al nostro Vlahovic.

 

Ancora, perché Adebayor può farsi 80 metri di campo per andare ad esultare in “faccia” ai suoi ex tifosi dell’Arsenal dopo aver segnato contro di loro vestendo la casacca del Man City, senza doversi scusare con nessuno e senza attirare ire mediatiche extracalcistiche? Anzi, c’è da sottolineare che nel nostro “Bel Paese” questi atteggiamenti sono stati visti con ironia, con simpatia, con goliardia senza essere condannati. Ma anche se voi foste stati tifosi della Sampdoria allo stadio, dopo i doverosi insulti e fischi di rito, sareste tornati a casa pensando alla mancanza di rispetto di Vlahovic?

 

Paul George, stella dei Los Angeles Clippers, può esultare zittendo i tifosi dei Pacers prendendosi qualche fischio, una multa e niente più: nessuna bacchettata, nessuna lezione morale, niente di tutto ciò. Leo Messi svestendosi della sua maglia e issandola al Bernabeu, dopo l’ennesimo capolavoro della sua carriera, probabilmente in Italia sarebbe stato additato come irrispettoso.

 

La leggendaria esultanza di Fowler in un derby di Liverpool: il calcio è fatto anche di queste cose, aggiungiamo per fortuna (Photo Getty Images/Mandatory Credit: Ross Kinnaird /Allsport)

 

John Calhoun, etologo e comportamentista americano, in una delle sue più celebri ricerche sottolinea come l’intera razza umana sia a rischio di affondamento comportamentale. Il nostro sistema sportivo-mediatico/culturale è probabilmente già affondato da tempo. La condanna e l’obbligo delle scuse, addebitate a Vlahovic come risarcimento da pagare, ne sono l’esempio. Perché nei paesi di origine anglofona questi comportamenti attirano solo qualche fischio, nei casi estremi una multa e niente più? Nessuno ha tirato per le orecchie Fowler, Adebayor o Paul George imponendogli di scusarsi.

 

Scusarsi con chi? Scusarsi perché? Fino a quando si esulta nei limiti della decenza, cioè andando a non intaccare concetti di pubblica – o particolare – sensibilità politica e umana, si è liberi di esultare come si vuole, anche contro i propri avversari. Lo sport si basa sul confronto e sullo scontro: se questo resta nei ranghi dell’agonismo sano e anche sentito, ben venga anche la provocazione. Stucchevole ci sembra quindi il teatrino dei nostri opinionisti messo su per questioni del genere, appiattendo qualsiasi capacità critica e riconducendo lo spettatore ad un solo modo di vedere le cose.

 

Erigersi a paladini di una cultura sportiva, tutta nostra, è fuorviante. Nelle scuole, laddove si dovrebbe iniziare ad insegnare la cultura sportiva, l’ora di educazione fisica è ridotta spesso e volentieri ad attività ricreativa; è un problema molto più grande che ci dovrebbe far riflettere sulla mancanza di strutture e di competenze specifiche, piuttosto che sulla possibilità di offendere l’avversario. Che poi la lezione di etica ci venga dalla narrazione sportiva, così smaliziata e distratta quando si parla di procuratori avventurieri o di operazioni finanziarie sospette, beh consentiteci di dire che ci lascia – quantomeno – un po’ perplessi.

 

 

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