E così infine il Mainz ha risolto il contratto di Anwar El Ghazi, già sospeso per due settimane a causa di un post pro-palestina il 17 ottobre e poi reintegrato, ma solo formalmente, fino all’epilogo delle ultime ore: «L’FSV Mainz 05 pone fine al rapporto contrattuale con Anwar El Ghazie venerdì (3 novembre, ndr) ha licenziato il giocatore con effetto immediato. Il club sta adottando questa misura in risposta alle dichiarazioni e ai post del giocatore sui social media». Questa la nota ufficiale del club. Ma cosa aveva detto El Ghazi, e perché dopo la sospesione è stato poi licenziato?
Tutto è iniziato il 17 ottobre, quando il giocatore olandese ha condiviso il seguente post: «Questa non è guerra. Quando una delle due parti taglia acqua, cibo ed elettricità all’altra non è guerra. Quando una delle due parti ha armi nucleari non è guerra. Quando una delle due parti è finanziata con miliardi di dollari non è guerra. Quando una delle due parti utilizza immagini generate dall’Intelligenza Artificiale per diffondere disinformazione sull’altra non è guerra. Quando i social censurano i contenuti di una parte e non dell’altra non è guerra».
E ancora: «Questo non è un conflitto, né una guerra. Questo è genocidio, distruzione di massa e noi vi stiamo assistendo in diretta. Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera».
Una posizione forte e un post altrettanto netto (seppur poi rimosso) che aveva portato il club a “prendere chiaramente le distanze dal contenuto”, a sospendere il giocatore e a chiedere delle scuse e una rettifica per il reintegro. Qui però la vicenda di El Ghazi ha preso una piega diversa rispetto a quella di colleghi, su tutti Mazraoui, sospesi in un primo momento sempre per la posizione pro Palestina ma poi tornati ad allenarsi con la squadra, dopo un – imprescindibile per il club, in questo caso il Bayern Monaco – passo indietro.
Infatti El Ghazi ha deciso di non rinnegare nulla e anzi ha rilanciato: «La mia posizione rimane la stessa: sono contro la guerra e la violenza; contro l’uccisione di civili innocenti; contro ogni forma di discriminazione; contro l’islamofobia; contro l’antisemitismo; contro i genocidi; contro l’apartheid; contro l’occupazione e l’oppressione. Non mi pento né ho rimorsi per la mia posizione. Non prenderò le distanze da quanto ho detto, oggi e finché non esalerò l’ultimo respiro sto con l’umanità e gli oppressi (…). Non ho alcuna scelta se non di rimanere fermo per la giustizia, alla ricerca della verità, lo faccio anche se va contro i miei interessi, contro i miei genitori e quelli a cui voglio bene». Quindi la chiusura:
«Non ci sarà mai giustificazione all’uccisione di 3500 bambini nelle ultime tre settimane a Gaza. Come può il mondo rimanere silente quando a Gaza viene ucciso un bambino ogni 10 minuti? Nel tempo che impiego a giocare una partita vengono uccisi 9 bambini. E questo numero cresce ogni giorno. Io non posso rimanere in silenzio. Dobbiamo chiedere che finisca subito il conflitto a Gaza!».
Ciò ha portato il club tedesco a risolvere il contratto con il giocatore, e addirittura a minacciare azioni legali nei confronti di quest’ultimo: “verificheremo legalmente i fatti e poi valuteremo le azioni”. Ma El Ghazi ha tirato dritto e nel post di ieri ha rivendicato, ancora una volta, le sue convinzioni: «Stai dalla parte giusta anche se significa stare da solo. La perdita della mia fonte di sostentamento (‘livelihood’) non è nulla in confronto all’inferno scatenato sugli innocenti e vulnerabili a Gaza». Una lezione di stile, o meglio di coerenza.
Questo, nel nostro piccolissimo, abbiamo sempre chiesto ai calciatori e agli sportivi in generale: che non si appiattissero su battaglie semplici e condivise da tutti, club, televisioni e multinazionali. Che andassero fino in fondo per le proprie convinzioni, che fossero disposti a pagare per quelle convinzioni. Perché come diceva Ezra Pound, un gigante e patrimonio del ‘900 diventato purtroppo, nell’immaginario collettivo, un esclusivo riferimento del neofascismo: «Se un uomo non è disponibile a correre qualche rischio per le proprie idee, o le sue idee non valgono nulla o è lui che non vale nulla».
Ma potremmo citare anche Cantona – altro sostenitore della causa palestinese, non a caso – che mesi fa si esprimeva così. «Dove è rischioso, non si schiera nessuno. La maggior parte delle persone lo accetta perché sono ‘esempi’. Ma sono esempi a buon mercato, esempi di pecore a buon mercato!. Ci sono molti esempi di pecore a buon mercato, nel calcio, come dappertutto. È solo business. Dicono di essere contrari a questo o quello, ma è sempre la cosa più facile. Oggi è il clima, che è positivo, ma pensi di essere davvero impegnato e di prenderti dei rischi perché dici: ‘Dobbiamo stare attenti al clima’?».
«Tutto invece ora è facile. Aspettano, aspettano e poi dicono: “Ora posso andare a dire qualcosa”. Ci sono molte cose per cui puoi combattere oggi. Quindi, combatti per i Palestinesi. Lotta per lo Yemen. Lotta contro l’Arabia Saudita e i Paesi che vendono armi all’Arabia Saudita. Parlatene».
Eric Cantona a The Athletic, 26 settembre 2022
El Ghazi lo ha fatto, e noi non possiamo che essere dalla sua parte: non tanto per il contenuto del post ma per il coraggio dimostrato. Perché va sempre rispettato, seppure magari contestato, avversato, finanche attaccato, chi ha il coraggio di difendere le proprie idee a costo di tutto. Onore quindi ad Anwar El Ghazi, in piedi tra le macerie. Quelle mai così concrete di Gaza, ridotta ad un enorme e devastato cimitero a cielo aperto, ma anche quelle metaforiche di un mondo, quello sportivo europeo, segnato dal conformismo, da battaglie di comodo e da tanti, troppi fake rebels, per citare Cantona.
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