Cultura
11 Ottobre 2023

Emanuele Severino, dalla tecnica alla scherma

Sfidare il nulla (anche) con la spada.

In principio fu la spada. Come scrisse il leggendario maestro di spada Niwa Jurozaemon Tadaaki nel XVII secolo: «La Via della spada non ha come unico fine la sconfitta dell’avversario. È l’arte di affrontare la trasformazione e chiarire la questione della vita e della morte». Da queste parole si evince l’alto valore simbolico e metafisico dell’arte della spada presso la cultura giapponese. D’altra parte, alla riflessione sulla vita e sulla morte, sugli Eterni, sull’Essere e sul non-Essere si è rivolto lungo la sua intera storia anche – ovviamente – il pensiero occidentale. Da Parmenide, che aprì la strada alla ricerca ontologica, fino ad Heidegger per arrivare all’ultimo dei parmenidei, Emanuele Severino scomparso nel 2020.

Autentico gigante della filosofia italiana e non solo, Severino ha inteso il pensiero filosofico e la Verità come chiavi di lettura imprescindibili per la comprensione dell’intero svolgimento storico umano, dal disvelamento dell’Essere e del Divenire, fino al tentato dominio su quest’ultimo. Il vortice dell’illusione e dell’incedere del progresso tecno-scientifico, si avviluppa da secoli su sé stesso e si fa tentativo, estremo, di superare l’angoscia del niente e della morte. Di dominare il Divenire e di farlo proprio, stavolta mediante la tecnica, laddove dio o la tradizione hanno fallito.

La logica che predomina è quella della ricerca millenaria di un rimedio. Avrebbe detto Battiato, di una cura. Lo sport, che ha assunto le dimensioni di un rito collettivo planetario, rappresenta allora per Severino una delle dimensioni di tale rimedio, come dichiarato in una intervista per ‘Il Giorno’: «La logica del rimedio è una logica che esiste sin dall’inizio, ed è un concetto sul quale ho lavorato parecchio. Rispetto alla routine lavorativa, la partecipazione a una partita allo stadio o a un concerto rock, ha un carattere più spirituale, più elevato e più umano.

E la maggiore umanità sta nel fatto che l’uomo, atterrito di fronte alla vita, è alla ricerca di qualche rimedio».

Riecheggiano nelle sue parole i pensieri di Leopardi, dei quali Severino si è ampiamente occupato, offrendo forse la più esaustiva interpretazione di uno dei più ignorati sistemi filosofici dell’Occidente. La logica della cura è logica della poesia. La poesia intesa come arte, che si traduce nelle sue manifestazioni contemporanee: nel cinema, nella musica e nello sport. Lo sport diviene una forma di fantasia e non un inganno, con rituali paragonabili alla sola religione. E quale sport avrebbe potuto rappresentare maggiormente il carattere di Emanuele Severino, se non la scherma?



«Non sono un vero tifoso, ma qualche partita della nazionale la vedo con interesse. Lo sport in genere non mi è così estraneo come può sembrare: mio padre, generale dei bersaglieri, era maestro di scherma, e mi insegnò a tirare». Torna dunque la simbologia della spada. Lontani migliaia di chilometri e qualche secolo dal Bushido e dalla via della spada giapponesi. Vicini, altresì, ad una connessione mistica e spirituale del corpo degli schermidori e dei maestri di spada nel mondo, in una danza continua tra la vita e la morte (o tra la vittoria e la sconfitta). Severino ne parla in toni anche ironici su ‘Il Foglio’:

«Fu l’unico sport in cui seppi fare qualcosa, fino a qualche tempo fa avrei potuto sbudellare qualcuno».

Sport tendenzialmente individuale, in cui si è soli contro il proprio avversario, la scherma esprime lo spirito di una lotta elegante ma spietata contro la morte e contro il nichilismo. La spada è un ritorno del pensiero al servizio dell’uomo. Quasi una metafora della verità contro l’errore fondamentale della filosofia occidentale. Significa assumere piena consapevolezza del proprio corpo e dei propri movimenti, fondendoli con la propria mente. Emblema potentissimo del senso stesso dell’essere vivi e dell’essere uomini.

Oggi però la verità è altra dal rito collettivo, dal gesto della spada e da qualsiasi pura espressione artistica, poetica o sportiva umane. La verità si è fatta volontà di dominio, anche nel mondo sportivo. Si è fatta previsione, tecnica al servizio della lotta impari ed ingenua dell’uomo contro l’imprevedibile e contro il divenire. È divenuta pura distruzione di tradizioni e di immutabili – laddove gli stessi hanno costituito per secoli altrettanti sistemi umani contro l’angoscia del divenire – in un tentativo di controllo di quell’imprevedibile che non può essere distaccato dal senso stesso dello sport:

«La storia dell’Occidente, come storia della forma estrema della volontà di potenza, è la vicenda dell’evocazione e della distruzione degli immutabili».

E non è un caso, forse, che laddove lo sport si avvicina al suo tramonto nel senso in cui lo abbiamo sempre inteso – ovvero come fenomeno sociale, culturale, identitario, come fantasia e poesia, per assumere invece la dimensione dello spettacolo e dei fatti (di campo) – questo si consegni inesorabilmente alla tecnologia e alla scienza in cerca disperata di un appiglio: «Ovunque, la tecnica sta diventando la forma più radicale di salvezza, che oggi ha soppiantato qualsiasi altra forma di rimedio contro la morte».

Un colpo di spada, al contrario, diviene ben altro dall’evoluzione tecnica dello sport. Al termine del duello, si ritorna consapevoli e al proprio posto. Si lascia quella vita, racchiusa nel tempo e nella pedana. L’istante che assesta o che schiva un colpo è imprevedibile, ed è l’unico esistente. Verità essenziale nel pensiero, e nella vita, dell’ultimo dei parmenidei.


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