Patrizio Bati
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Cultura
Patrizio Bati
29 Giugno 2024
Il tifo è rappresentazione sacra
Dagli Ultras Lazio con Padre Pio al derby "sacro" Taranto-Bari.
Parco degli Acquedotti, Roma: un killer – travestito da runner – fredda con un colpo di pistola alla testa Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, capo ultrà della Lazio e figura chiave della criminalità capitolina. Villa Borghese, Roma: un killer – travestito da runner – fredda con un colpo di pistola alla testa uno dei protagonisti del film “Enea”, scritto e diretto da Pietro Castellitto (prodotto da The Apartment Pictures, Vision Distribution e Frenesy in collaborazione con Giovane Film). Solo una coincidenza?
Durante una puntata del podcast “Tintoria”, Pietro rivela di aver guardato e riguardato con estrema attenzione alcune interviste rilasciate da Giorgio Quarzo Guarascio. Quando decide di coinvolgerlo nel suo film, inserisce nella sceneggiatura – senza una reale motivazione ma per il puro gusto di rievocare un’azione che lo ha colpito – la richiesta da parte di Guarascio di un bicchiere d’acqua (azione che gli ha visto fare proprio durante una di quelle interviste). Castellitto ha una propensione quasi ossessiva per citazioni e rimandi (a volte, come nel caso del bicchiere, difficili da cogliere a meno che non si conosca il suo universo di riferimento o che non sia il regista stesso a rivelarli).
Difficile credere, quindi, che la scena dell’esecuzione ad opera del finto runner non sia un rimando all’omicidio del 2019.
Di questa seconda opera del regista, originale e visionaria (quanto “I predatori” con cui ha esordito nel 2020), nella quale irrompono dialoghi a tratti illuminanti, ciò di cui forse nessuno ha ancora parlato è l’affascinante esplorazione narrativa del “mondo di mezzo”, di quella zona franca in cui milieu di Roma Nord e sottobosco criminale entrano in contatto, contaminandosi a vicenda. “Enea” racconta la Roma criminal-borghese, con la sensibilità di chi quella Roma se l’è vista scorrere davanti, l’ha osservata e aspirata per poi restituirla (come nella sequenza inversa di un naso che “tira” cocaina) in maniera al tempo stesso surreale e veritiera.
Di quella Roma, ovunque nel corso del film, si sente il sapore. La Roma di Fabrizio Piscitelli, appunto, figura tanto controversa quanto carismatica, catalizzatore di questi due mondi, alto e basso, così diversi tra loro e – forse proprio per questo – da sempre così morbosamente attratti uno dall’altro. La Roma di Matteo Costacurta, soprannominato “Il Principe” per via delle sue origini nobili (proprietario di diversi immobili, giocatore di polo, frequentatore di circoli esclusivi) accusato di essere un sicario della mala albanese.
La Roma di Massimo Bochicchio, geniale broker di Capua che, entrato nelle grazie di Giovanni Malagò (Presidente del CONI e Presidente onorario del Circolo Canottieri Aniene), sfrutta la sua amicizia come certificazione di credibilità per truffare personaggi ricchi e famosi facendosi affidare milioni di euro da investire in titoli e obbligazioni. La Roma di Giovanni De Carlo, camaleontico boss che nell’ecosistema criminal-pariolino si muove con perizia e cautele degne dell’equilibrista Philippe Petit sospeso su un filo tra grattacieli americani. La Roma di Fabio Gaudenzi, ex estremista nero, ex ultrà romanista, ex rapinatore, che, con i (probabili) frutti di attività illegali, progettava imponenti investimenti immobiliari alle Bahamas.
Tutti possibili protagonisti di serie tv di cui il mercato dell’audiovisivo più tradizionale, con i suoi esasperanti tempi digestivi, non ha ancora colto lo straordinario potenziale narrativo. “Enea” racconta anche questo: mondo di sopra e mondo di sotto nelle loro quotidiane e (in questi termini e con queste modalità) finora inesplorate interazioni. “Enea” racconta l’autodistruttiva inclinazione a delinquere di chi (come i due protagonisti), nato e cresciuto in un ambiente altoborghese, si ribella a un destino predeterminato in cerca di emozioni ad alto rischio. Inclinazione al tempo stesso autodistruttiva e vitale.
Autodistruggersi è, in effetti, una forma estrema di autogestione del proprio destino. Un gesto che potrebbe essere definito “ultras” (analogia rintracciabile nel rimando alla morte di Piscitelli), perché con il mondo del tifo estremo condivide il tentativo di ribellarsi a una morale ipocrita e conformista nei cui binari – che gli disegnano il futuro – i due ragazzi si sentono intrappolati. “Ultras” nel senso di affrontare una battaglia dall’esito tristemente scontato (in una società videosorvegliata, nessuna identità può essere protetta da passamontagna), che rende ancora più eroico il fatto di volerla combattere. La loro vita è un arcobaleno, straordinario ed effimero, la parabola di una torcia lanciata dalla curva, destinata a spegnersi sulla pista di atletica.
In uno spiazzante ribaltamento di punti di vista, i due criminal-pariolini protagonisti del film finiscono per risultare migliori della moltitudine di esseri umani – biologicamente vivi ma intellettualmente morti – da cui sono circondati (impietosi giudici delle nefandezze altrui, eppure inclini a meschinità e ricatti). Enea e Valentino si assumono i rischi ed accettano le conseguenze delle loro azioni, al contrario di chi, ammantandosi dei rassicuranti cliché di una vita benestante, da quei rischi (e da quelle conseguenze) cerca invece di mettersi al riparo. “Enea” è una bellissima favola, elettrica e reale.
“Penso questo e intanto l’ombra elettrica di una grossa palma reale mi rinfresca”.
Gli Iperborei”, Bompiani, Pietro Castellitto).
Citata nel suo libro, la palma ricompare in questo film e nel relativo manifesto. La palma come simbolo di una nuova vita. La palma che crolla sulla veranda di casa della famiglia di Enea senza che la madre (Chiara Noschese), impegnata nella sua mattutina lezione di yoga, si accorga di niente. Le palme delle Bahamas a cui criminali di Roma Nord, nel complesso di un ambizioso piano di investimenti immobiliari, sognavano di appendere amache. Le palme del manifesto con la scritta “Escape to Paradise” che, nelle ultime scene del film “Carlito’s Way”, improvvisamente cominciano a ondeggiare, come in una cartolina animata dall’isola caraibica in cui il protagonista vuole trasferirsi. È verso le palme, che idealmente scappano anche loro, Pietro-Enea e il suo amico Valentino.
“Miglior attore non protagonista David di Donatello 2024 va a… Adamo Dionisi!”.
Dionisi in smoking si alza commosso e, destreggiandosi tra ginocchia di invitati e schienali di poltrone, guadagna il palco accompagnato dagli applausi. Ex ultrà della Lazio, e mica un ultrà qualunque bensì il Marchese, figura di spicco degli Irriducibili, Adamo Dionisi è oggi uno straordinario attore che per la sua interpretazione (un intellettual-criminale in cui saggezza, nostalgia ed amore convivono con cinismo, ambizione e spregiudicatezza) il David lo meriterebbe.
“Enea” è una bellissima favola, elettrica e reale. Ma le favole, si sa, non sempre finiscono come vorremmo. Il film non è candidato ai David.
Patrizio Bati è scrittore e sceneggiatore, autore del romanzo “Noi Felici Pochi” (Mondadori), da cui sarà tratto un film. Scrive per il settimanale “Specchio” (La Stampa) e il quotidiano “Domani”.