L’universo dei cosiddetti esports sta attraversando una fase di espansione impressionante. I numeri degli analisti parlano chiaro: il mercato delle competizioni elettroniche supererà il valore di 1 miliardo e mezzo di dollari entro il 2020, raggiungendo un’audience di oltre 600 milioni di persone. Ad oggi i campioni più affermati già guadagnano cifre da capogiro. Parliamo di montepremi che per un solo evento talvolta possono superare i 20 milioni di dollari. Palazzetti gremiti in ogni ordine di posto da tifosi letteralmente in visibilio per le gesta su schermo dei loro beniamini, ai quali vengono dedicati fan club e nomignoli, vere e proprie federazioni di videogiocatori che vedono la luce, sponsor a gogò ed una rete composta da decine di milioni di utenti che guardano e commentano online gli incontri rendono l’idea delle dimensioni assunte da questo movimento. Ai feticisti del joystick il mondo creato a loro immagine e somiglianza però non basta. Spinti da chi foraggia il circo virtuale nel quale si esibiscono, puntano dritto alle Olimpiadi.
“È innegabile che oggi il gaming sia uno sport universale”, ha dichiarato in tempi recenti Seven Volpone, CEO della piattaforma Subnation e del gruppo Big Block Capital. “Ma solamente acquisendo lo status di sport olimpico, e quindi dimostrando di avere l’appoggio della più grande organizzazione sportiva sul fronte internazionale, si potranno superare le ultime riserve di scetticismo che alcuni brand nutrono. Con l’endorsement del Comitato Olimpico Internazionale gli esports faranno un enorme salto di qualità permettendo ai Giochi olimpici stessi di ampliare in maniera decisiva il proprio bacino di spettatori”. Imprenditori famelici indicano la via ad un esercito di smanettoni alla ribalta. Le porte del sacro tempio nel quale viene custodita la fiamma olimpica cominciano a tremare. Nonostante il parere apparentemente contrario del presidente CIO Thomas Bach, le voci su una possibile inclusione degli esports ai Giochi a partire da Parigi 2024 si fanno sempre più insistenti.
Non siamo ingenui e sappiamo, ahinoi, che il tempio, tra scandali di vario genere ed interessi economici tentacolari, non è più immacolato da un pezzo. Ma se questi novelli barbari mettessero le mani sulla bandiera con i cinque cerchi, la manifestazione ideata da Pierre De Coubertin ai nostri occhi verrebbe definitivamente svuotata di significato e credibilità. Pensarla in questo modo significa essere reazionari, retrogradi o magari, perché no, addirittura nemici di ciò che viene spacciato come progresso? Allora sì, lo siamo! Non ci uniremo al coro di chi ritiene che sfidarsi a FIFA possa essere considerata una disciplina olimpica. Che la massima espressione dello sport rimanga ben ancorata alla realtà. Che le future generazioni continuino a coltivare il sogno olimpico scegliendo il mondo oltre la console. Non gettiamo loro fumo negli occhi facendogli credere che affinando le proprie abilità ai videogiochi, e quindi passando decine di ore al giorno davanti ad uno schermo, si possa ambire a diventare degli atleti olimpici. Badate bene, la nostra è una battaglia di principio: non vogliamo essere testimoni di una gioventù di automi, magari gli stessi incapaci di fare un salto o una capriola, paradossalmente legittimati a portare delle medaglie al collo.
La nerd revolution avanza impetuosa da Oriente ad Occidente, ad esempio con la decisione di inserire gli esports tra le discipline ufficiali dei Giochi Asiatici a partire dal 2022 o quella di concedere borse di studio sportive per i gamers negli atenei degli Stati Uniti d’America. Sappiate che noi, nel nostro piccolo, non accetteremo che questa deriva cybertecnicista si diffonda a macchia d’olio nel mondo dello sport. Non si ferma il vento con le mani, direte. È vero, forse abbiamo già perso. Ma siamo nati sulle barricate ed è là che ci troverete.