In primavera l’annuncio della fondazione della Superlega ha generato un terremoto nel mondo del calcio, e ci mancherebbe altro: l’ipotesi che si creasse un circolo elitario di club che si associano, alienando qualsivoglia merito sportivo, in una competizione che si prefigge di massimizzare visibilità, appetibilità e profitti, istituzionalizzando il passaggio del pallone da sport a prodotto commerciale a tutti gli effetti, non poteva non suscitare un putiferio. Scaricati i brividi lungo la schiena, con l’accantonamento, si spera definitivo, del progetto Superlega, viene da chiedersi se qualche appassionato o addetto ai lavori, chissà, non nasconda a tutt’oggi in cuor suo la curiosità di sapere cosa sarebbe potuto accadere se davvero il piano fosse diventato realtà.
Un torneo privato, gestito da oscuri signori del business, avrebbe portato a spettacoli più circensi che sportivi? O magari, invece, avrebbe dato nuova linfa al (fu) Beautiful Game, scatenando nuove e feroci rivalità sportive, estremizzate dalla qualità da capogiro dei campioni in campo?
Ebbene, queste divagazioni potrebbero essere rese ben più concrete di una semplice e curiosa speculazione perché, per chi non lo sapesse, a oggi sono 20 anni esatti che nel basket europeo si gioca una “Superlega” a tutti gli effetti; qui tutti i desiderata dei signori che governano il calcio sono già stati bellamente messi in atto, per filo e per segno e in tempi non sospetti, dai loro colleghi della palla a spicchi. Allora immaginiamo che, davanti a due pinte appena spillate, un appassionato di basket acconsenta a rispondere a tre possibili domande dell’amico calciofilo, desideroso di conoscere cosa potrebbe succedere se il calcio percorresse la via del basket; una sorta di genio della lampada che, partendo dalle premesse che hanno causato la privatizzazione del massimo torneo della palla a spicchi continentale, non risparmi analisi sul presente e, magari, fosche previsioni sul futuro.
IERI – Come è stato possibile che una Superlega
si sia effettivamente costituita?
Partendo dall’inizio, c’è da dire che il seme della discordia germoglia già all’inizio degli anni ‘90, quando le leghe dei campionati più importanti d’Europa si riuniscono in un’associazione, l’ULEB (Unione delle Leghe Europee di Basket), con l’obiettivo di sviluppare i rapporti reciproci tra i tornei nazionali, migliorandone competitività e qualità complessive. Nel 2000 avviene un colpo di scena che ha dell’incredibile: l’ULEB registra il marchio “Eurolega”, emblema della massima competizione continentale ormai dal 1996, lasciato incredibilmente incustodito dalla FIBA Europe, organizzatrice del torneo fino a quel momento. No, non è uno scherzo (purtroppo).
E quindi, con quello che oggi potremmo definire uno spirito tanto pionieristico quanto opportunistico, 24 club appartenenti alle massime leghe europee decidono di aderire alla nuova competizione privata ed “autogestita” al fine, nemmeno a dirlo, di massimizzare i propri profitti. Il tutto nel rispetto dei loro interessi, tanto quanto della legalità. Per tracciare un inquietante parallelismo con il calcio, immaginiamo cosa succerebbe se l’ECA “rubasse” il celebre logo della palla con le stelle e magari l’inno della Champions League…
OGGI – Quali sono i criteri
di accesso a questo campionato?
Attualmente all’Eurolega si accede su invito, oppure qualificandosi vincendo la competizione di seconda fascia, sempre privata, chiamata “EuroCup”. Trionfare o arrivare secondi nel proprio campionato nazionale non ha alcun impatto sulla partecipazione al palcoscenico europeo che conta di più; in Italia il caso Virtus è esemplare in questo senso. Perciò i criteri per partecipare sono puramente arbitrari, o meglio tacitamente commerciali, e in capo agli organizzatori; lo scopo è espandere il business, includendo nuovi mercati ed investitori.
Dal 2015 esistono 11 club con licenza permanente decennale (tra cui Olimpia Milano, Barcellona, Real Madrid, Olympiakos, Panathinaikos, Fenerbache e Efes, etc.), la cui partecipazione è garantita a prescindere dai piazzamenti nella coppa e nel campionato di appartenenza. Vi è poi la possibilità di elargire wild card, cioè inviti, il cui criterio è normalmente basato su interessi economici relativi o al paese della squadra o allo sponsor di quest’ultima. Sorge quindi spontaneo chiedersi come abbiano preso questa rottura la Federazione Internazionale e quelle nazionali..
Al di là dell’ovvio imbarazzo iniziale, il primo anno la FIBA ha organizzato una competizione parallela, facendo fondamentalmente finta di nulla, con il risultato che ufficialmente nel 2000/01 vi furono due squadre campioni d’Europa. Ovviamente dal secondo anno tutte le squadre di livello non han resistito alla seduzione del Dio Denaro, bussando tutte alle porte dell’Eurolega. A quel punto la FIBA ha provato ad istituire tornei continentali dal vario nome per “competere” con Eurolega: appunto la “SuproLeague” del 2001, poi l’”Eurochallenge”, quindi l’originalissima “Champions League” e la sua sorella minore “Europe Cup”. Inutile però dire che il basket europeo che conta è, ed è sempre stato, dall’altra parte della staccionata, nonostante i periodici strali scagliati da dietro le scrivanie federali.
Al di là quindi delle schermaglie più o meno di facciata tra federazioni ed Eurolega, il contraccolpo più tragico si è abbattuto sugli impegni delle nazionali: nelle finestre di qualificazione a Olimpiadi, Mondiali ed Europei, tornei marchiati FIBA, l’Eurolega ha sempre continuato serenamente a giocare. Allora i migliori giocatori di spessore non sono mai disponibili, perché impegnati nei club, proprio come i colleghi in NBA. Risultato: disinteresse misto ad amarezza nel cuore degli appassionati. Dal canto loro, le federazioni nazionali non si danno per vinte e non perdono occasione di spendere parole al veleno verso gli “scissionisti”; per esempio, qualche settimana fa, il presidente FIP Petrucci dichiarava:
«è ora di finirla con l’arroganza di un organismo privato che pretende di decidere ad di sopra di un organismo internazionale».
Di nuovo, per ricollegarci al calcio, supponiamo che una Superlega giocasse non solo infrasettimanalmente, ma anche durante la sosta per le Nazionali; vista l’orticaria che sembrano suscitare questi impegni negli allenatori, nei giocatori, e probabilmente nei tifosi in primis, le partite delle selezioni rischierebbero di riscuotere l’interesse di un torneo condominiale. Per non parlare poi, delle difficoltà per alcuni club di gestire un calendario già folle, con tre partite alla settimana.
Tornando al parquet, sono molte stagioni ormai che l’Olimpia Milano affronta campionato e coppa, praticamente con due quintetti: dentro i confini spazio ai giocatori italiani, riservati alla competizione di minor prestigio; nelle notti europee, largo agli americani, che possono essere impiegati con meno vincoli. L’impoverimento tecnico del nostro campionato è frutto anche di queste scelte di gestione delle rose. A proposito, speriamo che il pallone non sottovaluti i recenti allarmi lanciati da Ancelotti e Sarri, tra i tanti.
DOMANI – La convivenza di super-campionato privato
e Federazioni, può davvero durare?
In realtà va sottolineato come, nonostante le basi commercialmente molto avanzate di Eurolega, l’apparato abbia cominciato a scricchiolare già da qualche tempo. Nonostante la recente partnership del 2015 con IMG, colosso americano di promozione sportiva, volta a creare un prodotto ancora più appetibile e con maggiori guadagni per tutti i partecipanti, la pandemia ha avuto un impatto forte sui club di Eurolega, che già da prima mugugnavano qualche lamentela sulla gestione complessiva della competizione e dei suoi introiti. Della serie, anche i ricchi piangono, sempre che non siano lacrime di coccodrillo però.
Prima dell’estate alcuni club sono arrivati a organizzare riunioni “segrete” per suggerire, per dire imporre, nuovi canoni di ripartizione degli introiti all’Eurolega. È stata così forzata anche la destituzione formale del presidente Jordi Bertomeu, un vero e proprio gerarca del basket Europeo. Insomma, se l’appetito vien mangiando, risulta chiaro che, per i partecipanti ad una lega privata, sia sempre impellente la voglia di battere i pugni sul tavolo per avere la pancia sempre più piena.
Alla luce anche di questi ultimi avvenimenti, la FIBA ha colto la palla al balzo, diffondendo notizie che vedrebbero lo sviluppo di una partnership con la NBA. L’obiettivo sarebbe creare una competizione di alto livello anti-Eurolega in Europa, gestita in prima persona dagli scafatissimi manager a stelle e strisce, strateghi dello Sport Entertainment. In effetti, perché non provare a contrattaccare con le stesse armi usate all’epoca dalla ULEB, ovvero l’incremento degli introiti per i club, alleandosi proprio con chi è un vero maestro del profitto sportivo?
Certo, bisognerebbe essere in grado di cogliere i vantaggi del modello americano, evitando però gli aspetti che lo stanno trasformando in un circo sì munifico, ma ormai grottesco.
Infine un monito per il calcio: il processo di americanizzazione del pallone è già in atto, ed i suoi primi effetti non sembrano affatto rassicuranti. In prospettiva dei Mondiali 2026, organizzati da USA, Canada e Messico, non sono da escludere trovate per rendere il gioco più mediatico, accattivante, adatto ai gusti della Generazione Z. Brrrrrr…
Insomma, cari amici appassionati di calcio, fatevi forza. Ormai nel mondo della palla a spicchi è andata così, e al di là di auspicarsi qualche miglioramento nei rapporti tra le parti coinvolte, tenendosi forte per scoprire cosa ci aspetta, a noi amanti del basket non rimane che sussurrare a labbra strette quel vecchio tormentone che recitava “non capisco, ma mi adeguo”.