Una formula fallimentare su tutta la linea.
L’Europeo itinerante è stata l’ultima volontà di Michel Platini, prima che la giustizia lo estromettesse dal mondo del calcio e accendesse su di lui altri, spiacevoli, riflettori. Un’idea originale per celebrare i sessant’anni della competizione e per spartire in modo uniforme i ricavi, per certi aspetti anche intrigante, ma in fin dei conti un’eredità fallimentare che non verrà di certo raccolta.
“Non lo rifaremo mai più” ha sentenziato il suo successore alla presidenza, Alexsander Ceferin.
Al numero uno della UEFA non è proprio piaciuto e, dunque, nel 2024 l’Europeo si giocherà in Germania senza mai varcarne i confini (una notizia che strappa un sorriso di nostalgico piacere a noi italiani). La giustificazione adottata da Ceferin riguarda la complessità nell’organizzare un evento simile in più Paesi: undici ad esempio sono quelli scelti per Euro2020, troppi secondo il numero uno UEFA che si è da tempo rassegnato a una scelta osteggiata fin dal principio.
“Ci dobbiamo adattare”, ha ammesso rassegnato prima dell’inizio della competizione.
Ciò ha comportato un format condizionato da continui spostamenti, stadi mezzi vuoti in confronto ad altri tutti pieni (fin oltre la logica imposta dall’emergenza sanitaria) e dal venir meno del fattore casa, vantaggio classico nella storia di questo sport. Ci sono squadre, in cui rientra anche la nostra Nazionale, che hanno potuto prendere confidenza (e punti) giocando le prime partite del girone di fronte al proprio pubblico, macinando pochi chilometri di strada e avendo tutto il tempo per recuperare dalle fatiche delle gare.
E poi ce ne sono altre, più sfortunate: pensiamo alla Svizzera, che non solo non ha mai giocato una partita in casa ma si è dovuta adeguare anche al fuso orario di Baku, in Azerbaigian, cambiando così gli orari dei pasti e del sonno. Insomma, un gran problema per un atleta. Svizzera, appunto, Polonia e Belgio – tutte eliminate – sono le squadre che hanno percorso più strada. Rispettivamente, 10mila km per gli elvetici, 9.450 km per Lewandowski e compagni (che sono anche la squadra con più spostamenti), e 9.100 per i diavoli rossi eliminati da una delle squadre più “riposate”. Italia, Spagna, Germania, Olanda e Inghilterra sono infatti quelle più sedentarie, e forse non è un caso che tre di queste si siano ritrovate a giocarsi le semifinali, e due su due la finale.
Fase finale, tra l’altro, che sarà di scena a Wembley, in un Europeo che sembra essere stato apparecchiato per le esigenze dei “padroni di casa”. Dopo l’assenso della Uefa, infatti, saranno in 60mila sugli spalti dello stadio londinese: un fattore non di poco conto e di cui, forse, si doveva pensar prima. Anche perché, in un torneo per definizione itinerante, stupisce che i Tre Leoni abbiano potuto giocare 6 partite su 7 nel nord-ovest di Londra, dovendosi spostare allo Stadio Olimpico solo per il quarto di finale con l’Ucraina.
Ma poi, come detto, le differenti condizioni ambientali hanno inficiato molto su un Europeo che ha avuto non solo luoghi, ma anche protocolli lontani.
L’Ungheria ad esempio ha rischiato di compiere l’impresa in quello che era un girone sulla carta impossibile, ma in casa è stata spinta dal pubblico della Puskas Arena (presente al 100% della capienza) mentre fuori ha affrontato i tedeschi in uno stadio semivuoto. Ora passi per la sproporzione di forze in campo, ma se fosse accaduto il contrario probabilmente non avremmo nemmeno parlato della “favola” (stroncata) Ungheria. Piuttosto il problema è a monte, laddove doveva essere garantita un’uniformità nella vendita dei biglietti. Senza dimenticarci – e come potremmo – che Euro2020 è anche il grande evento della ripartenza europea post pandemia.
Riportare la gente negli stadi e mostrarlo in mondovisione è un chiaro segnale di forza per un governo. Non è un caso, quindi, che la finale di domenica prossima sia diventata argomento politico, con il premier Mario Draghi preoccupato per la crescita della variante Delta in Gran Bretagna che ha proposto di aggiornare la location; ad appoggiarlo, la cancelliera tedesca Angela Merkel e gran parte dell’Ue. Richiesta caduta però nel vuoto dopo la rassicurazione di Ceferin al primo ministro Boris Johnson, un amico e alleato nella battaglia contro la SuperLeague al quale non poteva dare un dispiacere del genere.
Se poi a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, viene da pensare che la scelta di Wembley per le gare più importanti della competizione sia stata una sorta di ricompensa nei confronti di chi è stato leale nel momento del bisogno. Ma qui siamo nel campo delle dietrologie, dei sospetti e dei complotti. Innegabile però è l’abilità di soft power di BoJo, capace di uscire come vincitore dalla battaglia sportiva e politica e di organizzare il primo grande evento aperto al pubblico in Europa dopo un anno e mezzo di blocco.
Gli effetti di eventuali contagi, che dovrebbero comunque essere limitati nel loro decorso grave dai vaccini (gli esperti parlano di 100mila casi al giorno nel Paese entro l’estate) li potremmo vedere solamente fra qualche settimana, ma certamente per la prevenzione del virus un evento simile disputato in mezzo continente non rientrava nella lista delle priorità, e nemmeno in quella delle buone idee. Così tuttavia è stato e, come dice Ceferin, ci siamo dovuti adattare. Tempismo perfetto, per una brutta eccezione che nemmeno si replicherà.