Gli expected goals (xG), ci dicono i loro appassionati, sono una «nuova e rivoluzionaria metrica del calcio, che permette di valutare le performance delle squadre e dei giocatori» grazie ad «un preciso metodo per la valutazione della qualità dei tiri». Come scritto anche sull’articolo di Goal.com «Gli Expected Goals (xG) sono una misura della probabilità che ha un determinato tiro di essere trasformato in goal. Si tratta di un dato qualitativo, in una scala da 0 a 1, frutto dell’analisi di oltre 300.000 tiri effettuati, in modo da calcolare la probabilità che un determinato tiro, da una determinata posizione, in un determinato momento della partita, possa terminare in rete oppure no. Ogni tiro ha così un suo valore di “Expected Goal” (xG), di fatto la percentuale che ha quel tiro di diventare goal».
In pratica tramite algoritmo si analizzano le varie occasioni avute da una determinata squadra o un determinato calciatore, e si calcola il numero dei gol che in media si fanno nel mondo in situazioni simili. La qualità delle occasioni viene valutata da 0 a 1, e ad esempio se a un tiro partito da una certa posizione e in determinate condizioni viene assegnato un punteggio di qualità di 0,80, significa che da lì in media nel mondo si segna l’80% delle volte. Se il calciatore preso in considerazione invece sbaglia, significa che sta effettuando una “underperformance”.
Al di là di quel poco che questo dato può dirci, il problema principale è il “tanto” che nasconde: si potrebbe qui scomodare la visione poetica del calcio di Pasolini, che riteneva il gol «sempre un’invenzione», «sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità», o si potrebbe citare la definizione del calcio quale «arte dell’imprevisto» di cui parlò Eduardo Galeano. Ma basterà dire, senza volare troppo alto, che ridurre la catarsi del gol a freddo scarto performativo esclude completamente da qualsiasi riflessione culturale la complessità psicologica della razza umana, della quale anche i calciatori – urge (purtroppo) ricordarlo – fanno parte.
Detto ancor più semplicemente: ammettiamo che un Ilicic stia “underperformando” (espressione utilizzata con disinvoltura dai patiti degli expected goals e che qui viene ripresa non senza imbarazzo), ma se non viene considerato che sta affrontando la depressione, come da lui stesso ammesso la scorsa stagione, di cosa stiamo esattamente parlando? E quanto influiscono le pressioni percepite da un attaccante sulla sua capacità realizzativa? Celebre è la frase del navigato Gianluca Vialli, uno che qualche marcatura l’ha segnata, pronunciata negli studi di Sky nel 2013:
“i gol sono come il ketchup. Come per il ketchup schiacci e schiacci e non esce niente, poi all’improvviso escono tutti insieme”.
Le pressioni personalmente percepite non sono calcolabili statisticamente, perché diverse nei diversi momenti della vita del singolo calciatore. Nessuno di loro lo dirà mai, ma il sogno proibito di questi nerd del calcio è togliere ai Gascoigne i problemi di alcol e agli Adriano i lutti insostenibili, per poter finalmente giustificare i loro periodi neri in campo utilizzando la bella equazioncina. Togliere, in conclusione, ogni attrattiva del calcio in quanto gioco umano, eliminarne ogni elemento etico per poterne parlare così come di un flipper distante dalle passioni, comprensibile solo a chi si spacca la schiena sui libri e sui computer (ovviamente da acquistare a caro prezzo per non restare indietro).
Trattasi di un’idiozia pericolosa, perché non si limita a restare un giochino da piccoli chimici, ma pretende di costruireun mondo parallelo con le sue regole, il quale rischia di ottenere attenzione persino da chi il calcio lo pratica ogni giorno. È di qualche mese fa la notizia dell’assunzione da parte del Manchester City di astrofisici (sì, avete letto bene) per supportare la guida tecnica, e sono sempre di più anche tra i giornalisti e i tifosi coloro che cedono all’attrattiva dei numeri, che promettono a tutti di capire di calcio, anche a chi ha visto a malapena qualche partita!
Lo avevamo già scritto: il calcio matematico è una manna dal cielo per le pippe!
La new wave del giornalismo sportivo crede ciecamente che gli xG siano lo strumento più evoluto grazie al quale “approfondire” i temi calcistici, e ciò comporta il fioccare di snaturate analisi che descrivono le difficoltà dei calciatori come “problemi di rendimento”, quasi si parlasse di operai in una catena di montaggio. Eppure, per capire quanto sia parallelo a quello reale il “mondo degli expected goals”, basterebbe consultarele classifiche stilate per dare consistenza a ciò che non ne ha. Eh sì, perché in base agli expected goals si sono calcolati perfino gli expected points, ovvero i punti da assegnare alle squadre immaginando che queste abbiano segnato le rispettive occasioni come si segnano in media in tutta il mondo (chiaro no??).
Il risultato è tutto da ridere: in base agli expected points la Juventus ha conquistato il suo trentasettesimo scudetto!
Immaginiamo i caroselli a Torino non appena hanno consultato la expected classifica. Pare che le piazze si siano riempite di tifosi inneggianti a Andrea Pirlo, novello Zidane! Niente di paragonabile a quanto accaduto a Milano qualche settimana fa, e del resto l’Inter di Conte che ci era sembrata la dominatrice del campionato… In realtà è arrivata terza! Peccato anche per il Milan, che nonostante l’ottima stagione finisce quinta, dietro al Napoli. Immaginiamo il prossimo esonero di Pioli e la conferma di Gattuso… Va bene, ci fermiamo, ma vi basterà sapere che su venti possibili posizioni in classifica per venti squadre, solo il Sassuolo è effettivamente finito in ottava come previsto dagli expected points.
Un tale modo di intendere il calcio sembra il frutto di quella “mentalità blasè” che il sociologo tedesco Simmel ravvisò come risposta – alienata – al surplus di contatti e immagini a cui la vita metropolitana sottopone: «L’essenza dell’essere blasé consiste nell’attutimento della sensibilità rispetto alle differenze fra le cose (…) nel senso che il significato e il valore delle cose stesse, sono avvertiti come irrilevanti. Al blasé tutto appare di un colore uniforme, grigio, opaco, incapace di suscitare preferenze». Così, lì dove il tifoso di calcio ha sempre visto il massimo dell’espressione di senso e di gioia del suo sport preferito, gli statistici della domenica non riescono a immaginare che un’azione meccanica teorizzabile secondo le leggi della matematica.
Aspettando poi l’expected Euro 2020, metti caso che ci levano la Coppa, ci basta il criterio di selezione dei rigoristi adottato da Gareth Southgate. Secondo il quotidiano El Pais, come riporta il Corriere dello Sport, il ct inglese avrebbe scelto i 5 calciatori da mandare sul dischetto grazie al lavoro di un gruppo di analisti: il quintetto sarebbe stato scelto dagli scienziati della federazione, guidati dal direttore esecutivo Mark Bullingham, seguendo un metodo basato su modelli matematici popolarmente conosciuti come Big Data, provenienti dal baseball. Il tutto grazie ad anni di elaborate analisi, le quali avrebbero anche consigliato l’ordine dei rigoristi. D’altronde era stato lo stesso Southgate, in una conferenza organizzata da Google Cloud nel 2019, ad aver dichiarato:
“Abbiamo analizzato migliaia di tiri e abbiamo cambiato la nostra cultura. Storicamente la Federazione inglese viene vista come un gruppo di vecchi in giacca e cravatta, scollegati dal rito della società. Ci siamo dovuti modernizzare”.
La morale di questa vicenda la lasciamo trarre al lettore. In generale però, se la deriva statistica dovesse continuare, potremmo ritrovarci in breve un calcio simile alle corse dei cavalli viste dallo Scià di Persia: visitando l’Inghilterra, questi espresse il proprio disinteresse per le tradizionali corse all’ippodromo perché «sapeva benissimo che un cavallo corre più dell’altro». Era evidentemente estraneo al gioco e quindi alla cultura di un’intera nazione, ma rischiano di esserlo anche i tanti matematici nel pallone che, con la scusa della scientificità, puntano a sacrificare l’immenso patrimonio culturale lasciatoci da maestri del giornalismo sportivo come Gianni Brera e Vladimiro Caminiti.
Sarebbe dunque ora di ribaltare la questione, e ricalcando le parole dello Scià rispondere finalmente alle idiozie matematiche con un elegante «sappiamo benissimo che si possono applicare statistiche inutili a ogni cosa, ma preferiamo goderci il gioco». Per tornare a parlare di gol inaspettati e lisci imprevisti, di salti di categoria e anni di grazia, di calciatori con le loro forze e le loro debolezze, uguali e diverse a quelle di milioni di tifosi in tutto il mondo… In poche parole per tornare a parlare di calcio, e quindi, di vita.