Un nuovo modo di fare giornalismo.
Sul “caso scommesse” che nelle ultime ore sta sollevando nere nubi sul calcio italiano è stato già detto molto senza però dire nulla: si è parlato di etica del sistema calcio, di morale da parte dei singoli giocatori; di quanto – ai tempi di internet – sia facile poter scommettere anche grosse somme in totale anonimato, e delle responsabilità oggettive da parte dei club. Nessuno però finora si è soffermato su come sia stata data la notizia.
Al peggio non c’è mai limite
Dopo i tiktoker, Cassano ed “erFaina”, reinventato “esperto di calciomercato” da lanciatore di accendini, ecco che al circo del racconto mediatico sportivo, mai sufficientemente affollato, si è aggiunto un altro ospite: Fabrizio Corona. Ingenui noi, convinti che il peggio fosse passato, che più a fondo di così non si potesse scendere: e invece eccoci qui, con un paparazzo mitomane e pregiudicato in grado di “dettare l’agenda” al calcio italiano, di tenerlo in ostaggio per un’intera settimana e di minacciare ”la sua chiusura” in seguito alla sua “inchiesta, la più grande da trent’anni a questa parte”.
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Sia chiaro: a Corona non contestiamo la notizia. Fare ‘giornalismo’ è anche questo, dare notizie in grado – se confermate – di scuotere il sistema, all’occorrenza anche di poter rovinare carriere. Quello che va contestato è l’atto, non l’azione. Sugli stessi social, tra un annuncio e l’altro, Corona e il suo staff stanno giocando a un vero e proprio “totonome”, neanche si trattasse del bingo sotto casa: e il prossimo nome estratto sarà … rimanete sui miei canali per saperlo. La società dello spettacolo elevata all’apice nel suo senso deteriore e nel suo degrado, il tutto inoltre nel vanto di dare “lezioni di giornalismo”.
Ma a chi? E soprattutto, in che modo? Esponendo a un accanimento assurdo i calciatori coinvolti nella vicenda?
Bisognerebbe ricordare molti casi tra cui quello di Giuseppe Signori, prima lapidato pubblicamente, ancora in attesa di una sentenza, e poi, una volta dichiarato innocente, reintegrato dalla porta principale senza il minimo accenno di scuse. Aldilà delle notizie da lui annunciate – da segnalare che l’indagine era già in corso, e nonostante Corona abbia indubbiamente avuto dalla sua parte più di qualche fonte, a breve sarebbe stata resa pubblica – Fabrizio Corona ha tirato su uno sgradevolissimo teatrino mediatico, con giornali e singoli utenti a stare al suo gioco, a pendere dalle sue labbra, ad aspettare i singoli nomi lanciandosi in nauseanti ‘indovina chi’.
L’unico a guadagnare qualcosa da questa situazione è lui, un personaggio tanto squallido quanto (patologicamente) egocentrico; capace di sbeffeggiare Fagioli per la sua ludopatia, come se potesse permettersi di dare lezioni di morale a chicchesia, lui abituato alla prassi del ricatto e condannato per tentate estorsioni. Ma questo non è neanche il problema, il problema è il modo in cui un personaggio del genere abbia tenuto in scacco il mondo del giornalismo italiano. Il problema è soprattutto la resa incondizionata di quest’ultimo, una banderuola ormai in balìa dei peggiori venti e dei più bassi istinti.
Un circo senza più selezione all’ingresso, in cui ai nuovi saltimbanchi non è più neanche richiesta una preparazione specifica, che so, un salto nel cerchio di fuoco. D’altronde il vecchio mondo (del racconto sportivo) è morto, quello nuovo tarda ad arrivare – nella speranza, forse illusoria, che non possa essere quello dei tiktoker, dei Faina e dei Corona. E in questo chiaroscuro, per citare Gramsci, nascono i mostri. Ma la domanda è una: siamo sicuri, laddove Fabrizio Corona detta i tempi e le forme del dibattito per giorni, che i mostri non siamo pure noi?