Il difensore che ha ridato animo e grinta alla Juventus.
Quando Federico Gatti viene acquistato dalla Juventus (gennaio 2022) per circa 7 milioni di euro, un comprensibile scetticismo pervade le prime pagine dei giornali, le approfondite analisi delle televisioni sportive e quelle meno approfondite ma ugualmente interessanti dei social: non tanto per le caratteristiche tecniche del giocatore (che arrivava comunque dalla Serie B, in un momento storico tutt’altro che esaltante per il nostro calcio) quanto per il rapporto qualità/prezzo. Davvero vale così tanto Federico Gatti?
Poi però lo scetticismo si fa interesse quando viene a galla la storia del ragazzo: una sorta di verghiana commemorazione del riscatto sociale. Gatti è davvero, per citare il grande Gianni Morandi, uno di mille ad avercela fatta. Fino al 2020 (appena 3 anni fa, in piena pandemia) Federico, nato a Rivoli (proprio in provincia di Torino, e cresciuto nelle giovanili del Toro), giocava ancora nei dilettanti, e per mantenersi lavorava come muratore e serramentista:
“Quando avevo 17 anni mio padre rimase disoccupato, così abbandonai la scuola per andare a lavorare. Mi svegliavo alle quattro del mattino e solo la sera tardi potevo allenarmi”.
Un’esperienza di vita sicuramente dura ma che, come sottolineato dallo stesso difensore, gli è servita molto per formare il suo carattere grintoso e ambizioso sia in campo che fuori, forgiando uno spirito battagliero il cui motto è ‘non mollare mai’, costi quel che costi. Oppure ‘fino alla fine’, per rimanere tra le mura della Vecchia Signora.
“Il carattere l’ho preso da mio padre, e dalla rabbia che mi porto dentro. È una rivincita per me. Ho trovato porte chiuse, nei settori giovanili di Torino prima e Alessandria poi non ho avuto spazio, ma ora voglio impormi”.
Dopo essere rimasto in prestito per altri sei mesi a Frosinone, il difensore di Rivoli approda sotto gli ordini di Massimiliano Allegri inizialmente come riserva del reparto arretrato, giocando poche partite nella prima parte di stagione, in cui alterna prestazioni convincenti ad altre molto meno buone. Quando pare ormai destinato ad occupare più la panchina che il campo, nella seconda parte di stagione qualcosa cambia: i continui problemi fisici di Bonucci e le prestazioni poco convincenti di Alex Sandro sono un trampolino di lancio per Gatti, che di lì a poco non solo conquista un posto da titolare nella difesa a tre, ma trova anche una continuità di rendimento notevole, che gli vale le lodi (meritate) di addetti ai lavori e tifosi.
In particolare è stato Danilo a rivelare la grande mentalità dimostrata dal suo collega di reparto: “È arrivato dalla Serie B alla Juventus, è stato sei mesi senza giocare, ma è comunque rimasto sul pezzo e ha lavorato sempre, provando a migliorarsi. È umile, ascolta sempre e vuole stare qui”.
Danilo
La cultura del lavoro e dell’umiltà pagano sempre. Soprattutto per chi, come lui, fa delle qualità mentali la sua arma. Ecco perché in molti, forse con troppa fretta, l’hanno paragonato a Giorgio Chiellini. Entrambi si sono imposti relativamente ‘tardi’ a certi livelli, entrambi giocano un calcio aggressivo e furbesco, di lettura più che di tecnica. Anche in Gatti, come accadeva a Chiellini, l’anticipo è ragione di vita: o palla o uomo, con conseguenze rivelate anche da una mimica facciale tutt’altro che hollywoodiana. Lui comunque ha dichiarato di non voler “essere paragonato a gente che ha fatto 300-400 partite, per loro sarebbe un insulto”, mostrando una volta di più un’umiltà che porta lontano.
E pensare che Gatti aveva iniziato la propria carriera da centrocampista offensivo, così almeno giocava ai tempi del Pavarolo in Eccellenza, prima di arretrare tra i difensori sempre al Pavarolo per esigenze legate alla crisi societaria – che aveva perso diversi elementi a causa di debiti mai sanati. Tecnicamente parlando, Federico è una sintesi ideale tra lo stopper vecchio stampo, che eccelle nella marcatura a uomo, e il difensore centrale (post)moderno, dotato di una buona pulizia tecnica ed eccellente negli sganciamenti offensivi palla al piede.
Sebbene i paragoni non facciano bene a nessuno e risultino spesso più argomenti da interazioni-social che altro, è d’obbligo notare che molti dei calciatori che hanno fatto la storia della “Vecchia Signora” furono acquistati proprio dalle serie minori: proprio dalla Serie B provenivano future bandiere come Del Piero e Scirea, ma anche Conte, Cabrini, Tardelli, Ravanelli, Di Livio. La Juventus ha sempre storicamente avuto uno zoccolo duro italiano e “operaio” in entrambi i cicli vincenti degli anni Ottanta e Novanta. Parliamo di giocatori partiti dal basso con l’ambizione di arrivare in alto, dotati di grandi qualità umane ancora prima che atletiche, caratterizzati da spirito di sacrificio, voglia di rivalsa, fede (in sé stessi e spesso anche in Dio) e importanza della famiglia.
Tutti valori ben presenti nel centrale di Rivoli: “tutti i tatuaggi che ho sono dedicati alla mia famiglia, se sono qui è grazie ai sacrifici che ha fatto mio padre, la famiglia per me è tutto”. Il futuro del club bianconero al momento appare incerto, ma quello di Gatti è chiaro e definito: l’obiettivo infatti è quello di arrivare sempre più in alto, riportando alle stelle la classe operaia.