La settimana dei Valverde: Federico ed Ernesto, tra gloria e fallimento.
Ernesto Valverde, 55 anni, bicampione in carica del campionato spagnolo, ex allenatore del Barcellona. Federico Valverde, 21 anni, centrocampista centrale uruguayo, astro nascente del Real Madrid man of the match nell’ultima partita merengue: la supercoppa spagnola. Nessun legame di parentela, ma destini visceralmente incrociati.
Due mondi opposti, legati da un’omonimia che suona quasi dissonante, tanta è la distanza tra le due realtà contrapposte di Barcellona e Madrid. Quella catalana, troppo autentica per continuare ad alimentare una passione che non è mai sembrata decollare nei confronti del tecnico ex Athletic Bilbao: sliding doors, dentro Setién e adiòs Ernesto. Quella madrilena, fatta di palmarés e grandi nomi, che prima storce il naso per la considerazione che Zidane sembra avere di lui, ma poi si fa incantare dal talento di Montevideo, un nuovo beniamino per tutto il Bernabéu.
L’esonero di Ernesto Valverde, la consacrazione di Fede Valverde. La cornice è quella saudita, dove si gioca il torneo che si rivelerà decisivo per il futuro dei Valverde. Tutto nella stessa settimana, tutto a distanza di poche ore: tutto come nel più mediocre dei copioni di un qualsiasi film scontato.
Gli effetti speciali però non mancano: citofonare Alvaro Morata per saperne di più. Lo spagnolo, lanciato da solo in contropiede durante i tempi supplementari della super coppa spagnola, viene falciato a pochi passi dall’area di rigore, appena prima che l’attaccante si trovi a tu per tu con Courtois per una sentenza che pareva certa. Per quei 40 metri di fuga palla al piede, c’è stato un intero popolo merengue in apnea, a trattenere il fiato come fossero sott’acqua, solo in attesa della propria fine.
E invece, entra in gioco quell’attore non protagonista su cui nessuno puntava i riflettori, ma di cui tutto il pubblico sentirà parlare: Fede Valverde. Un ragazzo che a 21 anni ha la capacità, la lucidità e l’esperienza di regalare la scena principe del film di serata, un intervento da cartellino rosso. Un intervento, che come spiegherà lo stesso Simeone in conferenza stampa
“è stata l’azione più importante della partita. Senza quel fallo di Valverde, avremmo segnato e il Real Madrid avrebbe perso. Direi ad ogni mio giocatore di fare la stessa cosa in una situazione simile”.
Un intervento realizzato senza la volontà di fare male, ma con la determinazione di chi vuole stendere il proprio avversario in corsa. Detto, fatto: 30 metri di inseguimento, scivolata, calcio sul parastinco e Morata che capitola a terra. Fischio arbitrale e sentenza già scritta: cartellino rosso. Anche il tabellino recita: 0-0.
In qualsiasi altra occasione, un ragazzo di 21 anni che viene espulso sarebbe messo alla gogna. Questa volta è el hombre del partido. Perché a quell’età, durante i tempi supplementari, quando la lucidità lascia posto alla stanchezza, essere in grado di capire il momento, come ha fatto Valverde, è una dote che non si può non apprezzare.
C’è chi grida all’antisportività, chi si indigna per il premio di uomo partita conferitogli a margine della vittoria dei blancos. Ma se ammettiamo che il gioco è fatto di vincitori e vinti, se ammettiamo che dalla parte dei vinti non ci vuole proprio stare nessuno, se togliamo il velo di ipocrisia dall’efficacia dell’atto, allora rimane una semplice giocata che dimostra tutto il carattere e la capacità di un ragazzo che sembra molto speciale.
Carattere. Proprio ciò che l’altro Valverde, Ernesto, non è stato in grado di trasmettere mai. Il Barcellona, nonostante una stagione tutto sommato positiva, primo posto in campionato e qualificazione in Champions League da prima della classe, da quando Valverde siede sulla panchina del Camp Nou non sembra mai aver ritrovato quella sicurezza e quella pericolosità che solo Guardiola e Luis Enrique sono riusciti a creare. Del resto, si tratta della prima esperienza su una grande panchina per il tecnico spagnolo. E a quanto pare, vinceredue campionati in fila sembra non essere più condizione sufficiente per il posto fisso.
Gli acquisti estivi dovevano mettere le basi per un biennio strabiliante anche in Europa, dopo che si era palesata la necessità di un cambio di ciclo. Invece il Barcellona non convince: troppi nei, troppe imprecisioni. Si pensi all’eliminazione dalla Champions League dello scorso anno per mano del Liverpool: dopo un solido 3-0 in casa dei blaugrana che pare aver gettato solide basi per il passaggio del turno, Messi e compagni vengono travolti ad Anfield addirittura per 4-0.
A questo si aggiunga il caso Coutinho, arrivato per una somma di denaro che ci vergogniamo quasi a pronunciare (160 milioni di Euro) e mandato in Baviera dopo il nulla più totale. Quest’anno, stessa storia per Griezmann. L’integrazione del francese con gli altri 10 in campo è una sfida mai vinta da Valverde, così come l’inserimento di De Jong, che sembra essere un altro giocatore da quando è a Barcellona.
A onor del vero, Ernesto Valverde sembra il perfetto riflesso della dirigenza blaugrana degli ultimi anni: spaesato e con le idee poco chiare. E quando i problemi arrivano dall’alto non possono che ripercuotersi a cascata sul resto della struttura societaria. A questo si aggiunga un Messi che va verso le 33 candeline, una Piqué e un Jordi Alba, sulla scia anagrafica dell’argentino, che non giocano più sugli stessi livelli di qualche anno fa, un Busquets che è l’ombra del giocatore che abbiamo apprezzato, un Rakitic che sta già pensando alla sua prossima squadra.
Se il pareggio nel Clàsico di dicembre ha creato il primo vociarsi attorno a Valverde, è stata l’eliminazione per mano dell’Atletico Madrid in Supercoppa di Spagna ad aver fatto traboccare il vaso. Quella stessa Super Coppa che ha invece portato sull’altare degli dei il più giovane dei Valverde. Una settimana, un torneo, un cognome, due destini incrociati. Perché alle volte non sono i gol, non sono le vittorie, non sono i trofei, ma è il carattere a portarti in alto. Alle volte, la gloria, te la serve un cartellino rosso.
Tra Napoli e Madrid si combatterà una battaglia che ricorda quella di Salamina (480 a.C.), tramandataci nella sua epicità dolorosa e gloriosa da Eschilo nella tragedia "I Persiani".
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