L'occasione per ripassare un po'.
Federico Leonardo Lucia, detto Fedez, durante l’episodio 110 del podcast “Muschio Selvaggio” in compagnia del fighter Marvin Vettori ha affermato che «Il karate è un’arte marziale inutile. Sono cintura blu di karate. Ho perso anni della mia vita ad imparare cose completamente inutili: sono solo delle mossette goliardiche». Ma inutile rispetto a cosa? L’inutilità è un concetto funzionale, predeterminato dalla funzione che assolve l’oggetto a cui ci riferiamo. Un’arte marziale ha molte funzioni e dunque può essere perfettamente utile rispetto ad un fine ed altrettanto perfettamente inutile rispetto ad un altro.
Ognuno giudica i fatti sulla base dell’esperienza che abbiamo di essi. Il problema, semmai, è di ignoranza nel senso di analfabetismo marziale, una malattia da cui sono afflitti numerosi praticanti di sport da combattimento. La risposta di Luigi Busà, oro olimpico a Tokyo 2020, non si è fatta attendere: «Puoi dire che il karate non ti piace, non che consiste in mossette. Così denigri pubblicamente una delle arti marziali più importanti che ci siano e tutti coloro che la praticano».
Indubbiamente, la diffusione delle tecnologie, la globalizzazione, gli scambi, la contaminazione, hanno permesso una crescita della qualità tecnica di molti atleti e praticanti come non si vedeva da tempo. Il picco, tuttavia, lo si è raggiunto presto e se lo stesso Rickson Gracie da anni mette in guardia il popolo del jiu-jitsu dalla perniciosa deriva che l’arte soave va prendendo, non dovremmo stupirci se stessimo per entrare in una nuova fase di declino delle arti marziali. Ma accanto al picco qualitativo e quantitativo in termini di tecniche e di diffusione delle stesse c’è stato un incremento uguale e contrario di ignoranza. Dobbiamo dircelo, purtroppo.
Molti praticanti di arti marziali, anche blasonati atleti tecnicamente molto validi, hanno una scarsissima conoscenza della storia di ciò che praticano.
Ben pochi infatti conoscono la differenza tra koryu bujutu, budo e gendai budo, solo per fare riferimento alla tradizione giapponese. Vi è chi critica l’aikido perché inefficace senza avere la minima consapevolezza che lo scopo di questa complessa e difficile arte marziale non è la formazione al combattimento reale, ma il controllo del corpo e dell’energia con l’uso di leve e proiezioni. Un esercizio di auto-perfezionamento dell’Io nella socialità umana attraverso una protratta pratica fisica, tipico di alcune dottrine del buddismo. Attaccare l’aikido perché “non funziona nella gabbia” è come lamentarsi di un pinguino che non vola.
Vi sono poi i falsi miti. Molti sono convinti che i Gracie e la UFC abbiano rivoluzionato il mondo delle arti marziali senza capire che il loro vero merito è stato mandare quei combattimenti in pay-per-view attraverso i canali satellitari. Prima di UFC esisteva in Brasile il Vale Tudo, mentre in Giappone fiorivano promozioni come Shooto, Pride, Pancrase, K-1.
Tanti credono (e questo è un demerito anche degli stessi Gracie) che il BJJ abbia rivoluzionato la lotta a terra, il grappling, senza aver mai sentito parlare del kosen judo (ancora oggi praticato in alcuni club universitari giapponesi sulla base di regolamenti del 1925) o senza sapere che il nome stesso deriva dal modo in cui i giapponesi solevano chiamare il judo nei primi tempi della sua diffusione: kano ju-jitsu (storpiato in jiu-jitsu). Ad indicare la scuola di ju-jitsu del maestro Kano, quella che poi sarebbe divenuta il judo. Esiste infine un problema di metodo, pedagogia e finalità che sono diverse da arte marziale ad arte marziale o da sport da combattimento a sport da combattimento, perché diversa la cultura che li ha generati.
I metodi di insegnamento orientali sono radicalmente diversi da quelli occidentali e questo determina differenze anche nei tempi di apprendimento, nella resa, nell’efficacia, nelle spiegazioni.
Il karate è un’arte marziale completa: per utilizzare termini commerciali, ricomprende tecniche sia di striking che di grappling, in alcune scuole perfino rudimenti di lotta a terra e armi (kobudo), oltre ad esercizi di potenziamento e condizionamento (hojo-undo). Viene praticato in versione sportiva o tradizionale; con combattimenti a contatto pieno senza protezioni, a contatto leggero o con il controllo dei colpi; alcuni praticano solo il kata, le forme, e le loro applicazioni di combattimento (bunkai-kaisetsu); in alcune scuole si predilige il condizionamento e lo sviluppo della forza, in altre quello della respirazione, della morbidezza e delle tecniche di lotta; alcune scuole adottano una distanza corta, altre media; molti vogliono solo stare bene con se stessi, divertirsi e fare qualcosa che gli piace in un ambiente sano, rispettoso e moralmente pulito.
Si potrebbe dire che ce n’è per tutti i gusti. Alessio Sakara, alfiere italiano delle MMA, utilizza di tanto in tanto un makiwara mobile per condizionare le nocche, ha suggerito di fare esercizi con il riso per migliorare la forza della presa e spiega come la parte posteriore sia più importante di quella anteriore quando si tira un pugno (proprio il principio fisico che si allena nel karate attraverso quel famoso pugno su cui faceva ironia Fedez).
Il karate, inoltre, non deve essere stato poi così inutile ad alcuni dei più grandi campioni di MMA, K-1, Shooto, Pride, come Lyoto Machida, Andy Hug, Georges St. Pierre, Bas Rutten (quest’ultimo ha da poco lanciato la promozione Karate Combat), Gunnar Nelson, Kyoji Horiguchi, Robert Whittaker, Stephen Thompson. Senza nominare i giapponesi come Masao Kagawa od Ogura Yasunori, ferocissimi combattenti della JKA. Probabilmente Fedez ha avuto un pessimo maestro o forse non ha avuto modo di scoprire la completezza del karate per ragioni di tempo. L’ignoranza, nel senso di non conoscere, ha fatto il resto. Alla fine, anche il mondo delle arti marziali è come quello della musica rap: c’è Eminem, ma c’è anche Fedez.