Le Mans è un mondo poetico, fatto di auto da sogno ed eroici padroni del volante che corrono oltre i limiti della luce e delle tenebre. È uno dei luoghi di culto della religione motorsportiva: un nome che evoca fascino e storia, un nome che rappresenta quel senso di appartenenza viscerale che molti appassionati di auto sentono nell’anima. Sono tanti, non a caso, i tifosi che ogni anno rispondono al richiamo della gara di durata più famosa al mondo.
Pur non essendo un “format”, come direbbero quelli che se ne intendono, commercialmente e mediaticamente impacchettabile e vendibile, la 24h di Le Mans continua a vivere e il suo prestigio resiste all’avanzare del tempo.
La crisi d’identità della Formula 1, categoria trainante a livello globale dell’interesse verso lo sport dei motori, la tendenza a ridurre i Gran Premi a gare sprint per semplificare e arrivare ad un numero di consumatori sempre più ampio – andando così incontro alla più bassa soglia di attenzione del pubblico – denota che il motorsport non è più quello di una volta. Nonostante tutto questo, o forse proprio per questo, la corsa di resistenza per eccellenza rappresenta sempre di più la disciplina nel suo archetipo essenziale.
Il Mito Ferrari a Le Mans
Quella del circuito de la Sarthe è una storia scritta e divulgata anche dalla cinematografia, tra tutti ovviamente “Le Mans” di Steve McQueen del 1971 e gli altri che ne seguirono, recentemente l’ottimo Le Mans ’66, uscito nel 2019, che ha attirato nuovi appassionati con la mitica sfida tra il colosso americano e la Casa di Maranello.
Dunque la kermesse francese è un tempio per appassionati e campioni di guida. Allo stesso tempo è ancora una gara che, insieme ai Rally di Monte-Carlo e Finlandia, al Gran Premio di Monaco di Formula 1, alla 500 Miglia di Indianapolis, alla Dakar, rappresenta l’elitè delle competizioni automobilistiche più prestigiose. Ecco perché la notizia del ritorno ufficiale della Ferrari al WEC nel 2023 è niente di meno che storica per addetti ai lavori e tifosi.
Il programma Endurance della Ferrari è legato alla rivoluzione delle vetture di classe Hypercar, codificata LMH, nuovo concetto di macchina da corsa, progettata per essere un punto d’incontro tra la pista e le supercar stradali di epoca moderna. L’obiettivo dichiarato è riportare in auge case importanti, come Porsche e Audi. Marchi che, attratti dalle sirene della Formula E, avevano negli ultimi anni abbandonato il WEC, preferendo investire nella vetrina eco-green della serie tutta elettrica. Non solo le due case tedesche hanno già risposto alla chiamata, ma anche Toyota (l’unica a resistere stoicamente negli ultimi anni) e Peugeot.
La Ferrari 330 P4 Coupé nel 1967
Se l’interesse per lo sviluppo di tecnologie per la produzione in serie è evidente, anche le implicazioni a livello sportivo sono notevoli. Nel 2023 la 24 Ore di Le Mans festeggerà il suo centenario, e saranno passati 50 anni dall’ultima partecipazione ufficiale di Maranello a quello che fu il glorioso Campionato sport prototipi. Questo perché, nel 1973, Enzo Ferrari fu convinto da Bernie Ecclestone a concentrare i suoi sforzi sulla Formula 1, con la promessa di un ritorno economico molto maggiore.
Negli anni ’20 del 2000, la questione da un lato è dettata dalla necessità di un terreno di sviluppo per la tecnologia che combini la combustione e la propulsione elettrica, probabilmente uno dei motivi principali per cui Maranello si è impegnata nuovamente a titolo ufficiale al di fuori della Formula 1.
Dall’altro lato, però, è un meraviglioso modo di unire un passaggio storico tra le gare “classiche” con la modernità che tende al futuristico, l’arrivo dei motori ibridi, e riportare il Cavallino all’epica di un motorsport più popolare, legato ai valori più tradizionali e rappresentativi. Un tentativo di riprendere la propria identità da parte di Ferrari, che non può non riaccendere il fuoco sacro del popolo romantico dei motori.