Due Olande diverse, due visioni del mondo inconciliabili.
Era il 23 marzo 1997 quando gli hooligans di Ajax e Feyenoord si diedero appuntamento a Beverwijk, più precisamente sul corrispondente tratto dell’autostrada A9, dando vita a uno scontro violentissimo in cui perse la vita Carlo Picornie, esponente di spicco degli F-Side dell’Ajax. Quel dannato giorno la ferocia non ebbe alcun tipo di contegno: nei campi attigui alla carreggiata le due opposte fazioni si affrontarono senza esclusione di colpi, avvalendosi dell’ausilio di ogni tipo di arma contundente.
La tragedia, che fece molto scalpore nel Paese, portò da un lato a un deciso inasprimento della legislazione sugli stadi, dall’altro a nette misure restrittive nei confronti dei tifosi di Ajax e Feyenoord.
La prima di queste fu il divieto di ingresso ai tifosi ospiti nelle successive partite tra i due club, sia in quel di Amsterdam che in quel di Rotterdam. Tale provvedimento riuscì a evitare il ripetersi di episodi violenti in occasione delle partite, ma di certo non ridimensionò l’odio tra le tifoserie.
Negli anni a venire furono infatti frequenti le occasioni di scontro, come sa bene l’ex calciatore del Feyenoord Jorge Acuña: durante un’innocua partita tra le riserve delle due squadre, giocatasi ad Amsterdam giovedì 15 aprile 2004, alcuni sostenitori dell’Ajax fecero irruzione in campo per aggredire i calciatori avversari. Un giovane Van Persie riuscì a non subire danni grazie all’intervento dello staff dell’Ajax, mentre lo sfortunato Acuña rimase malamente contuso e fu portato in ospedale.
L’anno successivo, sempre ad aprile, fu invece Rotterdam il teatro della violenza: il treno proveniente da Amsterdam, che trasportava i tifosi dell’Ajax, fu divelto da questi ultimi che per punizione furono costretti a rimanere all’esterno dello stadio per l’intera durata della partita.
Già in quel frangente si verificarono alcuni – prevedibili – scontri con la polizia, ma al fischio finale scoppiò letteralmente il putiferio. Dopo aver visto perdere la propria squadra per 2 a 3, i tifosi del Feyenoord uscirono inferociti alla ricerca degli ospiti, in una vera e propria caccia all’uomo che le forze dell’ordine riuscirono a gestire con fatica (per usare un eufemismo).
In seguito a questo e altri disordini, nel 2009 furono le stesse due società a cercare e trovare uno storico accordo con la Federazione affinché le trasferte dei propri tifosi in terra nemica venissero vietate per i successivi 5 anni.
Quando tutto sembrava poter tornare alla normalità i tifosi dell’Ajax, nello specifico gli Ultras VAK 410, si tirarono la zappa sui piedi con il cosiddetto Vuurwerkincident, “l’incidente dei fuochi d’artificio”: durante la finale di coppa nazionale del 2014, giocata proprio a Rotterdam e persa dai lancieri 5 a 1 contro il PEC Zwolle, i tifosi dell’Ajax si resero protagonisti di atti vandalici nello stadio degli acerrimi rivali, lanciando in campo decine di fumogeni che costrinsero l’arbitro a sospendere momentaneamente la partita. Questo gesto naturalmente sancì l’allungamento del divieto di trasferta a Rotterdam, per altri 3 anni.
La rivalità tra Amsterdam e Rotterdam, tuttavia, ha radici ben più profonde, che travalicano e di molto la dimensione sportiva. Le due principali città dei Paesi Bassi hanno infatti una natura storicamente opposta: la prima, capitale ufficiale dello Stato e attraente meta turistica, è nota tra l’altro per i suoi vizi e il suo carattere edonistico; la seconda, “capitale” economica – ha non a caso il porto più grande d’Europa -, si fonda sullo spirito marinaio e proletario che ha forgiato i suoi abitanti.
“Mentre Amsterdam sogna, Rotterdam lavora”.
Questo è ciò che si sente sulle rive del Nieuwe Maas. Allargando i confini, il detto comune nel Paese è invece: «In Olanda i soldi vengono guadagnati a Rotterdam, divisi a Den Haag e sperperati ad Amsterdam». Il senso però è lo stesso: il pragmatismo appartiene ai lavoratori di Rotterdam, mentre gli amsterdammers sono dediti alla creatività, per non dire alla lussuria e all’ozio.
La contrapposizione tra le due città ha dunque fondamenta socio-culturali che inevitabilmente si riflettono sullo sport. Ajax e Feyenoord radicalizzano i caratteri identitari di Amsterdam e Rotterdam, e le rispettive tifoserie non mancano di ricordare come la loro rivalità trascenda il semplice antagonismo sportivo. In questo caso, però, non si tratta di uno scontro politico o religioso come accade in altre parti d’Europa, bensì di una sostanziale difformità identitaria e attitudinale.
Qualcuno potrebbe avere da ridire in merito a quest’ultima affermazione, dal momento che la partita più importante d’Olanda è spesso associata all’antagonismo tra i “superebrei”, che sarebbero i lancieri dell’Ajax, e i presunti nazionalisti antisemiti di Rotterdam. Tuttavia la realtà dei fatti è ben diversa e necessita di un maggiore approfondimento, che vada oltre il sensazionalismo di una certa stampa tutta titoloni e sempre alla ricerca dell’uomo nero, meglio se ultras. Ne parlavamo anche tempo fa in un pezzo dal titolo emblematico, Tutti contro l’Ajax:
«L’Ajax, stando ad un falso storico, viene considerata la squadra del ghetto di Amsterdam fin dai suoi primordi (…) il club è divenuto un fattore d’identificazione per la comunità ebraica della capitale olandese che, pur costituendo una minoranza della tifoseria, ne ha egemonizzato la curva. Durante le partite in casa, all’Amsterdam Arena, sono spesso sventolate diverse bandiere israeliane, ed è capitato anche di vedere una bandiera con la stella di David lunga decine di metri (…) Così si è innescato un processo malato di conflitto tra curve: gli acerrimi rivali del Feyenoord, soprattutto dagli anni ’70 in poi, hanno macchiato la propria immagine ricorrendo a cori e gesti anti-semiti».
Una sorta di sfottò esagerato e fuori contesto, soprattutto perché non si sta parlando di reali appartenenze ma piuttosto di schieramenti di comodo (o di scomodo), volti soltanto a sottolineare vigorosamente la reciproca idiosincrasia, in una dicotomia radicale e inconciliabile tra l’una e l’altra sponda. Ma, per quanto assurdo e fuori luogo possa sembrare, non si tratta affatto di odio “razziale”. È una questione che invece si può ridurre, banalmente, alla retorica da opposte fazioni: come spiegò il giornalista ebreo-olandese Hans Knopp, la reiterata e impertinente querelle tra le due tifoserie si fonda su un pre-concetto di diffamazione, di demonizzazione dell’avversario.
«The opposing fans aren’t necessarily anti-Semitic, but they are against Ajax. And if Ajax are Jews, they have to be against the Jews».
Dicevamo dunque che il dissidio è di base culturale, e un esempio emblematico ne è la musica: l’intero Paese ospita miriadi di festival musicali ed è in prima linea anche nelle nuove tendenze giovanili (basti vedere quanti DJ internazionali sono nativi dei Paesi Bassi, da Armin van Buuren ad Afrojack, da Martin Garrix a Tiësto).
Ma le due città in questione, e nello specifico i rispettivi supporters, anche a livello musicale si caratterizzano per due stili molto differenti. E così ad Amsterdam, in cui anche la musica techno o dance è di base molto apprezzata, la tifoseria ha scelto come proprio inno un caposaldo del reggae, la celebre Three little birds di Bob Marley. Pare che tutto abbia avuto inizio nel 2008, durante una trasferta a Cardiff per un’amichevole pre campionato tra i gallesi e l’Ajax.
A fine partita i tifosi ospiti furono trattenuti nel settore a loro dedicato e Ali Yassine, l’allora speaker dello stadio, decise di intrattenere gli olandesi con della musica. La scelta ricadde proprio su Three little birds e i tifosi cominciarono a cantare, danzare e battere le mani come se fossero al concerto di San Siro del 1980. Da allora non vi è più stata partita in cui non abbiano reso omaggio al celebre brano del cantautore giamaicano, creando sugli spalti un’atmosfera unica.
Dall’altro lato, gli scatenati tifosi di Rotterdam sono visceralmente legati alla musica “gabber”, cioè quella variante della musica elettronica verso l’hardcore techno, nata proprio in città, e più precisamente nella curva dei Rotterdam Hooligans a inizio anni ’90. La violenza, l’impeto di questo genere si addicono perfettamente alla gente del luogo e rappresentano lo spirito operaio, duro e forse un po’ represso di una città ruvida in tutte le sue sfaccettature, spesso buia e fredda. Altro che le luci e il carattere rilassato di Amsterdam.
Il fautore di questa combinazione ha un nome e un cognome: fu Paul Elstak, in arte DJ Paul, che riuscì a unire le sue due grandi passioni creando un inseparabile binomio tra Feyenoord e musica gabber. La svolta arrivò con l’incisione di Amsterdam Waar Lech dat Dan? – “Amsterdam dove sta?” – che col tempo è diventato un vero e proprio inno da stadio sull’antagonismo tra le due principali città olandesi. Chiunque abbia avuto la fortuna di assistere a una partita al De Kuip (La Vasca), ufficialmente Stadion Feijenoord, si sarà ritrovato a partecipare a quella sorta di rave legale che prima e dopo ogni partita casalinga accende gli animi e gli istinti animaleschi dei tifosi del Feyenoord.
Insomma, Amsterdam e Rotterdam sono due pianeti opposti e incompatibili, nonostante gli appena 70 chilometri che dividono le due città. Come spesso accade, l’orgoglio e la rivendicazione di superiorità sono i fattori che alimentano la più grande rivalità dei Paesi Bassi: una rivalità congenita nei rispettivi abitanti, che non potrà mai trovare una risoluzione pacifica. Ajax v Feyenoord, l’estetica contro la sostanza, la grazia contro la sguaiataggine, l’arte contro il sudore, l’armonia contro il rumore, lo Yin e lo Yang. O, per essere più semplici, Amsterdam contro Rotterdam.