Dio sarà con te, e così l'Ungheria.
31 ottobre 2011, muore Flórián Albert, leggenda del calcio ungherese. Nelle percezioni generali il giocatore del Ferencváros è l’unico che potrebbe paragonarsi a Ferenc Puskás nell’immaginario dei connazionali. L’unico che avrebbe potuto giocare anche nella “squadra d’oro”, quella che vinse e poi perse tutto in un colpo solo. Quella di Florian Albert è la storia di un fuoriclasse che non trova interpreti alla pari nella squadra del proprio tempo. Un predicatore (quasi) nel deserto. Nonostante un Pallone d’Oro vinto.
DALL’UNGHERIA RURALE A BUDAPEST
Dopo la débâcle ai Mondiali 1954 segue una fase di depressione, tasso tecnico generale in picchiata. Nessun risultato di livello internazionale. Ai Mondiali 1958 i vicecampioni dell’Ungheria escono già al primo turno. Quattro anni più tardi il Mondiale viene organizzato dal Cile. La Nazionale sembra tornata, almeno in apparenza, quella di una volta. Della vecchia guardia è rimasto soltanto il portiere Grosics. C’è un elemento che mostra tratti di classe superiore. Si chiama Florian Albert e, nonostante la giovane età è da anni l’idolo e il motivo d’orgoglio dei tifosi del Ferencváros. Albert proviene dalle campagne dell’Ungheria meridionale, ma per i supporter biancoverdi è fin da subito cittadino onorario della Capitale.
È quasi un incontro fatale, un colpo di fulmine reciproco. Lui si riconosce in loro e loro in lui.
Classe 1941, nasce a Hercegszántó, paesino di confine immerso nel nulla della Puszta. È figlio di un fabbro e di una donna ungaro-croata di origine Šokci (la stessa etnia di Mario Mandžukić). La mamma muore quando il bambino ha 2 anni. Gli Albert si trasferiscono presto a Budapest. Il giovane Flórián cresce nelle giovanili del Ferencváros ed esordisce in campionato nel novembre 1958 segnando una doppietta al Diosgyor VTK. Il carattere della persona è mite e riservato ma il talento è così palese che a 17 anni Albert esordisce in Nazionale. A detta di tutti è un giocatore completo, un tipo speciale. Carismatico con poche parole. Ha grande tocco e proprietà di palleggio, le accelerazioni palla al piede lasciano quasi sempre sul posto gli avversari.
I numeri in campo sono uno spettacolo per gli occhi, ma l’attaccante accompagna alle qualità tecniche visione di gioco lucida e potenza nel tiro. Quasi a dispetto di una classe capace di esaltare il gusto degli esteti più esigenti, è anche un attaccante concreto, una mezza punta che quando serve va al sodo e sa adattarsi ai momenti della partita. Alto di statura e con i tempi giusti per concludere di testa, caratteristica che non sempre un giocatore possiede solo perché misura 186 centimetri. Sembra un Hidegkuti a tutto campo con altrettanto senso delle geometrie ma con più grinta (la qualità che più mancava al centravanti arretrato della vecchia Ungheria). I tifosi lo chiamano “Imperatore”, e se il soprannome è così gravoso un motivo ci sarà.
RICOSTRUIRE IL SOGNO
Florian Albert si mette in mostra alle Olimpiadi di Roma 1960, quando l’Ungheria fa sua una dignitosissima medaglia di bronzo. Appena diciannovenne, fa capire a tutti di non essere uno qualsiasi e contribuisce in modo decisivo al ritorno sul podio della Nazionale. Due anni dopo, in Cile, il ragazzo riesce a fare ancora meglio divenendo – sia pure in condominio con altri – capocannoniere dei Mondiali. Risultato importante per un attaccante di soli 21 anni. Durante l’edizione andina, la Nazionale arriva fino ai quarti di finale grazie a dieci buoni giocatori e un fuoriclasse. Poi è costretta ad arrendersi contro la più quotata Cecoslovacchia, che chiuderà l’edizione 1962 al secondo posto. Ma al di là dell’eliminazione sembra rifiorire nel cuore di un intero popolo, troppo ben abituato nel decennio precedente, la speranza calcistica.
Con Florian Albert in campo, milioni di connazionali possono di nuovo inorgoglirsi della loro Nazionale. Ma se gli ungheresi sognano a occhi aperti, chi tifa Ferencváros può farlo due volte. Albert è lì a fare gol e a costruire gioco, negli anni ’60 la squadra di Pest (distretto cittadino IX) vince quattro volte lo scudetto, ma anche una Coppa delle Fiere nel 1965 (1-0 in finale contro la Juventus). Nella stagione successiva il talento magiaro diventa capocannoniere della Coppa Campioni. Intanto nel 1964 l’Ungheria, anche grazie ai gol di un altro ottimo attaccante, Ferenc Bene, torna alla ribalta internazionale ottenendo un importante terzo posto agli Europei di Spagna, vinti dalla squadra di casa in finale contro l’Unione Sovietica.
PALLONE D’ORO E IMPERATORE
L’anno d’oro per Flórián Albert è il 1966. Ancora una volta l’Ungheria è riuscita a qualificarsi per la fase finale dei Mondiali, che si svolgerà in Inghilterra. Non parte tra le favorite ma quando la squadra è in campo l’attenzione di tutti è puntata sull’unico vero fuoriclasse che ha. Non segnerà mai durante l’edizione ’66 però con lui in campo lo spettacolo è garantito anche per chi è spettatore neutrale. A Liverpool, durante la partita con il Brasile di Garrincha, Gerson e Tostão, da un momento all’altro i 50 mila del Goodison Park si lasciano stregare dal numero 9 in maglia rossa e cominciano a cantare a una voce:
“Albert! Albert! Albert!”
Il Brasile campione in carica perderà per 3-1. Anche stavolta la squadra magiara non andrà oltre i quarti di finale, eliminata non tanto dall’Unione Sovietica quanto dalle parate di Lev Yashin. Le giocate di Albert sanno coniugare talmente bene forma e sostanza che nel 1967 il titolare di due piedi fatati e di una testa inesorabile sarà il primo (e finora l’unico) giocatore ungherese a vincere il Pallone d’Oro. Ma dietro la presenza di Albert c’è più o meno il vuoto e quel grave deficit tecnico alle sue spalle spesso si avverte.
Per di più, nel 1969 il fuoriclasse magiaro subisce un gravissimo incidente. Avviene durante una partita di qualificazione per i Mondiali 1970 contro la Danimarca. Ci vorranno almeno due anni per rivedere il campione in buona efficienza, tuttavia quello che torna in campo non sarà più quello di prima, nonostante sprazzi di genialità assoluta. Nel 1974, all’età di 33 anni il diretto interessato decide di mettere la parola fine a una carriera in ogni caso ricca di soddisfazioni.
NEL GOTHA DEI MIGLIORI
Nel 2007 il Ferencváros decide di intitolargli il proprio stadio. Non è cosa di tutti i giorni dedicare una struttura sportiva a un personaggio ancora vivente. A qualcuno però quel riconoscimento suona male, come una sorta di fosco presagio. È come se si sentisse il bisogno di sbrigarsi nel dare a un calciatore così importante una testimonianza d’amore altrettanto importante. Eppure in quel momento l’intestatario morale dello stadio gode di ottima salute e, anzi, fa grandi progetti per il futuro. Il 31 ottobre di 10 anni fa Florian Albert muore fresco settantenne, poco dopo aver subìto un delicato intervento al cuore. Di lui dirà il giornalista György Szepesi, uno abituato fin dagli anni ’50 a vedere campioni e a descriverne la classe in diretta radiofonica:
«Era molto umile, sempre a disposizione dei compagni di squadra. Era un giovane rispettoso, ben educato e di buone maniere, intelligente sia in campo che fuori. Un talento straordinario, perfino difficile da spiegare. Altrove sarebbe stato il migliore, ma è nato in Ungheria, come Puskás».
Il funerale ha luogo a Budapest domenica 6 novembre. Il campione viene poi sepolto al cimitero di Óbuda. Oltre a migliaia di tifosi (e non soltanto quelli del Ferencváros, Albert è diventato negli anni indistinto patrimonio nazionale) pronti ad accompagnare l’idolo nel suo ultimo viaggio sono presenti personaggi importanti, primo fra tutti il Premier, Viktor Orbán. È un evento, il funerale di Flórián Albert, con un retrogusto propagandistico neanche tanto retro.
Quella domenica sono presenti alle esequie in bella vista anche il Presidente dell’Ungheria Pál Schmitt, il Presidente della Federcalcio magiara Sándor Csányi (azionista di riferimento di Otp, principale banca del Paese), il Presidente del Ferencváros Gábor Kubatov (orbaniano di ferro e uomo di punta di Fidesz, il partito del Premier) ed ex compagni di squadra come Kálmán Mészöly, Gyula Rákosi, Lajos Szűcs e Tibor Nyilasi. Le esequie di Florian Albert vengono trasmesse in diretta dalla TV di Stato. Non c’è TG o programma di intrattenimento domenicale che tenga. I tifosi biancoverdi intonano ancora canti alla memoria del fuoriclasse, uno su tutti:
«Dio sarà con te, Imperatore».
Oggi lo stadio del Ferencváros si chiama Groupama Arena e sembra ricordarsi solo in parte dell’Imperatore Albert: all’ingresso principale c’è una statua che lo ritrae palla al piede. Ma prima che la compagnia assicurativa francese divenisse marketing partner della squadra, nel vecchio impianto troneggiavano due gigantografie verticali: a destra sorrideva in modo composto il giovane campione a inizio carriera. Alla sinistra della porta d’entrata era raffigurato il mito sportivo, divenuto uno stagionato signore di 70 anni in maniche di camicia, prossimo al compimento dell’esistenza in vita.