In una vita spesa tra china e parole il Rosario Central è stata la vera passione del 'Negro'.
“Il Central ha priorità su tutto. Non mi vedranno al compleanno di mia madre, io me ne vado al Gigante. E questa è una di quelle situazioni in cui non si può negoziare”. Poche parole, una semplice affermazione in cui la ragione non trova spazio e viene totalmente sopraffatta dai sentimenti, per descrivere al meglio la personalità e il pensiero dello scrittore che più di tutti rappresenta il fùtbol rosarino, Roberto “El Negro” Fontanarrosa.
Sì esatto, Rosarino, non argentino. Se infatti pensiamo alla letteratura sportiva argentina, inevitabilmente il primo nome che trova spazio nella mente di ogni appassionato di sport è quello di Osvaldo Soriano, “El Gordo”, colui che ha dedicato una vita a raccontare le storie degli “ultimi” e al suo “Ciclòn”. Una foto, scattata presumibilmente tra gli anni settanta e ottanta del secolo scorso, li ritrae assieme seduti a un tavolino, con un bicchiere di vino davanti,mentre con ogni probabilità discutono dei due argomenti a cui hanno votato la propria esistenza: il Fùtbol e la Letteratura.
L’istantanea, tuttavia, rappresenta al contempo l’ampio divario tra la fama raggiunta da Soriano a livello internazionale e la scelta di Roberto Fontanarrosa di tenersi volutamente lontano dai riflettori, aggrappandosi ad una dimensione locale e popolare che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare, tanto da rendere difficilmente traducibili gran parte dei suoi scritti, o perlomeno complicati da accogliere in una cultura estranea a quella della realtà circoscritta da lui raccontata.
La capacità di Fontanarrosa era saper usare il calcio come semplice “metafora”, per descrivere ogni stortura e bellezza della società che lo circondava. Non a caso arrivò più volte a dichiarare nelle interviste che di certo non ambiva al Nobel per la letteratura, ma preferiva che la gente si “cagasse sotto” dalle risate con il suo libro, e sosterrà, sempre di fronte alla stampa, di aver scritto per tutta la sua carriera di “calcio, sesso, calcio, politica, sesso, cultura, calcio…”.
Il suo legame inscindibile con la città di Rosario però non ha impedito allo scrittore di acquisire una certa notorietà a livello nazionale, sin dai suoi esordi sui quotidiani argentini avvenuti negli anni’70 come fumettista. In particolare a procurargli il dovuto successo furono le sue pubblicazioni sul Clarìn, sulle cui pagine disegnò le avventure di Inodore Pereyra, gaucho ribelle, accompagnato dal suo amico più fedele, un cane di nome Mendieta. Tali storie furono raccolte in 15 volumi, tradotti in più lingue straniere.
Inodoro Pereyra insieme al fido Mendieta: i personaggi più celebri del ‘Negro’.
Ma come tutti i numerosi lavori del Negro, anch’essi non sono adatti alla traduzione in una lingua diversa dall’originale, essendo troppo ricchi di riferimenti culturali e letterali alla letteratura “gauchesca”, alla tradizioni folkloristiche argentine, nonché al cinema e al Tango. Aldilà del successo raggiunto in patria però, Fontanarrosa non si è mai allontanato dalle rive del fiume Paranà e ha dedicato la sua esistenza a raccontare Rosario in ogni sua sfaccettatura, ancora una volta servendosi del futbòl come semplice strumento tramite cui analizzare tutti gli aspetti di un mondo che “El Negro” ha vissuto dalla nascita sino alla morte.
Gran parte delle sue storie ad esempio sono ambientate nel caffè che era solito frequentare, “El Cairo”, nel quale trascorreva spesso le sue giornate ed era possibile incontrarlo. Fontanarrosa incarnava perfettamente la città di cui era, e tuttora è data l’immortalità meritatamente raggiunta, figlio. La Rosario costantemente in direzione contraria al flusso europeizzante, sin dai tempi in cui Juan Manuel Belgrano immaginava il sole su sfondo albiceleste per la bandiera nazionale,mentre organizzava la difesa della città dall’attacco spagnolo attraverso il fiume.
Una città dall’animo ribelle, che nelle sue debolezze e difficoltà trova la sua ragion d’essere rispetto al resto del paese e del mondo intero, e nella rivalità viscerale tra Leprosos e Canallas semplicemente continua a vivere, fregandosene delle opinioni provenienti dall’esterno. Nel luogo in cui il Fùtbol coincide con l’esistenza stessa, l’odio tra le due tifoserie meritava di essere degnamente raccontato, seppur da un uomo inevitabilmente schierato con la squadra della parte nord della città, il Barrio di Arroyito.
Così, quando il Negro ha deciso di scrivere di Fùtbol senza secondi fini, lo ha fatto regalandoci quello che, a parere di molti, è uno dei più bei racconti di calcio mai realizzati, “19 de diciembre de 1971” facente parte della raccolta “Puro Fùtbol”. La data in questione è ormai impressa nella memoria collettiva di ogni tifoso del Central sin dal fischio finale dell’arbitro, fino a diventare nel tempo un vero e proprio giorno di festa, la cui ricorrenza si celebra ogni anno nel mondo Canalla.
Si giocava, sul campo neutro del Monumental di Buenos Aires, il clasico Rosarino, valevole per la semifinale del campionato argentino. L’importanza della partita si intuisce appieno dalle parole utilizzate dallo stesso Fontanarrosa:
«No era un partido cualquiera hermano, era una final, final»
Nonostante fosse una semifinale infatti, spiega lo scrittore, la finale di campionato si sarebbe giocata a Rosario, e nessuna delle due squadre, per nessuna ragione al mondo, l’avrebbe persa. La narrazione restituisce in maniera straordinariamente fedele l’aria che si respirava nelle settimane che precedevano la sfida. Elettricità in ogni bar e angolo delle strade: la città era letteralmente una Caldera, bastava un “fòsforo”( fiammifero) per incendiare le due tifoserie.
Un gruppo di amici, mentre progetta la partenza per Buenos Aires, prova ad esperire ogni trucco cabalistico per portare a casa la vittoria. Cercano di ricordare i posti allo stadio nelle vittorie precedenti, pensano addirittura di seppellire dei rospi dietro la porta di Fenoy, portiere del Newell’s, ma poi realizzano che entrare nel Monumental e scavare sulla pista d’atletica gli costerebbe 30 anni di carcere con le catene, dandoci un’immagine abbastanza nitida delle turbolenta situazione politica che attanagliava l’Argentina in quegli anni, per via di un potere militare sempre più opprimente.
Tra bambole vodoo con la maglia de La Lepra e possibili confessioni in chiesa, i ragazzi pensano a tutto per esorcizzare la paura, o “el cagazo”, per citare testualmente le parole di Fontanarrosa, con il suo stile sporco ed elegantemente basso. Insomma era una di quelle partite che “o vinci o vinci”, anche a costo di uccidere la tua stessa madre o far cagare il presidente Kennedy. Proprio mentre qualcuno di loro cominciava a progettare la fuga da casa per l’eventuale sconfitta, passando per la celebre Avenida Pellegrini che attraversa la città, un’idea balena nelle loro menti.
La scultura dedicata a Roberto Fontanarrosa a Rosario.
Ricordano all’improvviso che il Viejo Casale, padre del Cabezon Casale, un vecchio compagno di stadio ormai trasferitosi a nord, non aveva mai visto perdere il Central contro il Newell’s. A quel punto è chiaro a tutti il da farsi. Prima cercano di convincere il vecchio, ormai malato di cuore, a tornare allo stadio, ma nel momento in cui egli rifiuta per i suoi problemi di salute, decidono di mettere in pratica il loro piano. Il Viejo Casale infatti, per evitare un infarto sicuro riconducibile al venire a conoscenza del risultato della partita, aveva assicurato ai ragazzi che sarebbe partito presto al mattino in direzione della casa in campagna di suo fratello.
Al gruppo di amici basta questa informazione per contattare un conoscente, proprietario di un autobus di linea, far sì che il vecchio salga alla fermata e portarlo a Buenos Aires, dando il via all’ “operazione Eichmann”. Quando i passeggeri dell’autobus, medico incluso, cominciarono a far festa, tirando fuori bandiere lunghe 52 metri, cornetti e voce, il vecchio Casale cadde in un silenzio tombale. Ma poco tempo dopo era lì a saltare con gli altri, era parte della “Fiesta Pajarito”, e una volta arrivato allo stadio avvolto in una bandiera cantava a squarciagola.
Dopo il gol di Aldo Pedro Poy, la “palomita” che ogni anno viene ripetuta dal suo autore come un rituale religioso, il vecchio era abbracciato ad un uomo muscoloso, urlava e piangeva di gioia. Al termine di un secondo tempo di sofferenza dominato dal Newell’s, il signor Casale non regge l’emozione per la vittoria e si accascia a terra. I ragazzi però riescono a pensare a una sola cosa: avrebbero pagato tutto l’oro del mondo per perdere la vita in questa maniera, erano sicuri che il loro gesto era necessario per le generazioni future, per i posteri.
Nonostante il racconto sia considerato un capolavoro della letteratura sportiva, la raccolta di cui fa parte non è mai stata tradotta nella nostra lingua, soprattutto perché decontestualizzarla la renderebbe di difficile comprensione, e forse digestione per via del registro stilistico utilizzato, ai più. Al contrario “L’area 18”, uno dei pochi romanzi di Fontanarrosa, è stato pubblicato anche in Italia. A differenza del racconto sopracitato, che parla interamente di Fùtbol e narra dei fatti in cui l’autore era emotivamente coinvolto, L’area 18 è ambientata lontano dal microcosmo rosarino.
Il romanzo si svolge infatti in Siria, dove il protagonista mercenario Best Seller, è al soldo della multinazionale americana Burnett proprietaria di una squadra di calcio, chiamata a giocarsi una partita contro lo stato africano di Congodìa. La particolarità di questo piccolo stato è di aver conquistato la propria indipendenza e altri vantaggi grazie al calcio. La partita si giocherà in un Vulcano, il Mombasa, e qualora dovesse vincere la squadra della Burnett, quest’ultima potrà installare una stazione missilistica nel cuore del continente africano.
Tornando al talento di Fontanarrosa di saper descrivere le dinamiche sociali utilizzando il calcio come semplice strumento interpretativo, senza alcun dubbio il romanzo rimanda ed elabora una critica al neocolonialismo americano, anche in un settore, quello calcistico, che storicamente non ha radici e tradizioni degne di nota nel continente nordamericano, ma che ha attratto sin da subito investitori interessati al puro profitto. Nonostante Fontanarrosa si riferisse alle stelle del Vecchio continente che avevano deciso di concludere la propria carriera negli Usa, ad esempio Pelè ai NY Cosmos, la critica risulta più che mai attuale e a tratti inquietante per via della sua esattezza nel prevedere ciò che sarebbe accaduto in futuro.
Da una Premier League sempre più americana e distaccata dai propri tifosi, al patetico tentativo della Superlega dello scorso maggio. Lo stile sprezzante e ironico nella visionarietà di Roberto Fontanarrosa rappresenta un antidoto alla inarrestabile mercificazione del fùtbol, assuefatto dai riflettori e dai ricavi. Il Negro si è spento il 19 luglio del 2007, data proclamata Dia del amigo canalla, e nel giorno della sua nascita, con la legge 27.100 emanata dal parlamento argentino, si festeggia il Dia Nacional del Humorist. I suoi racconti, così come il rapimento del Viejo Casale, sono un’assicurazione per i posteri, per far sì che le future generazioni facciano prima i conti con la passione e le proprie radici piuttosto che con il denaro.
Il deprezzamento del Pipita nella percezione calcistica collettiva segue quello sul piano economico. L'approdo al Chelsea come ultima spiaggia per tornare a sorridere.