L'italiano segnò un record capace di oscurare persino il football.
Sabato 28 settembre 1996 Ascot, Inghilterra. La cittadina britannica è celebre nel mondo per il suo ippodromo, dove corrono solo cavalli purosangue. Quel pomeriggio un pezzo di Italia si lega a un record non ancora battuto a quasi 25 anni di distanza. E forse neppure battibile, perché oltre il 100% di un’impresa non si può andare. Il fantino di origini sarde Lanfranco Dettori, meglio conosciuto come Frankie, vince tutte le sette gare in programma nel pomeriggio.
L’Inghilterra sbigottisce, in pochi minuti la notizia fa il giro del mondo. Ne parlano tutti i giornali, compresi quelli non sportivi. Anche per i nostri colori c’è motivo di orgoglio, sebbene Dettori viva e lavori da anni in Gran Bretagna. Per un giorno sui tabloid nazionali il calcio deve fare spazio a qualcosa di inaudito. Se prima di quel 28 settembre Frankie era una celebrità nel mondo dell’ippica, da quel momento si tramuta in leggenda dello sport mondiale. La carriera di un grande fantino, figlio d’arte. Imprese eccezionali e qualche caduta rovinosa, non soltanto da cavallo.
Lanfranco Dettori possiede un grande dote. Ma fin dal primo momento ha di fronte a sé una montagna alta e molto ripida. Quando sei figlio di un grande campione e fai lo stesso mestiere di tuo padre, la vita professionale può diventare dura. Il paragone è sempre dietro l’angolo e di rado se ne esce illesi. Qualsiasi successo, anche importante, contiene un cono d’ombra più o meno ampio e ritrovare la luce spesso non è semplice. La montagna in questione si chiama Gianfranco Dettori. Un supervincente dell’ippica italiana venuto dal nulla, campione quasi per caso. Vale la pena di raccontare in breve questa storia, perché è esemplare della prepotenza naturale del talento, quando c’è davvero.
Verso la fine degli anni 60 Gianfranco Dettori, classe 1941, è emigrato dalla Sardegna a Roma. Il sogno è quello di diventare un fantino di successo ma per vivere si adatta a fare un po’ di tutto. Tra i vari lavori che in quegli anni svolge, viene assunto all’Ippodromo delle Capannelle come uomo di pulizia dei cavalli e delle scuderie. Non ha mai cavalcato, ma a forza di seguire cavalli ha capito molto della loro natura e del temperamento che distingue ronzini e purosangue. Ha compreso una cosa essenziale: ci vuole comprensione ed empatia, ma loro devono sempre sapere chi comanda, mai farsi sottomettere.
E lui non è tipo da lasciarsi sottomettere, né da uomini né da cavalli.
Un giorno Gianfranco decide di cavalcare un esemplare ritenuto particolarmente ostico e, sia pure con uno stile ancora da rivedere, lo doma. Il cavallo in questione sarà anche bizzarro, ma ha appena trovato pane per i suoi denti. Dettori (e non soltanto lui) scopre così di avere una grande capacità, un talento da affinare e utilizzare al meglio in pista. Nasce all’improvviso la carriera di un fantino capace di vincere 3798 volte, secondo assoluto nella storia dell’ippica italiana. All’inizio degli anni 90 il campione decide di ritirarsi.
Anche suo figlio Lanfranco è molto dotato e Gianfranco decide di seguirne al meglio lo sviluppo professionale. C’è una parte del patrimonio tecnico che non si può tramandare, ce l’hai o non ce l’hai, ma da un uomo come Dettori senior si può imparare tantissimo. Gianfranco lo sa, lo ha vissuto sulla propria pelle: il talento da solo non basta. In un mondo come quello dell’ippica, specie a livelli top, devi essere anche il più tenace, il più scaltro. Scorretti mai, ma duri sì, con se stessi e con il cavallo. Serve perfezionarsi ogni giorno senza dare nulla per scontato o per acquisito. Puoi sempre trovare uno più tosto di te e conoscerlo non è mai una gioia.
All’età di 15 anni Lanfranco Dettori (nato a Milano alla fine del 1970) si trasferisce in Inghilterra. Per l’esattezza a Newmarket, contea di Suffolk. È una zona del Paese in cui lo sport ha grande importanza e nella quale sono nate personalità di spicco come il re della Formula 1, Bernie Ecclestone. Da quelle parti dell’Inghilterra orientale tifano quasi tutti per l’Ipswich Town, ma il calcio è costretto a dividere la sua importanza anche con altre discipline. Con l’ippica, per esempio.
Il ragazzo ha tutto del bravo fantino. Statura piccola, predisposizione naturale, voglia di vincere, ottimi esempi familiari. È l’intelligenza di Gianfranco a evitare sovrapposizioni nocive: suo figlio Frankie, come lo chiamano nell’ambiente, è fantino perché è bravo, non per via del cognome che porta. Dunque, intende aiutarlo a seguire una strada simile alla sua, ma in modo differente. Senza problemi economici (e questo già non è poco), solo un sano desiderio di migliorarsi e di vincere. Del resto, è come se una linea invisibile unisse le generazioni.
Gianfranco ha imparato il mestiere da Andrea Degortes (in arte Aceto, star per anni del Palio di Siena), Frankie assimila quel sapere dal padre e da persone di fiducia di Gianfranco. Come Luca Cumani, altro fantino italiano che ha fatto fortuna oltre la Manica.
In Italia non c’è futuro, sostengono in molti, bisogna formarsi in Inghilterra. La vita nel Suffolk non è semplice perché rispetto alla madrepatria le abitudini e i ritmi cambiano in modo radicale. No, non è affatto semplice, motivi di disagio non mancano. Nei confronti degli italiani un certo pregiudizio esiste sempre e il regime alimentare locale a Frankie proprio non piace. Ma a tutto ci si abitua, se si ha un obiettivo chiaro. Per esser campioni bisogna sognare da campioni, senza tralasciare gli studi.
Sono passati diversi anni da quando un ragazzino, intimorito ma non troppo, viene messo in mani sapienti per diventare un fantino di buona prospettiva. Ora nell’ambiente lo chiamano “il mostro” e non certo perché è brutto. Forse sarebbe più adatto “il cannibale”, ma a prendersi quel nom de plume hanno pensato nei decenni passati Eddy Merckx nel ciclismo e Giacomo Agostini nel Moto GP. Questioni anagrafiche e di fame nello stomaco. Ma ciò che accade il 28 settembre di 24 anni fa è davvero l’opera di un cannibale che non va a due ruote ma a quattro zampe.
Ascot non è soltanto un ippodromo importante, è un tempio dell’ippica mondiale. Già il semplice fatto di essere alla linea di partenza è l’indice di un valore molto alto. Quel pomeriggio Frankie Dettori trascende quel valore e passa direttamente alla storia. Sette corse in programma, le vince tutte. Nessuno avrebbe creduto in un’impresa del genere, ma non per sfiducia. Semplicemente perché il Magnificent Seven è qualcosa che non ha dell’umano. Davvero nessuno avrebbe creduto nell’impresa? Non è così, a ben vedere. Uno c’è.
Non se n’è mai conosciuto nome e cognome, ma uno scommettitore in vena di follie decide di puntare il corrispettivo di 100mila lire italiane su Frankie vincitore per sette volte di fila. Grazie a quell’intuizione l’anonimo guadagna il corrispettivo di un miliardo e mezzo di vecchie lire e senza dubbio cambia vita. Il mondo ha un riccone in più, l’ippica annovera una leggenda vivente. Che il ragazzo fosse un jockey molto capace, papà Gianfranco l’aveva capito subito. Forse però, non fino a questo punto. Anche oggi, alla soglia dei 50 anni, Frankie Dettori non potrà più considerare il 28 settembre un giorno qualsiasi. Quello è il suo perfect day per sempre.
Per quasi un ventennio, fino al 2012, l’italiano è prima monta del team Godolphin, di proprietà dello sceicco emiratino Mohammed bin Rashid Al Maktum. Il lungo sodalizio porta un numero di successi impressionante. Vince ovunque: negli Stati Uniti, in Giappone, a Dubai e a Melbourne, oltre che in Inghilterra, per un totale di 553 Gran Premi. Poi il rapporto con il team s’incrina all’improvviso. Poco dopo, a Parigi il jockey italiano viene trovato positivo alla cocaina. Gli viene comminata una squalifica di 6 mesi ma è soprattutto il danno d’immagine a fare male.
Poi ci si mette anche la sfortuna. Quando rientra in pista nel 2013, è pronto per correre all’Arc de Triomphe, ma un incidente a pochi giorni dalla manifestazione cambia tutti i programmi. È un momento molto duro per Lanfranco Dettori detto Frankie, forse il peggiore della carriera. Qualcuno lo dà per finito, ma non soltanto i cavalli possono essere dei purosangue: il talento fa la differenza, ma il carattere crea le distanze. E poi la costanza le mantiene.
Il 4 ottobre del 2015 il fantino italiano ci riprova. “L’Arc” è sempre quello “de Triomphe” e la pista è ancora una volta quella di Longchamp. Al vincitore andrà un premio di 5 milioni di euro. Il cavallo è Golden Horn. Una corsa perfetta, gestita senza strafare ma senza mai vendere false speranze agli avversari. Il numero uno assoluto è ancora Frankie Dettori. È lui a salire sul podio parigino per la quarta volta in carriera, forse la più bella. Chi lo dava per finito, è costretto a mutare opinione. L’importanza di credere in se stessi sempre, non soltanto nei momenti di gloria. Troppo facile, nei momenti in cui la propria stella splende.