Tredici anni fa veniva ucciso un cittadino italiano.
L’11 novembre del 2007 alle ore 9:18 viene ucciso Gabriele Sandri per uso improprio ed illegittimo di arma da fuoco da parte dell’agente di Polizia Stradale Luigi Spaccarotella. In questi 13 anni, nonostante una sentenza definitiva della Cassazione a 9 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio volontario, la vicenda è rimasta avvolta da un alone di mistero dovuto a inesattezze narrative e giornalistiche.
Con certezza possiamo dire che non c’è stato alcuno sparo per aria, che non è stato un tragico incidente come stato descritto da più redazioni italiane e che proprio quest’ultime, insieme alla Polizia di Stato, hanno commesso dei gravi errori di comunicazione. Senza dimenticare l’errore più grave: accomunare l’omicidio di Gabriele Sandri alla violenza negli stadi, paragonando questo fatto di cronaca nera con la drammatica morte del giovane ispettore di polizia Filippo Raciti. Gabbo, uno dei suoi soprannomi, quell’11 novembre del 2007 non è stato ucciso come o perché tifoso della Lazio: Gabbo è morto come cittadino della Repubblica Italiana. Per dirla con De Andrè:
“È una storia un po’ complicata
È una storia sbagliata
Cominciò con la luna sul posto
E finì con un fiume di inchiostro”.
LA VERA VERITÀ DEI FATTI
Sono circa le ore 21 del 10 novembre 2007, Gabriele è a casa con il papà Giorgio. Quest’ultimo, conoscendo gli impegni del figlio, lo invita a non partire la mattina dopo ma a riposarsi e a guardare dal divano di casa Inter-Lazio, evitando così la trasferta. La serata di Gabbo infatti si prospetta impegnativa: prima una birra con gli amici al pub Excalibur, nota roccaforte del tifo biancoceleste, poi la discoteca, il Piper Club.
Gabbodj, così è conosciuto nell’ambiente, suona e anche con discreto successo tanto da essere invitato nelle discoteche più “in” di Roma e della Costa Smeralda. La serata va più che bene, mette l’ultimo disco alle 4:30, si fa una doccia a casa e poi torna di corsa all’Excalibur. Si incontra con i suoi compagni di trasferta e insieme ad altri quattro sale su una Renault Scènic grigio metallizzata.
Giusto il tempo di inviare l’ultimo SMS a Lorenzo De Silvestri, all’epoca giocatore della Lazio, al quale scrive: «Daje Lò, ho appena finito di suonare. Come al solito in partenza per condurvi fino alla vittoria. Sempre con voi», per poi addormentarsi sul sedile posteriore. Sei ore di macchina prima di entrare nella Scala del calcio: San Siro. O meglio, così avrebbe dovuto essere.
Sfortunatamente la storia di Gabbo, da questo momento, quando ormai la luna ha lasciato il suo posto, diventa una storia sbagliata. I cinque ragazzi infatti optano per una rapida sosta all’area di servizio Badia al Pino Est, direzione Firenze. Destino vuole che nello stesso Autogrill ci siano altri 5 ragazzi romani in viaggio, questi però non laziali ma juventini, membri dello “Juventus Club di Roma” e diretti verso Parma.
I due gruppi si riconoscono, si studiano e appena finito il caffè, nel parcheggio, una battuta riuscita male fa scattare la scintilla. Quaranta secondi di follia: urla, spintoni, calci e pugni. Nella stazione di servizio speculare sono presenti quattro agenti che hanno appena fermato due automobili sospette. All’interno ci sono dei militanti di estrema sinistra in possesso di coltelli e strumenti tesi ad offendere.
I poliziotti, attirati dallo scompiglio creato dall’altra parte della carreggiata, interrompono momentaneamente il controllo su questi ultimi, azionando le sirene delle gazzelle per rendere manifesta la loro presenza. In più Luigi Spaccarotella, uno dei quattro agenti, sale sopra un terriccio alto circa due metri intimando ai facinorosi all’autogrill di disperdersi. Nel giro di qualche secondo laziali e juventini sono in macchina diretti verso l’uscita della stazione di servizio. Gabriele si trova sul sedile centrale dei tre posteriori, stretto tra i suoi amici Simone e Federico.
Stanno ripartendo ma nel frattempo dall’altro lato della strada, dopo qualche urlo minaccioso, Spaccarotella estrae dalla fondina la sua Beretta 92SB. Impugna l’arma con entrambe le braccia parallele al terreno, prende la mira per una decina di secondi verso quella Renault Scènic con a bordo 5 civili e a 66 metri distanza fa partire il colpo. Ilproiettile attraversa 6 corsie autostradali a una velocità di 385 metri al secondo. Quel bossolo, calibro 9, centra in pieno il collo di Gabriele. Senza neanche il tempo di fiatare, Gabbo se ne è andato. Questo è ciò che è accaduto a Gabriele, il resto è finzione.
LA FINTA VERITÀ DEI FATTI
Nonostante ciò, il primo lancio della notizia da parte dell’agenzia ANSA, due ore dopo, recita:
“Una persona è morta dopo uno scontro tra tifosi in un’area di servizio lungo l’A1. […] La vittima sarebbe stata raggiunta da un colpo di pistola. Tutto è avvenuto nell’area di servizio Badia al Pino dove si sarebbero scontrati tifosi della Lazio e della Juventus”.
A rincarare la dose è La Notizia qualche minuto dopo, come segue:
“In seguito ad uno scontro in autostrada tra due gruppi di ultras, un sostenitore laziale è morto colpito da un colpo d’arma da fuoco sparato da un gruppo di juventini. Chiara la matrice: è la faccia più cruda, estremista e delinquenziale del tifo. […] Infine la polizia è poi intervenuta sul posto per ripristinare l’ordine pubblico, scongiurando peggiori conseguenze”.
Per il circuito nazionale dei media quindi non c’è nessun dubbio: la colpa è del tifo violento e a sparare è stato un tifoso. Qualcuno potrebbe obiettare che non è la verità, ma questo non sembra interessare più di tanto in quel momento. La notizia ha appeal mediatico, la violenza dei tifosi occupa facilmente le prime pagine e soprattutto è facile da condannare. Tre elementi che bastano per riempire tutti i siti d’informazione. L’ANSA alle 12:23 cerca di aggiustare il tiro: «[…] un agente avrebbe sparato un colpo di pistola per aria». Narrazione però che resta piuttosto ambigua.
La Lazio tornerà in campo contro il Parma, in uno Stadio Olimpico semi-vuoto e addolorato per la perdita di Gabriele Sandri. La decide Fabio Firmani, amico stretto di Gabriele come Lorenzo De Silvestri, al minuto 90. L’abbraccio dei giocatori e dei tifosi all’effige di Sandri rimane una delle scene più belle ed emozionanti nella storia di questo sport
A questo punto, manca un solo elemento per la più classica delle narrazioni: la diffamazione della vittima perché tifoso. Di questo se ne occupano i telegiornali nazionali. Un servizio delle 13:00 riporta: «La vittima, laziale di 25 anni, avrebbe precedenti per reati da stadio, non è chiaro se avesse il D.A.S.P.O.». Gabriele come detto non è un santo, è vero, ha subito nel 2002 un processo perché apparentemente coinvolto in degli scontri ma il suo caso è stato archiviato dal gip di Milano e lui dichiarato innocente.
Quale che sia la reazione dei media, a stupire è soprattutto la decisione della FIGC che ordina di giocare tutte le partite ma con 10 minuti di ritardo esclusa Inter-Lazio: questa sì, rinviata.
Usando le parole di Roberto Baronio, all’epoca capitano laziale: «Non deve passare il messaggio che esistano morti di Serie A e di Serie B». Invece scendendo in campo, dopo tutto ciò che è stato scritto e detto quella mattina, è stata data esattamente l’impressione opposta, scatenando così le ire degli ultras di tutta Italia i quali quella sera hanno messo a ferro e fuoco le città, assaltando diverse caserme.
La morte di Sandri, lo ripetiamo, non ha a che fare con il mondo del pallone e la scelta migliore sarebbe stata quella di trattarla come ciò che era: l’omicidio di un cittadino italiano da parte di un membro della polizia di Stato. Sarebbe bastato dire la verità fin da subito, evitare strumentalizzazioni e contentini come i 10 minuti di ritardo sui campi.
Giustizia è stata fatta?
Probabilmente, così, quel giorno si sarebbe scongiurata la guerriglia, conseguenza dell’idea diventata comune in quelle ore: «se muore un carabiniere si ferma tutto, se muore un tifoso si gioca» (con riferimento al caso Raciti, ovviamente). Invece è stato preferito destinare “Gabbo” ai morti da stadio associando il suo nome a tragedie come quella di Stefano Furlan, Vincenzo Paparelli, Antonio De Falchi pur non avendo nulla a che fare con questi. È stato preferito il titolone, la prima pagina. Si è scelto di fare una conferenza stampa alle 17 dello stesso giorno, indetta dalla Questura di Arezzo con presenti Vincenzo Giacobbe e Roberto Sgalla, rispettivamente Questore di Arezzo e portavoce della Polizia, sempre con lo stesso leitmotiv.
Riportiamo alcune parole del primo: «Uno dei nostri operatori ha pensato di sparare due colpi in aria a scopo intimidatorio per cercare di convincere, come dire, con dati di fatto, che la Polizia era lì e che poteva intervenire da un momento all’altro». Gli spari per aria però difficilmente colpiscono macchine in transito. Aggiungiamo un fatto non trascurabile, degno dei peggiori totalitarismi: non è stata data la possibilità a nessun giornalista di fare domande.
A rincarare la dose se ne occupa l’allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato dicendo: «Sembrerebbe trattarsi del tragico errore di un agente che era comunque intervenuto per evitare che una rissa tra tifosi potesse degenerare […]». Tragico lo è senza alcun dubbio, è la parola errore che rimane ambigua. Si tratta di errore quando accidentalmente viene esploso un colpo, non quando un poliziotto esperto, in servizio da 12 anni come Luigi Spaccarotella, pianta i piedi per terra, stende entrambe le braccia parallelamente al terreno, prende la mira per circa 10 secondi e poi spara.
Sono passati tredici anni e la storia di Gabriele è finita con un fiume di inchiostro. Sono tante le domande che fa sorgere questa vicenda: perché Luigi Spaccarotella nell’aprile del 2008 è tornato in servizio alla Stazione di Santa Maria Novella? Nel diritto penale l’imputato è, giustamente, innocente fino a prova contraria – da dimostrare in processo – secondo il principio di presunzione di non colpevolezza, ma davvero è lecito farlo tornare a lavoro senza neanche un provvedimento disciplinare?
È corretto farlo nonostante l’agire del poliziotto sia stato condannato pubblicamente da diversi Procuratori, Prefetti e Questori? «Un atteggiamento del genere sarebbe stato irresponsabile anche se fosse stata una rapina. Non si spara, perché la pistola è l’estrema ratio. È stato un gesto di follia», sono parole di Ennio Di Cicco, Procuratore Capo di Arezzo.
Perché poi la prima testata ad aver affermato che un poliziotto aveva ucciso un ragazzo è stata estera e non italiana? La BBC infatti l’11 novembre ha immediatamente lanciato la notizia scrivendo “Italian police kill football fan”. Perché, ancora oggi, in Italia c’è tanto timore nel raccontare la verità? Quello che è certo, 13 anni dopo, è che Gabriele non c’è più e che Luigi Spaccarotella non ha mai avuto un reale cenno di pentimento. Spaccarotella non ha mai davvero chiesto scusa alla famiglia Sandri e ammesso le proprie colpe. D’altra parte, neanche le scuse lo riporterebbero in vita.