Compie 54 anni uno degli oggetti più misteriosi nella storia calcio d'Oltremanica.
Far conoscere Gazza ai più giovani, a quelli che non hanno vissuto l’euforia del “laziale con l’orecchino” sbarcato a Fiumicino e accolto con gli stessi onori che sanno riservati a Ivan De La Pena (altro oggetto misterioso), è assai difficile. Il suo ricordo calcistico si è andato sbiadendo nei meandri di una vita privata di (eccessivo) pubblico domino. Lo splendido goal contro la Scozia, con tanto di sombrero sul roccioso difensore Colin Hendry, in un pomeriggio assolato ad Euro 96 e la conseguente esultanza “dentist chair” sono il suo poetico epitaffio scritto in vita.
Parlare di Gascoigne è ormai diventato più un esercizio di stile che non la ricerca ontologica di verità tra la pieghe dello spazio-tempo. Paradossalmente l’inafferrabilità dell’uomo Paul e la discontinuità del giocatore Gascoigne hanno creato quel personaggio di nome Gazza, un pulcinella tragico, come ogni maschera del teatro napoletano, di cui abbiamo riso più di quanto avremmo voluto. Un personaggio che, come un feroce carceriere, non ci permette di andare a far visita a chi sta dietro le sbarre.
E dunque siamo oggi qui, nel giorno del suo compleanno, a chiederci se si può parlare dell’invisibile. Chi ci ha provato ed in parte ci è riuscito – un compito del genere è ovviamente sempre fallimentare – è Jane Preston nel suo documentario del 2015. L’occhio della regista ha catturato un uomo che, apparentemente senza maschera, ne conserva a tal punto il ricordo da non ritrovarsi più nella sua stessa storia. I suoi ricordi sembrano quegli degli altri raccontati, per giunta, tramite un telefono cinese il cui messaggio finale è sempre diverso da quello iniziale.
Per questo qui non facciamo né omaggi né elogi funebri al Fu Mattia Gascoigne, in realtà mai realmente esistito. Proviamo infatti a pensare ad un calcio senza Gascoigne. Cosa cambierebbe? Nulla. La Nazionale Inglese di Italia ’90 verrebbe comunque sconfitta ai rigori contro la Germania dal momento che Gascoigne decise effettivamente di non tirare il suo rigore. Il Tottenham del 1991 vincerebbe lo stesso la FA Cup perché Gascoigne, infortunatosi seriamente dopo 15 minuti, lasciò tutto in mano ai suoi compagni.
La Lazio farebbe comunque tre stagioni importanti dal momento che il ragazzo di Gateshead non toccò neanche quota 50 presenze andando a segno solo 6 volte. Il suo ricordo forse potrebbe ancora aleggiare tra i tifosi dei Rangers con cui vinse tre campionati e due coppe nazionali, anche se il clamore e i record realizzati da Steven Gerrard in questi ultimi anni hanno oscurato la storia recente. Forse gli unici a cui genuinamente potrebbe mancare sono i tifosi del Newcastle, squadra dove ha mosso i primi passi. Uno dei più importanti sociologi Britannici, Paul Gilroy, ha addirittura visto in Gascoigne il simbolo di una possibile “etnia” Geordie. Come a dire che la gente di Newcastle è un discorso a parte.
Dunque se Gascoigne calciatore non fosse mai esistito come potremmo parlare di lui? A questo punto arriva in nostro soccorso la maschera teatrale Gazza che si posizionerebbe al centro di un’Isola. Non un’isola a caso bensì quella dei Famosi. La scelta di Gazza di parteciparvi è alquanto paradigmatica della sua intera esistenza. Un’isola – dunque il simbolo dell’isolamento – piena di persone quasi famose o comunque non del tutto sconosciute. Così Gazza viene (ri)presentato al pubblico italiano come uno dei giocatori più talentosi della sua generazione, dalle grandi capacità di dribbling e finalizzazione. Ma soprattutto, come scrivono gli autori dell’Isola dei Famosi,
“Paul è noto fuori dal campo per la sua personalità trasgressiva ed eccentrica ma ora è pronto a rimettersi in gioco. Riuscirà ad andare a segno nella grande sfida dell’Isola?”.
Tra una pisciata al vento e una lotta accanita con la lingua italiana, Gazza è riuscito ad infortunarsi nelle cosiddette prove premio – una sorta di aggiornamento dell’esperimento del cane di Pavlov – rompendosi un tendine e un legamento della spalla. La sua esperienza è durata molto poco, e uno dei pochi con i quali ha legato è stato Gilles Rocca, modello e vincitore di Ballando con le Stelle con un passato proprio nella Primavera della Lazio (forse uno dei pochi a conservare ancora il ricordo calcistico di Gascoigne).
Come nel campo, così nella vita e nel reality, l’autosabotaggio – ormai atto inconsapevole ma unica presenza costante della vita di Paul Gascoigne – ha preso il sopravvento.
In questo giorno di festa (triste) vorrei salutare Gazza con le parole del sito Coming Soon che ha recensito la presenza del nostro Paul all’Isola dei Famosi quasi fosse una pagella di Matteo Dotto per Controcampo: “Questa, tuttavia, sarà l’ultima volta che vedremo Paul nel parterre degli ex concorrenti. A darne annuncio è Chi, che ha rivelato che il naufrago ha deciso di lasciare l’Italia e tornare in Inghilterra, dove si sottoporrà a cure e interventi per sistemare lo stato disastroso della sua spalla. L’assenza di Gascoigne è un duro colpo, dal momento che siamo sicuri che lo sportivo avrebbe potuto regalare ancora tanto trash.” Gazza maschera del trash – anima fragile per usare le parole di Vasco. Tanti auguri.
In tutto questo non può mancare una playlist di compleanno. Ovviamente il genere sarebbe quello cupo della new wave e velatamente aggressivo del post-punk inglese. Si partirebbe con un classico dei The Cure come Boys don’t cry per ricordarci di quelle lacrime che Paul cercò di trattenere a Italia ’90.
Poi si passerebbe a Don’t You Want Me dei The Human League, vera e propria hit del gruppo di Sheffield che racconta l’incontro in un bar – seconda casa di Paul – e i dubbi di un possibile rifiuto da parte del partner. Poi ovviamente Don’t You Forget About Me dei Simple Minds che sembra essere il mantra di Paul: “non vi scordate di me”. Si chiuderebbe poi con un classico dell’allegra tristezza degli anni ’80, vale a dire The Killing Moon di Echo & The Bunnymen. Fin quando non ti abbandonerai al tuo destino non sarai mai completo.
Il Leicester è l'ultima squadra inglese sopravvissuta in Champions League ed è anche la nostra unica speranza di veder trionfare il vero calcio inglese, quello delle vecchie abitudini, di una classe operaia ormai stuprata da soldi e idealisti del pallone.