Un uomo e un obiettivo: distruggere lo sport.
Il sole è alto sopra il mare e il cielo splende d’un celeste intenso. Non aleggiano nuvole sopra Barcelona. Un nuovo giorno vede la luce e Don Gerard Piqué Bernabéu scruta l’orizzonte alla ricerca di una altra delle sue pensate. Il giovin signore azulgrana ha ormai smesso i panni del futbolista, del ministro della difesa del Barça campeon di tutto. Imprenditore, padrone, ma con quel non so chè di arroganza che lo circonda. Lo sguardo sicuro, due occhi azzurri, ma freddi. Marchese di Catalunya e Andorra e, visto che il titolo non si compra, meglio buttarsi sulla squadretta locale.
Perdonaci Gerard, ma abbiamo tutta l’impressione che le tue idee, seppur di successo, stiano togliendo anima e core al nostro amato pallone. Esagerazioni? Forse. O Forse no.
A noi piace immaginarcelo così. Vestito di tutto punto, un Alberto Sordi iberico del ventunesimo secolo, attorniato da una corte dei miracoli di camerieri, valletti e soprattutto vallette. La noia mortale nel dover inseguire la popolarità dell’ex moglie, tra canzoni al vetriolo e tweet di vendetta. Le giornate passate alla ricerca di giovani amanti e di dirette Twitch con Ibai Llanos, l’amico di sempre. “Don Gerard, il popolo ha fame!”. “Date loro la King’s League”. Un po’ Marchese del Grillo, un po’ Maria Antonietta, stufo e annoiato dal prato che ha abbandonato a metà stagione, quando l’amico (o ex?) di sempre Xavi gli ha indicato che la via per il Camp Nou era finita. O chioccia o businessman.
Don Gerard, non ci pensare nemmeno. I soldi sono la tua strada. Rovinare quel poco di romanticismo che è rimasto nello sport la tua missione. Non sono passati nemmeno dodici mesi dalla passarella di tributo della tua gente e, nonostante tu abbia contribuito in minima parte alla vittoria in Liga, già esibisci un palmares di tutto punto nella tua bacheca. Supercopa del Rey, Coppa Davis e King’s League. Non preoccupatevi, Don Gerard non si è dato al tennis. Al massimo, modaiolo incallito, si diletta a padel e chissà che non distrugga anche questo.
Il “nostro” ha la seria intenzione di mettere le mani, da vero squalo, nel mondo sportivo e rivoltarlo come un calzino. Un calzino dal quale escono migliaia e migliaia di euro (per lui e il fido Ibai) e nulla più. Gratta, gratta e non trovi niente. Anima, passione, tifo, interesse, anche dispute da sfottò che tanto ci piacciono. “Brasile”, amico caro, queste righe le avresti dovute vergare tu e invece mi tocca raccontare di questo figlio di papà che, un po’ come i sauditi, si è stufato del giocattolino, ma invece che buttarlo, lo rompe fino in fondo. A che scopo, mi direte? “El dinero” signore e signori, o comunque la popolarità, la “gloria”. Almeno, sino a che la pelota scoppierà.
Piccolo riassunto delle puntate precedenti di Don Piqué, che ci sogniamo parli in simil castigliano – romanesco e che urli durante uno streaming “Yo so yoy y vosotros nun sois un cazzo”. Si parte da obiettivi di secondo livello, tipo la Supercopa di Spagna. Trofeo minore, che si gioca in pre campionato ad agosto. Certo, vincerlo conta e ogni tanto ti capita di incrociare i Blancos del Real, quindi perchè non dare il massimo dinnanzi ai 96mila del Nou Camp? Solo che, da quando hai creato la Kosmos e stipulato una partnership con i giapponesi di Rakuten (sponsor Barça), ti gira in testa una stramba idea.
«La Supercopa fa schifo, non se la fila nessuno. Nemmeno se la giochiamo a Tangeri. E se andassimo a Jedda? Anzi, se facessimo un mini torneo a quattro? Tanto, di match nel calendario della stagione ne abbiamo pochi, possiamo anche permetterci novanta minuti in più a gennaio nel deserto. Ne parlo subito con gli scheicchi». Gerard, noi ti siamo entrati nella testa, forse avrai usato un lessico più consono o più paraculo, ma devo dirti che ci piace tanto pensarti in tal modo. Una Liga con 20 squadre, poi c’è la Copa del Re, la Champions e fino a qui tutto bene.
A ottobre, di solito, si gioca un classico delle qualificazioni europee, un bel Furie Rosse vs Macedonia del Nord e non si può mancare. Alla nazionale ci tengo, non sono mica un Verratti qualsiasi. Poi, cosa abbiamo? Ah si, dimenticavo la pausa di novembre, dove non si può stare a casa a oziare. Un bell’aereo per il Gabon che ci aspetta una amichevole storica. In tutto questo fritto misto che manco la paella dei valenciani, perchè non infilarci il nuovo format di supercoppa, per giunta con la cornice extra lusso di annoiati sceicchi di bianco vestiti, Patek Philippe al polso e Iphone luccicanti che se ne sbattono del calcio, ma dei soldi non possono fare a meno!?
Sei un genio! E dire che non era nemmeno la prima volta che ti saltava nella cabeza una roba simile.
Raccontaci del tuo fiore all’occhiello. Come hai fatto a farti venire in mente di mandare al Diavolo oltre un secolo di racchetta, umilando la Coppa Davis? Guarda che è impresa per pochi, degna di un vero top player. Ma poi hai messo tutti d’accordo. Contro di te, ovviamente, ma che te frega? Tanto la ITF ti ha subito accolto a braccia e portafoglio aperti! Noi vecchi romanticoni, un po’ nostalgici e un po’ testardi, dobbiamo allora ringraziare chi, ai vertici del tennis mondiale, ha strabuzzato gli occhi stracciando un accordo di venticinque anni (avete letto bene) per mancato raggiungimento degli obiettivi finanziari.
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Da qui a dire che la competizione possa tornare all’era pre 2019 ce ne passa, ma chissà che non sia un primo passo. Intanto, per renderti fiero della tua creazione, ci piace ricordare la definizione di Mister Divismo, Adriano Panatta, che di Davis se ne intende. «La Coppa Piqué? Non la guardo fino a che rimane questo format». Come dici? Adriano nostro è un esemplare da museo, che poi la tua Davis l’ha pure vista e commentata?
Allora, dai uno sguardo a Twitter, X o come si chiama e rileggiti il tweet di Stan Wawrinka, a cui hai pure risposto come un 15enne reagisce ai commenti di Facebook. Foto eloquente di spalti vuoti e tag sistemato al momento giusto che ti chiama in causa. Lo svizzero quel trofeo lo ha pure vinto e sembra che abbia intuito quanto alla gente gliene importi. Siamo arrivati al punto, caro Gerard, che il mondo racchettaro aspetta più le Finals di novembre che la finale di questo strano mostro simile a un mondiale di calcio itinerante e una esibizione di vecchie glorie.
«Come osi parlare? Hai letteralmente ucciso uno dei pilastri del tennis insieme all’ITF. Per favore almeno tieni chiusa quella ca**o di bocca»
Julien Benneteau (ex tennista) rivolto a Gerard Piqué
Visto che abbiamo tirato in ballo il compianto Albertone, verrebbe da dire “aridatece” un bel Zimbabwe-Italia dei tempi d’oro, con i fratelli Black imbattibili nel doppio e i nostri Gaudenzi e Furlan a ribattere nei singolari. La Kosmos si è tirata fuori, ancora una finale a Malaga e poi si vedrà. Pique e i suoi sembrano aver mollato la presa del court e menomale. Nei nostri incubi stava già arrivando un Wimbledon giocato a Dubai, con erba finta fabbricata da centinaia di indiani sottopagati nei meandri della metropoli emiratina, con esibizione pre gara in stile superbowl e la pioggia finta per far apparire tutto come se fosse in terra d’Albione. Adios tennis, sei vecchio e da buttare. Abbiamo nuovi giochi a cui dedicarci.
Il nome sembra evocare Artù e la Tavola Rotonda e invece, ancora una volta, ci ritroviamo di fronte a una pacchianata in perfetto Pique style. La Kings League, campionato di calcio a sette spagnolo, con dodici squadre composte da un pugno di vecchie glorie e i nuovi vip tanto cari ai Millenials. Gli streamer e i tiktoker. Troppe parolacce in una sola frase, perdonateci, ma non potevamo fare altrimenti. D’altronde, dopo aver gettato fango su calcio e tennis, non poteva farsi mancare il divertimento di noi comuni mortali. Il vecchio calcetto trasformato in una diretta streaming con personaggi da cinepanettone, telecronisti improvvisati, Twitch e TikTok a farla da padrona che mancano solo Cassano e Adani e il circo è bello che fatto.
Sergio Aguero e Iker Casillas in campo, l’immancabile Ibai gran cerimoniere e Sor Gerard a coordinare tutto. A onor del vero, le finali disputate nel solito catino blaugrana sono state un successo di pubblico, ma ci sembrava di essere dentro un grande impianto nordamericano piuttosto che all’interno di uno dei templi del football europeo. Via i campioni e dentro gli influencer. Telefonini pronti alla prossima live, nomi di team che sembrano usciti dalla trilogia del Mariachi e un brindisi in onore della morte del pallone.
Riuscirai mai a fermarti, Señor Pique?
Ci mancavano gli esports, con gli investimenti dirottati in Rogue, organizzazione dedita agli sport online, tra i quali non può mancare la celebre League of Legends. Sarà che siamo antichi, vecchi pirati che vanno controcorrente, bastian contrari romantici che combattono la loro crociata contro gli xgoals e le nuove diavolerie che, da Infantino in giù, il gotha (sic!) del calcio ci propina ogni giorno, ma proprio non riusciamo ad appassionarci a tutto questo. Ci sembra di essere comparse dentro un b movie tipo “Rollerball”, l’umiliazione dello sport misto a violenza per la gioia di teletifosi assetati di sangue.
Nel magico mondo di Gerard Pique da Barcelona questo gusto truculento non è ancora entrato. Gli basta, per ora, sollazzarsi a massacrare la sacralità del gesto sportivo, sia esso il calcio o il tennis. Soffocare un secolo e oltre di storia e di mito con qualche badilata di capricciosa innovazione, mentre i suoi giovani e ignoranti follower, addormentati dinnanzi a un fottuto schermo, avanzano a colpi di like, in ossequioso omaggio al Re Distruttore d’ogni qualsivoglia disciplina.