Nello studio di casa Vialli ci sono numerosi post-it affissi alle pareti. Apparentemente nulla di strano. In realtà quei foglietti gialli non sono dei memoranda, bensì dei mantra, delle frasi motivazionali che Gianluca ogni mattina si annota e legge. Tra i tanti presenti ce n’è uno in particolare, un proverbio giapponese che altro non può se non riassumere in maniera migliore gli ultimi 4 anni e mezzo della sua vita: «cadi sette volte, rialzati otto». Gianluca Vialli è il calciatore forte e deciso che ha fatto sognare Sampdoria, Juventus e Chelsea, è poi l’imprescindibile e prezioso capo delegazione della Nazionale di calcio e, infine, è l’uomo. Un uomo comune, come tutti, sospeso tra ambizioni e desideri, debolezze e timori. Sperimentati nella carne dal novembre del 2017, quando gli viene diagnosticato un cancro al pancreas.
A «quel compagno di viaggio indesiderato» – come è solito considerarlo – non bisogna fare sgarri, piuttosto è «meglio tenerselo amico» e sperare che prima o poi si stanchi. Dopo l’operazione e il conseguente decorso, Gianluca torna a Londra – dove abita – per trascorrere il Natale con i suoi familiari, persone che – come riportato in un toccante passaggio del suo libro “Goals” – guarda «come forse non le avevo guardate mai».
Il giorno seguente, quello di Santo Stefano, decide che è giunto il momento di comunicare alle sue bambine Olivia e Sofia cosa sta accadendo al loro papà e mentre imbastisce un conciso quanto inevitabilmente toccante discorso, prende coscienza del fatto che «il cancro non è questo grande nemico da sconfiggere», piuttosto «è una sfida per cambiare sé stessi». Le cure tuttavia lo stordiscono, il fisico è provato. Gianluca è ora un uomo preso dal senso di vergogna, quasi fosse colpa sua. Indossa un maglione sotto la camicia per evitare che gli altri, colleghi e conoscenti, si accorgano del suo eccessivo dimagrimento, per continuare ad essere ai loro occhi il Vialli di sempre. A chi gli chiede come sta, minimizza raccontando solo una parte di verità. Tuttavia, quando Gianluca è solo e in balia dello sconforto, si toglie la maschera dell’uomo forte e si chiude in bagno; comincia a piangere, sopraffatto dalla paura, «la paura vera», quella che vede la morte in faccia. Poi, un giorno, la svolta.
Il Professor David Cunningham, insigne oncologo da cui è seguito nonché grande tifoso del Chelsea, crede nella sua guarigione, gli dà speranza. Rassicurato, Gianluca si rende conto che per stare bene almeno mentalmente, non c’è metodo migliore che esorcizzare le angosce che lo tormentano. Anzi, con quelle paure lui ci dialoga. Ne sente addirittura il bisogno. Tanto che arriva a sentirsi, in un certo qual modo, grato – parola per lui cruciale – per quello che gli è capitato: «è una condizione della quale avrei fatto volentieri a meno» scrive nel libro sopracitato, «ma mi dà l’opportunità di riflettere su e di riorganizzare la mia vita spirituale». Gianluca scopre un esercizio che, se avesse praticato da calciatore prima e da allenatore poi, avrebbe potuto – come ha sostenuto in un’intervista rilasciata al Times – salvarlo dalla follia: la meditazione.
Si avvicina quindi alla filosofia orientale, condividendone massime e principi, aggiungendola alla sua dedizione all’allenamento e all’ottimismo. Ed ecco che allora Vialli, ispirato dalla lettura del libro “The miracle morning” di Hal Elrod, dà vita ad una «nuova e formidabile routine» a cui si dedica con la stessa abnegazione che lo contraddistingueva quando calcava i principali palcoscenici calcistici: «mi sveglio presto, medito su piccole frasi fondamentali, cerco il silenzio, mi focalizzo sui dettagli piacevoli, visualizzo me stesso tra qualche anno, faccio esercizio, leggo e scrivo almeno un pensiero positivo ogni giorno» e poi ancora «scrivo su una serie di post-it gialli le frasi che ora tappezzano il mio studio. Non so da dove mi siano arrivate, dove le ho lette e sentite. Sono la mia corazza. La mia forza spirituale». Grazie al metodo “Savers” (silence-affirmations-visualisation-exercise-reading-scribing) di cui abbiamo parlato poc’anzi, Vialli si riscopre: è un uomo nuovo, serafico e meditativo, che ha la lucidità ed il coraggio di trasformare una situazione tragica in una risurrezione dello spirito.
«Una freccia può essere scagliata soltanto dopo essere stata tirata indietro. Quando ti trascinano indietro, le difficoltà della vita stanno per lanciarsi verso qualcosa di grande. Quindi resta concentrato e continua a prendere la mira».
Gianluca Vialli, Goals
L’uomo Vialli, da persona spirituale qual è, vuole essere di ispirazione per gli altri: «so che, per quello che mi è successo, ci sono tante persone che mi guardano» dice in “Sogno azzurro” (la docuserie Rai sulla Nazionale), «e se sto bene io possono pensare di stare bene anche loro». Ma quanto detto finora non è che il primo tassello, la prima parte di un percorso spirituale, di un’ascesi – perché è di questo che effettivamente si tratta – che ha portato Gianluca a riscoprirsi e ad elevarsi stando bene con chi lo circonda ed ispirando chi gli sta vicino.
L’iter può essere quindi suddiviso in due fasi: la prima, relativa alla crescita interiore e la seconda, invece, riguardante l’applicazione nel quotidiano del risultato raggiunto. Il secondo momento dell’ascesi di Vialli – per uno strano gioco del destino o forse, per volere della Provvidenza – inizia a due anni esatti dalla diagnosi di cancro: l’11 novembre 2019. Il presidente della FIGC Gabriele Gravina ma soprattutto il CT della Nazionale Roberto Mancini, spinto da sentimento fraterno nei confronti del vecchio amico Gianluca e consapevole che le qualità umane dell’altro gemello del gol possano corroborare lo spirito del gruppo, lo chiama a sé e lo inserisce – in qualità di capodelegazione – in uno staff che per larga parte parla genovese dato il trascorso blucerchiato.
Dal profilo Instagram di Vialli sbuca una foto, il 19 luglio scorso: è il tempo della gratitudine, scrive immortalando se stesso e alle sue spalle il Santuario della Speranza, vicino alla “sua” Cremona
Euro2020 è dietro l’angolo e per la coppia Vialli-Mancini, a livello personale, è un’occasione di riscatto senza precedenti. Entrambi vogliono fare i conti con un passato travagliato, talvolta fallimentare con la maglia azzurra. Per non parlare dello stadio della finale. Quel Wembley dove, nel 1992, sono sfumati i loro sogni europei e quelli di tanti tifosi sampdoriani. Dal pre-ritiro al Forte Village alla finale dell’11 luglio a Wembley intercorrono quasi 50 giorni. Il tempo necessario che Gianluca impiega per poter progredire nel suo percorso ascetico e parallelamente essere modello di riferimento.
Assistiamo così ad un crescendo di episodi, eternati nell’immaginario collettivo: dal rituale scaramantico del pullman ai due abbracci con l’amico di una vita Roberto nella sfida contro l’Austria fino al discorso di Theodore Roosevelt, “l’uomo nell’arena” – pronunciato prima della finale – che spesse volte è abusato, svuotato del suo significato più viscerale ma che Vialli – con la voce a tratti rotta dal pianto – riesce a fare suo, dandone un’interpretazione sentita e soggettiva che si materializza la sera dell’11 luglio, nella commozione e nel calore di un altro abbraccio con Mancini – il terzo, quello più sentito, più umano e insieme trascendentale.
A una settimana esatta dalla vittoria europea, Gianluca fa rientro a Grumello, dove da bambino era solito trascorrere le estati con la famiglia. Si ferma nei pressi del Santuario della Beata Vergine della Speranza, una chiesa settecentesca. Scatta una foto immortalandosi davanti al luogo di culto, sorriso soddisfatto e polo della Nazionale; la condivide su Instagram, «è il tempo della gratitudine… it’s time to be grateful» scrive. La seconda fase del suo cammino spirituale si è conclusa, riuscendo egregiamente nella sua missione: ispirare gli altri. Ora si apre una terza fase: «a volte l’unica via d’uscita è continuare ad avanzare».
Una carriera legata al Napoli e cinque stagioni da capitano, poi la fascia ceduta a Maradona per raggiungere la gloria. La nostra intervista a Beppe Bruscolotti.