Le sliding doors di un potenziale crack del calcio italiano.
Questa è una di quelle storie che iniziano, ma non finiscono. Una novella che ha molto a che fare con la sorte, con quel punto della vita in cui il destino devia drasticamente la rotta. Comincia nel 1969, anno cruciale della storia recente del mondo. Il giovane Jan Palach si dà fuoco a Praga, Yasser Arafat è nominato leader dell’OLP, il Concorde vola per la prima volta, Jim Morrison viene arrestato durante un concerto dei Doors al Dinner Key di Miami. George Best rinuncia ad alcool e donne, i peggiori venti minuti della sua vita. Al Festival di Sanremo trionfa il brano “Zingara”, interpretato da Iva Zanicchi e Bobby Solo. È l’anno, soprattutto, in cui l’uomo va sulla Luna.
Quell’anno lì nasce Gianlugi Lentini, a Carmagnola, la città del famoso conte della tragedia manzoniana. Meno di trentamila anime ad una trentina di km a sud di Torino: una storia zingara la sua, appunto, come quella dell’innamorato perso, che affida ad una fattucchiera il vaticinio sul proprio destino amoroso.
Guarda nei miei occhi, Zingara. Vedi l’oro dei capelli suoi, dimmi se ricambia parte del mio amore. Devi dirlo, questo tocca a te. Ma se è scritto che lo perderò, come neve al sole si scioglierà un amore.
Figlio di emigranti – come tantissimi ce n’erano in quegli anni, figli del boom economico – Gigi da ragazzo è apparentemente schivo ed introverso, ma tosto di tempra. Vuole emergere, diventare qualcuno. Prima le giovanili del Torino, poi una tumultuosa cavalcata che lo porta in breve dalla Serie B al massimo campionato da assoluto protagonista nell’’89-’90. Con lui in campo la partita deraglia dagli schermi, la crisalide del fenomeno si schiude e già s’intravede la farfalla. Forza fisica, estro, tecnica e velocità unite insieme in un calciatore che può ricordare Gigi Meroni quanto Claudio Sala, Franco Causio come Bruno Conti.
Le notti magiche di Italia ’90 passano in fretta, la Nannini e Bennato scandiscono i ritmi, inseguendo un gol di Schillaci e poi un altro e un altro ancora. Azeglio Vicini non può fare a meno di chiamarlo, nel febbraio del ’91, a corredo di una brillante stagione con il Toro condita da 34 presenze (non salta un turno) e 5 reti. La prima di queste, alla terza giornata contro l’Inter, è una sintesi del suo talento: maglia numero 11 sulla schiena, tunnel a Battistini in corsa e freddezza a tu per tu proprio con l’Uomo Ragno. It’s just another day for you and me in paradise, parole e note di Phil Collins.
Qui il gol contro l’Inter, 23 settembre 1990: “Ho visto pochi giocatori fare reparto da soli, Lentini era uno di questi”. Parola del mister
I granata sono allenati dal padre putativo di Gigi, Emiliano Mondonico: finiscono quinti, conquistano la Mitropa Cup e l’anno dopo va anche meglio, con il terzo posto in classifica. Lentini è un “cavallo pazzo” indomabile, il caschetto alla Ringo Starr degli esordi è già mutato in una folta chioma scura rock da Lorenzo Lamas di Renegade. Un forte richiamo per le donne, non solo per i tifosi.
La stagione si chiude, però, con una doppia, forte delusione italiana. Oltre al ko della Sampdoria in finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona per mano di Rambo Koeman, la “non-sconfitta” del Torino in finale di Coppa UEFA contro l’Ajax è di quelle che fanno male. Al Delle Alpi il Toro è costretto ad inseguire due volte ed è sempre Walter Casagrande a scacciare la paura, dopo i gol di Jonk prima e Petterson poi. 2-2 e tutti al De Meer. Al ritorno, però, la gara finisce 0-0: il palo si fa nemico tre volte con Casagrande, Mussi e Sordo, e la Coppa va ai lancieri.
Il Toro naviga in cattive acque economiche, il presidente Borsano viene travolto dall’onda anomala di Tangentopoli. Deve far cassa. Lentini è molto corteggiato, ma decide in fretta: alla macchina del presidente Agnelli preferisce l’elicottero di Silvio Berlusconi. Nemmeno una telefonata di Giampiero Boniperti riesce a macchiare il suo sangue granata, che mai avrebbe accettato il bianconero sulla pelle. Il Milan degli Invincibili lo accoglie al groove di Come As You Are dei Nirvana.
Come as you are, as you were
As I want you to be
As a friend, as a friend
As an known enemy
Trattativa-record per le cifre di allora, circa venti miliardi delle vecchie lire equarantadue di ingaggio complessivi, da spalmare in quattro anni. I tifosi torinisti insorgono, scrivono su un muro: “Hai venduto tuo figlio”. Borsano stesso, tempo dopo, da ex-presidente ed ex-deputato socialista confessò i 7 miliardi sottobanco che la Fininvest elargì per avere il più grande talento italiano emergente. Una promessa, tra le migliori di sempre coltivate nel vivaio granata, saluta. Dunque, Milan.
In rossonero trova ad accoglierlo il burbero Capello ed una tonnellata di campioni; Van Basten su tutti, al suo terzo Pallone d’Oro. Già alla seconda giornata si regala all’Adriatico uno splendido gol in sforbiciata su assist del “geniale” Savicevic. Conquista i tifosi con un meraviglioso gol nel derby, il 22 Novembre: sua maestà Van Basten gli porge il pennello e lui dipinge la sua opera d’arte di rara bellezza all’incrocio dei pali. Alla fine dell’anno colleziona altre trenta presenze e sette gol, e Capello già intravede in lui la nuova stella del firmamento europeo. Gli 883 cantano Sei un mito e lui, mito, comincia a sentircisi davvero.
Nella primavera del ’93 vince da protagonista il primo scudetto della sua carriera, il secondo consecutivo di quel Milan, ma in Europa il Diavolo, a sorpresa, perde la prima Champions League della storia contro l’Olympique Marsiglia del ben poco limpido presidente Tapie. Per Lentini, due finali europee perse in due anni. È l’estate della dance che riempie le casse delle discoteche di tutto il mondo, Rythm Is A Dancer la liturgia del sabato notte di Snap. Alle porte, il mondiale di USA ’94. Come il canto delle sirene dell’Odissea, è un richiamo sensuale, ma nasconde atrocità.
Il 2 agosto, a Genova, dopo un torneo per celebrare il centenario del Grifone, Lentini sfreccia con la sua Porsche gialla sulla Torino-Piacenza. Con una ruota bucata ed un ruotino d’emergenza, all’altezza di Villanova d’Asti si compie il dramma. Lentini perde il controllo a quasi 200 km/h, la sua auto vola fuori strada e brucia. Gianluigi da Carmagnola viene salvato da un camionista. Vivo, per fortuna, in un incidente mortale nella maggior parte dei casi.
Ad attenderlo, a Torino, una donna. Non una qualunque, Rita Bonaccorso, la moglie di Totò Schillaci. Almeno, così dicono le cronache rosa di quel tempo. E di quel gossip se ne è parlato tanto e se ne parla ancora oggi. Selvaggio sul campo Lentini, impetuoso nella vita Gigi e no, il triangolo Totò non lo aveva considerato. Pausa. La storia non finisce, ma lo stop è permanente.
Il rientro dal coma ci restituisce Gianluigi, ma il Lentini di prima è rimasto tra le fiamme della Porsche gialla per sempre. Capello e Sacchi lo intuiscono immediatamente. Il Ct azzurro ci spera, s’interessa, lo chiama: “Se ti riprendi, ti porto negli USA”. Ma ciò non avviene e lo score in Nazionale di Lentini si ferma a sole 12 presenze. Nel 1994 perciò niente mondiale, tanto sognato fin da quando giocava per le strade di Carmagnola, mentre assiste da spettatore al double Campionato/Coppa dei Campioni del Diavolo dalla tribuna Stadio Olimpico Spyros Louīs di Atene.
We make plans to go out at night I wait ‘til 2 then I turn out the light This rejection’s got me so low
Al contrario degli Offspring (delusi in Self Esteem per un mancato appuntamento), Lentini non perde autostima, azzera tutto e conta di dare un colpo di spugna definitivo alla sfortuna. Capello, però, non gli concede la titolarità fissa, in campionato saranno soltanto 17 le presenze. Lui ce la mette tutta: ritrova finalmente il gol alla grande, in un derby di Coppa Italia, purtroppo ininfluente ai fini della qualificazione. In primavera la forma è al top, la testa respira di nuovo.
Così, in poco più di un mese, tra il 9 aprile del ’95 ed il 14 maggio mette a segno cinque gol. Nonostante ciò, al Prater di Vienna, contro l’Ajax, Capello lo tiene in panchina, pur con Savicevic out per infortunio. Sostituisce Boban a 6’ dalla fine ma dopo neanche un minuto Rijkaard, fresco ex e core ‘ngrato, serve l’assist per Kluivert: scaltro e dinoccolante, questi segna il gol che regala la coppa ai ragazzini terribili di Van Gaal, coronando un ciclo vincente che portava già in dote due Eredivisie consecutive. Terza finale, dunque terza sconfitta.
Sfortunato al gioco, fortunato in amore si dice. A giugno sposa la modella svedese Aleksandra Carsson. Rita è il passato. Adriano Galliani, assente in chiesa, è presente al ricevimento. Dodici mesi più tardi lo spedisce all’Atalanta senza troppi complimenti. La chimica con il giovane Pippo Inzaghi ed il dolce Morfeo è perfetta, l’elettronica british di Karl Hyde e Rick Smith degli Underworld in Born Slippy fa da colonna sonora al ritmo della stagione orobica.
Lentini fa così bene (31 presenze, 4 gol) che il Milan, quasi quasi, lo rivorrebbe sotto la Madonnina. Il passato però è una terra straniera per lui, che sente fortissimo il richiamo di casa, e la sua pelle non può che tornare a tingersi di granata. Anche in Serie B.
You had chemicals boy I’ve grown so close to you Boy and you just groan boy
Il Toro si gioca la Serie A nello spareggio di Reggio Emilia contro il Perugia. Si va ai rigori, l’otto granata il suo lo segna: rincorsa da fuori area, finta, e destro docile all’angolino sinistro, con il goffo Pagotto spiazzato. A sbagliare è Tony Dorigo, che manda a sbattere il piattone destro sul palo. Il Perugia è in Serie A. La quarta “finale” che non sorride a Lentini. La seconda, in cui i pali negano la gloria al Toro. Una maledizione di “Béla Guttmann” ad personam per Mister 65 miliardi.
I granata devono attendere il 1999 per tornare a calcare le grandi scene del calcio italiano, per Lentini il crepuscolo calcistico si avvicina e, nella primavera del nuovo millennio, gioca la sua ultima partita in Serie A. L’avversario in campo è il “fu” suo Milan. Il 2-2 fa felici tutti. Lo spazio e la forza per regalare ancora altre magie Lentini ce l’avrebbe. Sandro Mazzola, neo-dirigente del Torino, uno che di talento si ciba con pasti regolari, lo pensiona anticipatamente con grande amarezza di Gigi, che avrebbe voluto chiudere la carriera con il Toro sul petto.
Dopo dieci mesi di depressione, ci vuole il profondo Sud per risollevarlo. A Cosenza, lì dove ha le radici la famiglia, si esibisce nel canto del cigno del suo calcio, fatto di talento e istinto puro. La corsa un po’ meno. Diventa capitano, scende addirittura nei dilettanti per la maglia rossoblù. Motivo? Semplice: “Ho sempre apprezzato chi mi ha voluto bene”. E noi, amanti del calcio, un po’ nostalgici e forse anche teneramente ridicoli, di bene te ne vogliamo tutt’ora.