Altri Sport
04 Gennaio 2018

Gianni Bugno

Dopo le corse, l'elicottero; e dopo ancora presidente del CPA, il sindacato mondiale dei corridori. Ma, prima di tutto, un campione.

C’è un frammento del Cammino di Santiago, a Jaca, dalle parti di Canfranc. Settore aragonese. Passa da lì, su quei Pirenei a 30 chilometri dal confine. Di qua la Spagna, di là la Francia. Di qua la Vuelta, di là il Tour.

Non li ha mai vinti. Tante tappe, due volte di fila sul podio a Parigi, ma contro quell’Indurain e quei Tour disegnati apposta per lui c’era poco da fare. Chissà, forse se lui e il Diablo si fossero messi d’accordo – qualche lampo di irruenza in meno Chiappucci, più convinzione e meno prudenza Bugno – chissà, forse quella maglia gialla, che Gianni ha sempre e solo sognato, l’avrebbe pure indossata. E invece niente, hanno danzato sui due gradini inferiori del podio per due anni di fila, guardando il Navarro entrare nei cancelli dell’infinito.

Già, Indurain e la sua Banesto. E quanto gli somiglia, questo nuovo fenomeno che fatica là in fondo, minuti e minuti dietro. Olano e la sua Banesto. La Vuelta l’ha già vinta ma oggi il padrone è un altro. Oggi il padrone è Bugno. E’ partito con altri undici, poi sono rimasti in quattro e adesso, mentre Jaca – Canfranc si avvicina, c’è solo lui. Lui e la montagna. Lui e il vento. Lui e la sua classe immensa che oggi, per l’ultima volta, gli farà alzare le braccia al cielo.

 

Tour de France 1991: Bugno in maglia tricolore e Chiappucci in maglia a pois al cospetto della maglia gialla Indurain
Tour de France 1991: Bugno in maglia tricolore e Chiappucci in maglia a pois al cospetto della maglia gialla Indurain

 

Lo doveva a sé stesso. Per chiudere il cerchio. Perché gli serve questa vittoria per poter disputare il suo ultimo mondiale. Perché gli eroi chiudono quando ancora possono compiere imprese, non quando non contano più. E allora l’ultima immagine che ci sarà di Bugno non sarà quel Mortirolo triste di un anno prima, non sarà quella fuga infinita conclusa malamente dopo 170 chilometri, piantato dietro a una moto che gli cade davanti e che lo costringe a riprendere a passo d’uomo, mentre tutti i più giovani, campioni e non, lo superano con imbarazzante facilità. Quel giorno un cartello recitava: “L’uomo dei sogni non è un film. E’ Gianni Bugno”. E quindi a lasciare non sarà un ex campione. A lasciare, oggi, sarà l’uomo dei sogni.

 

Giro d'Italia 1990 - Vallombrosa - Gianni Bugno in maglia rosa, primo al traguardo
Giro d’Italia 1990. Vallombrosa: Gianni Bugno in maglia rosa, primo al traguardo

 

Quello che è stato capace di portare la maglia rosa dal primo all’ultimo giorno, nel 1990. Quello che ha vinto due mondiali di fila e un terzo l’ha buttato via per una tattica di squadra scriteriata. Quello che ha infiammato la strade di Sanremo e il pavè delle Fiandre. Quello capace di vincere in montagna, a cronometro, in fuga e in volata. Quello che non ha mai capito quanto fosse davvero forte. Quanto talento e quanta classe ci fosse in quel corpo nato per pedalare. Perché la Sanremo l’ha vinta per caso, dice, è stato solo merito del vento che ha spezzato il gruppo nei primi chilometri. Perché ha vinto un Fiandre ma sostiene di non essere uomo da pavè né tanto meno da maltempo (come dimostra la cronoscalata al Sacro Monte di Varese, Giro ’90, in cui ha distrutto tutti mentre il Cielo gli mandava addosso l’Apocalisse). Perché non si sente forte in volata e relega tutto a sporadici casi fortuiti, anche quando in volata vince un mondiale davanti a Jalabert e poi, anziché saltare di gioia, si rammarica per lui, per un campione che quella maglia, da Bugno vinta due volte, non la indosserà mai.

 

La vittoria del secondo Campionato del Mondo a Benidorm nel 1992, tirato da Perini davanti a Laurent Jalabert.

 

Ma lui questi pensieri non li fa. Non gli interessa il passato, non è curioso di sapere quanto di più avrebbe potuto vincere rispetto al tantissimo che ha già vinto. Non è legato ai ricordi, né emotivi né materiali. Nella sua casa c’è una vecchia coppa che ora utilizza come vaso per i fiori. Domani, dopo la Vuelta, dopo il Mondiale, al massimo dopo il Lombardia regalerà in giro tutte le sue maglie, tutti i suoi trofei, tutte le sue bici. Si spoglierà di tutto, come un San Francesco su due ruote, e si proietterà nel suo futuro. Questo mondo non gli appartiene più, anche se potrebbe correre per qualche altro anno.

 

La classe, in maglia azzurra

 

Poche pedalate al traguardo di Jaca, dalle parti di Canfranc. Qui parte un tratto del cammino di Santiago, settore aragonese, ma a lui l’asfalto non interessa più. Guarda in alto e vede un elicottero di ripresa sopra la sua testa. L’uomo dei sogni ha ancora voglia di andare in alto ma una montagna è troppo bassa e non può più bastargli. Serve un elicottero. Braccia al cielo, le ruote smettono di girare. E’ il 17 settembre del 1998 e, da quel giorno, l’uomo dei sogni butterà via ruote e manubrio e li sostituirà con elica e cloche. Una bici che sparisce, un elicottero che compare. Da padrone dell’asfalto a padrone del cielo, per volare là dove nessun ciclista, nemmeno il più bravo tra gli scalatori, riuscirà mai ad arrivare.

 

Nell'abitacolo di un elicottero
Nell’abitacolo di un elicottero, il suo luogo di lavoro prima di rappresentare i corridori nel CPA

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