Un unicum in Italia: allenatore e presidente, ma ancor prima idealista e uomo di cuore.
Alla Virtus sta dal 1969, quando aveva otto anni; di acqua l’Adige sotto i ponti di Verona se n’è trascinata, se dal 1982 ricopre il duplice ruolo di allenatore e presidente, caso più unico che raro in Italia, e il prossimo anno festeggerà il centenario con il terzo campionato consecutivo in Serie C. Tutto vero. Se non ci fosse, uno come Gigi Fresco bisognerebbe inventarlo, filosofo e mentore di quella zona franca che è la terza squadra della città scaligera, l’unica in Italia a poter vantare tre club tra i professionisti: il Verona in A, il Chievo in B, e la piccola Virtus in C:
«Noi abbiamo il merito di esserci arrivati, ma il merito maggiore ce l’ha chi è lì da una vita. Abbiamo ottimi rapporti sia col Verona che col Chievo. Stiamo valorizzando giovani di entrambi», spiega.
Sacca di resistenza del calcio romantico, brigata partigiana a Borgo Venezia, zona est di Verona, villette liberty sulla collina e palazzoni di cemento armato laddove si distende la pianura e non cresce più l’erba; quartiere di matrice operaia, dove gli immigrati hanno messo radici. Una mano all’integrazione lo danno la Virtus e la sua polisportiva, ambiente da sempre attento alle problematiche sociali, sin da quando la città, punto di smercio del mercato dell’eroina, perdeva i suoi giovani figli ed era battezzata la Bangkok d’Italia.
«Negli anni ottanta qui recuperavamo i tossici, andavamo a giocare nelle carceri – racconta Fresco -; abbiamo accolto i profughi dall’Albania e dalla guerra in Bosnia: a una cinquantina di famiglie davamo vitto e alloggio. Abbiamo contribuito al progetto GIOCHIAMO PER LA PACE ideato da Damiano Tommasi, Eusebio di Francesco e Gigi Di Biagio, con cui abbiamo realizzato strutture sportive a Sarajevo. Erano gli anni a cavallo dello scudetto della Roma: a Trigoria Capello ci cedeva la saletta delle conferenze stampa». Cinque anni fa la Prefettura di Verona gli chiese di seguire i giovani rifugiati nello sport. Come Sibi Sheik, arrivato dal Gambia, che è oggi uno dei tre portieri della prima squadra in serie C:
«La Virtus è un modo di concepire lo sport per migliorare e far crescere le persone. Vorrei vedere un Paese senza più paure dell’altro; al mondo c’è posto per tutti. E poi, come dice Vasco Rossi, “io sto sempre dalla parte di chi ha avuto una brutta giornata”. Quindi, perché te la devi prendere con chi è più debole di te? Che Guevara si è battuto per dare dignità alle persone. Lo stesso facciamo noi, nel nostro piccolo».
Laurea in Pedagogia, con tesi sull’antropologia degli zingari, a Gigi Fresco sarebbe piaciuto insegnare: «Ma era incompatibile col mio impegno nella Virtus» spiega; da trent’anni lavora nella scuola, oggi è direttore amministrativo delle scuole medie di Lavagno, paese tra i ridenti vigneti del Soave sulle colline orientali: «A scuola lavoro dal 1988, mi piace molto, e la sento come una cosa un po’ mia». Al Master allenatori a Coverciano andava invece con un amico particolare:
«Io e Roberto Baggio siamo amici. È una persona simpatica, umile e disponibile, e con tanti interessi; guidava lui, adorava Bruce Springsteen e in macchina ascoltavamo solo le sue canzoni. È un grande appassionato e conoscitore del calcio argentino, così di notte guardavamo le partite del Boca».
Sveglia presto la mattina, colazione al piano di sotto con la signora Rina, la mamma che a 83 anni gli fa da segretaria («È fantastica»); una capatina per il caffè e quattro chiacchiere al bar della Virtus, la mattina alla scrivania a scuola, poi sotto con le faccende di pallone fino a notte. La domenica attraversa la strada e al fortino del Gavagnin va a piedi canticchiando Samarcanda di Roberto Vecchioni; ha i suoi vezzi, ad esempio le convocazioni che non dirama: «E perché mai? Sono tutti convocati; chi è indisponibile decide se venire in trasferta col resto del gruppo o meno. Tutto qua»; oppure il rito della cena con la squadra tutti i giovedì sera:
«Una tradizione che dura da quarant’anni, quando ci si ritrovava nel garage del nostro portiere di allora, e mia mamma e le altre signore facevano il risotto. È un buon modo per allenarsi a stare in gruppo».
Tutti lo chiamano semplicemente “Gigi”, giocatori compresi: «Al massimo qualcuno mi chiama “Mister”, ma “Pres” quello mai. Non mi piace proprio». A lui il doppio ruolo non pesa affatto: «Al massimo se le cose dovessero andar male, vorrà dire che esonero il direttore sportivo…!» sghignazza. Altre due costanti sono i viaggi:
«Il primo nel 1988 se lo pagarono i ragazzi. Nel 1991 per festeggiare la Promozione andammo a Parigi, viaggio pagato dalla società grazie agli sponsor. Da allora siamo stati in California, Messico, Cuba, Brasile, e le capitali europee durante il campionato; l’ultimo viaggio due anni fa a Praga, eravamo un po’ in difficoltà, ma al ritorno infilammo la striscia positiva che consentì di salire in serie C.
Il prossimo lo vorrei fare a L’Avana, la più bella città al mondo dove vivere».
Fresco è uomo da record, 39 anni di fila sulla stessa panchina in Italia non li ha fatti nessuno; si è messo alle spalle icone come Sir Alex Ferguson e Arsene Wenger; per il primato assoluto, davanti gli rimangono solo la leggenda dell’Auxerre Guy Roux, 43 anni, e due britannici, l’inglese Fred Everiss, 46 anni al West Bromwich tra il 1902 e il 1948, e lo scozzese Willie Maley, 43 anni al Celtic tra 1897 e il 1940:
«Ma è impossibile che questi due abbiano allenato durante le due guerre. Per forza di cose si devono essere fermati», precisa.
La C gli sta benone, ma non rinuncia a sognare la B, perché come ama ripetere «nessuna carovana ha mai raggiunto il suo miraggio, ma solo i miraggi hanno messo in moto le carovane». E se gli chiedi qual è la canzone per la sua Virtus, non ha dubbi: «Imagine di John Lennon, sembra fatta apposta per noi». Un calcio diverso, più umano, genuino e fatto in casa come il risotto della signora Rina, non è allora solo un donchisciottesco tuffo nell’utopia; se ci credi e qualche idea buona ce l’hai, forse qualcosa ancora si può fare per renderlo possibile. A Verona, in Borgo Venezia fanno così. E se non ci credete, chiedete a Gigi. Lui vi spiegherà volentieri come.