Il 7 novembre 1944 nasce a Leggiuno il più grande attaccante italiano dell’epoca moderna: Luigi Riva, detto Gigi, bandiera del Cagliari e miglior marcatore della nazionale. Due gambe rotte sull’altare dell’Italia, tre titoli di capocannoniere con il quarto mancato di un soffio nel 1971-72 a vantaggio di un altro mancino terribile: l’amico-nemico Roberto Boninsegna. «Giggirriva» è una sorta di santino per la Sardegna, una leggenda tramandata di padre in figlio, in un’Isola in cui le vittorie sono merce rara. Quando poco dopo l’incredibile dimostrazione di potenza data in un Inter-Cagliari dell’ottobre 1970 Gianni Brera lo ribattezza «Rombo di tuono» è subito chiaro che quella definizione lo avrebbe accompagnato a lungo: mancino dotato di strabordante forza fisica, coraggio, imperioso colpo di testa è soprattutto un trascinatore, un uomo squadra, uno di quelli che da soli fanno vincere le partite.
Riva appartiene alla generazione che ha «rifatto» l’Italia sotto il profilo sportivo. Negli anni Quaranta nascono i nuovi campioni del calcio italiano, dopo Superga e la conclusione del ciclo di Vittorio Pozzo; è la generazione dei Boninsegna, Burgnich, Rivera, Sandro Mazzola, Facchetti, Domenghini, Albertosi e Zoff che consente di porre fine alla lunga traversata nel deserto iniziata con i mondiali degli anni Cinquanta. Inghilterra ’66 un giovane Riva fa già parte della comitiva azzurra, spaccando tutto negli allenamenti. Quasi una gita premio per un ragazzo promettente; un incoraggiamento, con l’onere di non fare troppa concorrenza ai senatori. Grande rimpianto per Edmondo Fabbri: «Se ti avessi fatto giocare» dirà il c.t. all’indomani della umiliante sconfitta con la Corea del Nord «ora saremmo ancora in corsa per il mondiale».
La storia di Riva in nazionale sarà lunga, gloriosa e con i contorni del dramma. Già nel ’67, in un incontro amichevole con il Portogallo: in panchina il mago Herrera, chiacchierato per i suoi metodi di allenamento, un vincente abituato a imporsi sui giocatori a ogni costo al punto da assegnare al superstizioso bomber l’odiato numero nove. Risultato: uscita scomposta del portiere portoghese e frattura di tibia e perone per l’attaccante del Cagliari. Nessun dubbio però sul modo di intendere il gioco:
«Questo è il calcio, il gol è troppo importante per un uomo di punta: è quella cosa che ti fa star bene durante la settimana», dirà Riva in una intervista alla Rai, «quindi non cambio. Se ci sarà da spaccarmi l’altra gamba me la spaccherò».
Quasi un vaticinio. Match con l’Austria valido per le qualificazioni a Euro ‘72: fallo da dietro del terzino Hof su Riva che parte come un fulmine verso la porta avversaria. E’ un attimo: crollo a terra, urlo dell’attaccante azzurro e Domenghini, amico-collega, a mettersi le mani nei capelli. Con Riva rotto il Cagliari viene rapidamente tagliato fuori da Coppa campioni e campionato. Stadio Sant’Elia, una sorta di arena per gladiatori sul modello dell’Olimpico di Roma: Riva ci gioca le poche partite di Coppa campioni e i campionati dal 1970-71 fino al terzo infortunio del ‘76: strappo agli adduttori e fine della carriera. Senza lacrime, senza gare d’addio, senza sceneggiate: «Vedrò cosa si può fare per recuperare ancora una volta», dirà serafico intervistato negli spogliatoi da un gruppo di attoniti cronisti, «se sarà possibile voglio provare di nuovo a dire la mia».
Dopo, il ruolo dirigenziale in un piccolo Cagliari nel quale non arrivano più i soldi dei petrolieri; squadra casereccia, ma orgogliosa, con alcuni giovani giocatori locali: Gigi Piras, terzo marcatore in assoluto nella storia del Cagliari, e Pietro Paolo Virdis, l’attaccante più talentuoso del calcio sardo, emulo a metà di Riva con i suoi numerosi rifiuti rifilati alla Juventus prima della clamorosa capitolazione. La lunga parentesi come accompagnatore della nazionale fa di Riva il custode dei segreti dello spogliatoio azzurro: sempre discreto, capace di stemperare le tensioni e caricarsi sulle spalle la responsabilità di qualche piccata risposta verso critici troppo severi. Ogni tanto lo si vede in giro, a Cagliari. Capita che qualche padre dica al figlioletto: «Sai chi è quel signore? Adesso te lo spiego…». E il signore, che osserva il mondo coi suoi inseparabili Ray ban, abbozza un sorriso.
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