Ritratti
07 Marzo 2023

Gino Corioni, tutto per il Brescia

Il Commendatore che fece sognare un popolo.

Quando in un giorno del settembre 2000 il Divin Codino arriva a Erbusco, sede in quegli anni degli allenamenti del Brescia oltre che del Consorzio per la tutela del Franciacorta, il più felice di tutti è Gino Corioni. Poco importa all’esperto presidente, già coi suoi trent’anni di fútbol sul groppone, di quanto costerà al suo portafoglio l’ingaggio del fuoriclasse, e del peso delle aspettative non più soddisfabili una volta che si spegneranno le luci della ribalta. D’altronde, si vive una volta sola e le occasioni vanno colte al volo, a maggior ragione per uno come Gino che, da figlio della provincia rurale bresciana del primo Novecento, decideva di far fruttare i primi risparmi cercando di “investire, dal lavoro, realizzare un sogno anche per gli altri, per esempio mettere su squadre di calcio”.

“La gioia dei soldi per me è spenderli, usarli, non lasciarli lì a dormire, a imputridirsi, perché poi ti attaccano la muffa al cuore”. [i]

Del resto, che l’attimo andasse colto, nella sua avventura imprenditoriale, il Gino lo capiva circa quattro decenni prima, buttandosi a capofitto nel fiume in piena del miracolo economico. Infatti, dopo una gavetta da disegnatore di macchine per pressofusione e plastica, il giovane Corioni Luigi, per tutti Gino, si metteva in proprio sfruttando le potenzialità degli apparecchi da lui progettati, intuendo che “un sedile del cesso” sarebbe diventato un bene di consumo alla portata di tutti.

Una scommessa vinta, prima in ambito nazionale e poi estero, conquistandosi la fiducia in un clima di diffidenza teutonica verso gli italiani nel cuore degli anni Sessanta. Scetticismo abbattuto guidando una Giulietta Sprint in direzione Stoccarda, in una tirata notturna di oltre 20 ore tra andata e ritorno, una volta al mese, facendosi la barba in autogrill, prima di presentarsi al cliente e, sbrigate le pratiche, tornare a casa entro la mattina successiva, perdendo così una sola giornata di lavoro a capo dell’azienda.



Oltre all’affermazione nel campo dei sanitari in plastica, che gli sarebbe valsa la nomina di Commendatore, a Corioni sarebbe toccato anche il progetto di guidare una squadra di calcio, merito dell’insistenza degli amici nel luogo nazionalpopolare per eccellenza: il bar del paese. D’altronde, lo spirito d’iniziativa di Gino è adatto per prendere in mano le sorti dell’Ospitaletto, diventandone presidente nel 1967. Aspettative ripagate con gli interessi, dato che il piccolo club bresciano scalerà le categorie fino a raggiungere il professionismo negli anni Ottanta, attirando su di sé le attenzioni del calcio nazionale. In particolare, con l’interesse di un certo Giampiero Boniperti, sia per quanto riguarda l’amicizia con Corioni che per la curiosità verso Gigi Maifredi, l’allenatore artefice della promozione in C1 nel 1987.

Maledico il momento in cui ho preso la strada del grande calcio, eppure lo benedico perché è l’emozione più grande. Ogni partita è un tutto, vale quasi una vita. Non scherzo mai sul calcio”. [ii]

Nel frattempo, proprio Boniperti si sostituisce agli amici del bar, suggerendo a Gino di acquistare un Bologna finito nell’anonimato dopo la prima retrocessione della sua storia. Una sfida, quella di riaccendere l’entusiasmo sotto le due Torri, vinta scommettendo su un Maifredi sprovvisto di regolare patentino per la cadetteria e sull’innesto nella rosa rossoblù di ben sei giocatori prelevati dall’Ospitaletto.



Qui l’allenatore bresciano, ribattezzato Zona’s king, conquista tutti con il suo calcio champagne e un’aria da imbonitore, frutto di un carattere estroso e dell’esperienza di rappresentante delle bollicine nei ristoranti della provincia lombarda. Una sintonia tra il presidente e il mister che condurrà alla qualificazione in Coppa Uefa nel 1990 e, soprattutto, a un’amicizia fraterna destinata a sopravvivere alle delusioni e alla fine della festa di Gigi, per il quale la porta di casa Corioni resterà sempre aperta, anche negli anni di Brescia.

“[…] Maifredi è nato che era un Giotto, un Michelangelo del calcio, ma non ha avuto la costanza. Anche se certe sue idee, certe sue pennellate sono da genio insuperabile. Era bravissimo, hanno copiato tutti da lui. […] Gli voglio un bene dell’anima. Spesso è qui a casa mia, e cerchiamo di risolvere i suoi guai. È scivolato giù dalla china, alla sua maniera, con incoscienza e allegria”. [iii]

Oltre ai rimpianti per alcuni grandi acquisti scartati da Maifredi (come Klinsmann e Zamorano), un altro cruccio di Gino riguardo all’avventura bolognese resterà l’aver mollato con troppa fretta il club, “un gioiello” affidato in mani non sicure che in breve lo avrebbero portato al fallimento. D’altronde, troppo forte il richiamo di Brescia con la prospettiva di essere profeta in patria.

baggio corioni
Corioni insieme a Roberto Baggio, anno 2000

Troppo golosa l’ambizione di rendere la Leonessa, seconda città della Lombardia, una potenza calcistica oltre che economica, assumendosi il ruolo di apripista cercando di coinvolgere nel progetto i cospicui portafogli della folta schiera di industriali bresciani. Un auspicio che purtroppo cadrà nel vuoto, facendo fare a Corioni la figura di quello che abbaia alla luna all’interno della “città più feudale d’Italia”, in cui la crema dell’alta borghesia è refrattaria a sporcarsi le mani con le basse vicende pedatorie.

Intanto, in una vana attesa di segnali dall’élite cittadina (imprenditoriale e politica), un visionario Gino cerca di risvegliare l’eccitazione della piazza in occasione della promozione in A, coincisa con l’avvio della sua presidenza nel 1992. Infatti, pur di portare a Brescia Gheorghe Hagi, Corioni sborsa 8 miliardi di lire al Real Madrid più un miliardo a stagione al giocatore, convinto anche dalla mediazione di Mircea Lucescu, il mister delle Rondinelle considerato da Gino “il massimo maestro di calcio”. Un cospicuo investimento sottolineato pure dal ds Pietro Tomei, che chiama i tifosi ad abbonarsi in massa “perché altrimenti il presidente potrebbe anche stancarsi”. Quasi un refrain che lo stesso Corioni ripeterà nel corso degli anni, dissimulando una passione non scalfita dal saliscendi tra massima serie e cadetteria inaugurato proprio in quell’annata, con una retrocessione dopo uno spareggio.



“Nemmeno l’arrivo di un campione come Hagi ha scosso una città che ha perso negli anni la voglia di credere nella squadra cittadina. Più semplice prendere la macchina e fare una corsa fino a Milano, a San Siro.

Corioni, il presidente, che dopo l’ avventura a Bologna ha deciso di puntare sul Brescia ripescando Lucescu non perde occasione per sottolineare quanto ingrata e distratta sia questa città, solo cinquemila abbonati, al punto di non accorgersi che questa volta il Brescia può essere una cosa seria” (Gianni Piva, la Repubblica, 3 novembre 1992).

Per trascinare tutti dalla sua non bastano a Gino una Coppa Anglo-Italiana, vinta sul suolo di Wembley nel 1994, e la nuova linfa garantita da un rigoglioso vivaio, con un fiore all’occhiello come Andrea Pirlo, a cui aggiungere Roberto Baronio, i gemelli Filippini e Aimo Diana. Anzi, nel corso del decennio Novanta, il presidente deve spesso fare i conti con un clima di contestazione, come nella stagione 1994/95, in cui un disastroso campionato in A fomenta l’insofferenza dell’ala più calda della tifoseria biancoblù. Un’irritazione destinata a protrarsi negli anni, a seconda che si tratti dei risultati altalenanti, della gestione familiare della società (con alcuni ruoli dirigenziali affidati ai parenti di Gino), oppure delle politiche riguardo ai prezzi di biglietti e abbonamenti.

Allora, stretto nella morsa tra l’indifferenza borghese e la contestazione ultras, Corioni prova almeno a ribaltare i risultati sul campo, scendendo a compromessi con la sua idea di allenatore tipo, cioè il professore del bel gioco.


Una mania dei nostri giorni, certo. Ma anche di ieri, in alcuni casi…


Del resto, dopo la fine della luna di miele con Lucescu e un’altra breve chance concessa al sodale Maifredi, c’è bisogno del pragmatico Edy Reja per togliere le castagne dal fuoco e riportare in massima serie il Brescia, oppure di affidarsi al roccioso Nedo Sonetti, che alle soglie del 2000 condurrà di nuovo tra i grandi una Leonessa trascinata dalle reti di Dario Hübner. Dunque, proseguendo sulla scala dei vecchi saggi della panchina l’ultimo gradino conduce a Carletto Mazzone, senza ancora sapere che il decano degli allenatori sarebbe stato pure l’uomo perfetto per gestire, o meglio gustarsi insieme al presidente, il sontuoso crepuscolo di Roberto Baggio.

“Come se fosse appena sceso da una nuvola del Paradiso. Eppure ogni volta che cominciava un allenamento, i primi dieci minuti piangeva dal dolore. […] Ogni volta che entrava in campo era una coltellata che gli entrava lì dentro, e lo lacerava. Quel tocco di palla, quella genialità non erano gratis, li ha pagati tutti. Baggio è un tesoro preziosissimo, un capitale per l’Italia e per il nostro calcio”. [iv]

Un idolo (in senso letterale), il Divin Codino, da lucidare, preservare e quindi adorare dopo essere stato rigettato dal grande calcio e costretto ad allenarsi nel giardino di casa sua a Caldogno, che poi è solo a un’ora di autostrada dal giardino di Gino. Se l’acquisto di Hagi non era bastato a scuotere dal torpore parte della città, l’arrivo di Roby nella Leonessa crea un entusiasmo che si sparge a macchia d’olio dal capoluogo ai confini della provincia più estesa della Lombardia.

Un colpo di scena inatteso che, almeno negli anni dell’era Baggio, cambia la prospettiva con cui si guarda al Brescia Calcio, reso attraente e popolare, in grado di stimolare un immaginario collettivo e un senso d’appartenenza al pari di ciò che accade nelle province confinanti di Bergamo e Verona, con il seguito che possono vantare Atalanta ed Hellas.

Tuttavia, in un euforico Rigamonti (che Corioni considera vetusto già da tempo) sarà sempre presente una solida voce di dissenso. Vedi la contestazione sul prezzo degli abbonamenti durante la sfida con il Paris Saint-Germain, il punto più alto della storia del club, cioè la finale di ritorno dell’Intertoto valevole l’accesso alla Coppa Uefa, nell’agosto 2001. Un clima che spinge un insofferente Mazzone a lasciare Brescia fino alle pubbliche accuse del presidente, contro alcuni esponenti del tifo organizzato, che convincono Sor Carletto al dietrofront allargando però la rottura con gli ultras.



D’altro canto, sollecitato da Gino, il mister trasteverino si gode altri colpi di mercato come Pep Guardiola e Luca Toni, completando un triennio di gloria alla guida delle Rondinelle impreziosito dalla corsa sotto la curva bergamasca, per poi lasciare a Gianni De Biasi la gestione dell’ultima stagione di Baggio, con la chiusura di un’epoca in cui a Mompiano, almeno una volta, sono cadute tutte le grandi. Il tutto in una cornice di cori e striscioni “dedicati” a Corioni, sintomo appunto di quella frattura non ricomposta con la Curva Nord.

D’altronde, l’abitudine di Gino a navigare in acque agitate, in quegli stessi anni, si sposa alla perfezione per guidare da protagonista i cosiddetti “ribelli” nelle battaglie in Lega Calcio, specialmente nel difendere gli interessi delle piccole società sul fronte dei diritti televisivi. Come nell’estate 2002, in cui Corioni presiede il consorzio Plus Media Trading, costituito dagli 8 club di Serie A sprovvisti di contratto con la pay-tv, in un braccio di ferro con le piattaforme satellitari (Tele+ e Stream) che fa slittare l’inizio del campionato di due settimane. Uno scontro riproposto anche l’anno successivo, con l’ingresso in scena di Sky.

Nonostante un gruppo di dissidenti ridotto a 6, è sempre il presidente biancoblu a guidare fieramente i suoi e a riunirli in Gioco Calcio, la piattaforma alternativa che a stagione in corso si spegnerà per mancanza di finanziamenti dalle banche, con la minaccia di serrata, in questo caso, non più concretizzatasi.

“Comunque il primo settembre non si parte […] La Juve incassa dalle tivù settanta milioni di euro, e se noi ne chiediamo dieci dicono che siamo matti. Assurdo. Cinque anni fa si divideva in parti uguali, adesso le grandi vogliono giocare da sole, noi saremmo solo le comparse per farli divertire e arricchire […]”.

la Repubblica, 9 agosto 2002

Il carattere battagliero di Gino non viene scalfito neppure da una grave malattia, da cui riprendersi temporaneamente per gustarsi dal vivo il finale di Baggio, e per sfoderare ancora il suo appetito per le polemiche contro Federazione, Lega e arbitri, soprattutto nella stagione in cui il Brescia, orfano del Divin Codino, retrocederà con 41 punti. Una beffa, visto che più nessuno sarebbe sceso in B con quella quota dopo il 2005, oltre al danno subito per il quale Corioni chiederà alla Figc la riammissione in Serie A del club, in seguito allo scoppio di Calciopoli.

Tentativi per tornare nel calcio dei grandi in cui annoverare pure la chiamata di Zeman, a lungo corteggiato e poi preso a 11 gare dal termine, con la cacciata di Maran annunciata tagliando il salame ai giornalisti. Tuttavia, l’antico vizio di Corioni di invaghirsi del maestro di calcio, stavolta, si scontrerà con la realtà dei risultati arrivati solo con la promozione del 2010, raggiunta con l’antitetico Beppe Iachini.

Il bel ricordo di Guardiola per Corioni dopo la scomparsa nel 2016

Se non altro, questo sussulto conclusivo è buono per scambiarsi un segno di pace con gli ultras alla Festa Biancoblù, davanti a un panino con la salamina, in vista dell’ultima stagione in A dell’era Corioni. Nonostante l’avvenimento, la fase di declino è ormai annunciata da un Gino non più in grado di sostenere un progetto ambizioso, in un crepuscolo vissuto a fianco dell’amico Gigi Maifredi (consulente tecnico dal 2009) e affidandosi troppo a una gestione familiare infruttuosa, sulla quale convergono vecchie e nuove critiche.

Inoltre, nel clima di desolazione, in cui lo scouting non offre più giovani promesse da valorizzare come Hamsik, l’unica scelta azzeccata è il ritorno a casa dell’Airone Caracciolo, quale anello di congiunzione con un’epoca lontana, e irripetibile senza il supporto dei facoltosi industriali bresciani, da sempre indifferenti agli appelli di Corioni.

Un ritornello da affiancare alla questione stadio, con il disinteresse delle varie amministrazioni comunali, fredde di fronte alla maggiore ossessione di Gino, che vede in un nuovo impianto il fattore imprescindibile per rilanciare il Brescia Calcio. A maggior ragione in una città dove la nuova e luccicante metropolitana transita nei pressi di uno stadio fatiscente, come ricordato in una conferenza del 2013 con un velo di malinconia. Quasi un anticipo del commissariamento della società da parte di UBI Banca, nel luglio 2014, inevitabile per garantire l’iscrizione al campionato. Un epilogo amaro, dopo oltre vent’anni al timone delle Rondinelle, per un Corioni che seguirà il suo Brescia fino agli ultimi giorni, pur ormai da lontano.

“Il Brescia resta la mia vita, anche se non è più mio. Ma in realtà non lo è mai stato: una squadra di calcio era ed è di tutti, mica solo di chi ne ha le azioni. […] Non ho rimpianti.

Ho fatto quello che ho potuto, e anche qualcosa di più. Sicuramente avrò commesso degli errori, ma non sono mai stato aiutato, come invece mi era stato promesso. […] Lo ripeterò fino all’ultimo giorno: se gli industriali bresciani fossero stati meno avidi, chissà come sarebbe in alto il nostro Brescia”.

Corriere della Sera, 12 novembre 2015

Anche se il sogno di rendere la Leonessa un membro permanente della Serie A è naufragato, il tempo avrebbe lenito le incomprensioni verso colui che non si capacitava di come la quinta provincia italiana, dietro solo alle grandi città metropolitane, si rassegnasse a non essere degnamente rappresentata pure nel gioco più bello del mondo. Parole al vento che oggi aleggiano su uno stadio catalogabile a monumento dell’archeologia industriale cittadina.

Una visione utopica, quella di Gino, forse abbracciata maggiormente proprio da chi aveva con lui un rapporto sincero di amore e odio, rispetto all’indifferenza borghese nei confronti dell’uomo venuto dalla provincia. D’altronde, nel cuore di chi ha partecipato a quelle domeniche di festa popolare resta un pensiero, esplicitato da uno striscione comparso al Rigamonti negli anni d’oro: “Ho visto un sogno, non ci posso credere”.


[i] L. Corioni, Dar peso alle cose quotidiane. Una conversazione con Vittorio Feltri, Cairo (2017), p. 63.

[ii] Ivi, p. 93.

[iii] Ivi, p. 31.

[iv] Ivi, p. 61.

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