Nel 1984/85 affonda definitivamente il progetto Chinaglia per una Lazio competitiva, mentre il Verona lancia la fuga verso lo scudetto.
A volte anche il calcio ha le sue sliding doors. Se il 16 dicembre 1984 le cose fossero andate diversamente, forse sarebbe cambiata la storia di due squadre. O forse no. Manca la prova. Lo stadio è l’Olimpico di Roma e a scendere in campo quel pomeriggio sono Lazio e Verona. I rispettivi obiettivi sono diversi ma entrambi molto importanti: la Lazio deve salvarsi dalla retrocessione, il Verona è in piena corsa scudetto e sente che quello può essere l’anno buono. La squadra romana sta vivendo la fase forse più travagliata della sua storia: lo scudetto risale a dieci anni prima ma rispetto al 1974 la situazione generale è completamente cambiata.
Dopo la vicenda del calcio scommesse, che nel 1980 ne avrà determinato la retrocessione d’ufficio in serie B a causa della compravendita di partite da parte di alcuni suoi tesserati (la società sarà riconosciuta estranea ai fatti incriminati in sede di giustizia ordinaria, ma pagherà il concetto di responsabilità oggettiva), nel 1983 la Lazio torna nella massima serie. Lo fa con fatica e con i propri mezzi, cercando di dare vita a quello che vorrebbe essere un rilancio in piena regola.
La Lazio deve salvarsi dalla retrocessione, il Verona è in piena corsa scudetto e sente che quello può essere l’anno buono.
Ad avvalorare una simile speranza è la partecipazione come massimo dirigente di Giorgio Chinaglia, che nell’estate dell’83 ha appena rilevato la società. La sola presenza del condottiero dello scudetto, stavolta dall’altra parte della scrivania, scatena l’entusiasmo del popolo biancoceleste. A molti tifosi sembra che un lungo inverno nel cuore sia agli ultimi freddi. Voci di mercato seguono altre voci. Il nuovo presidente è accolto come un re e il progetto Lazio appare consistente anche fuori Roma. Si parla di contatti finanziari importanti e di partecipazione agli utili futuri della Lazio di multinazionali dai nomi altisonanti. E all’inizio è tutto vero, perché negli Stati Uniti Giorgio Chinaglia è un nome importantissimo.
È il suo carisma a riempire gli stadi americani negli anni 70, anche più della presenza di ex campioni come Pelè, Beckenbauer e Carlos Alberto. In quegli anni la Warner Communications, gigante dell’industria dello spettacolo, conta in effetti sull’ex bomber biancoceleste per lanciare a titolo definitivo il calcio negli Stati Uniti, ma qualcosa va storto. All’improvviso la Soccer League americana chiude i battenti ed è proprio questo crack a determinare un cambio di strategia: Long John Chinaglia non è più al centro del restyling. I capitali promessi non affluiscono nelle casseforti della Lazio e il mercato estivo non è certo quello sperato dai tifosi.
Il primo anno da neopromossa è soffertissimo: alla fine del campionato 1983-84 la salvezza viene centrata, ma non erano quelli gli obiettivi di cui si era parlato a inizio stagione. Accanto a giocatori dell’importanza di Giordano, Manfredonia, D’Amico, i nomi che compongono la rosa non sono quelli che immaginava chi si era illuso di poter annoverare calciatori di primo livello.
Gli stranieri sono il brasiliano Batista, la brutta copia di Falcao sia nell’aspetto fisico che nel modo di stare in campo, e Michael Laudrup, giovane talento danese dirottato dalla Juventus e in attesa di maturazione. Per il resto, la rosa si compone di giocatori esperti e altri promettenti: Storgato, Spinozzi, Podavini, Filisetti, Orsi, Torrisi, il giovane Calisti. In definitiva i nomi per poter disputare un discreto campionato ci sarebbero ma mancano l’idea complessiva di squadra e di gruppo.
Uno dei principali errori di tutta la gestione Chinaglia sarà quello di affidare ruoli societari importanti in base a un malinteso senso di “lazialità”.
Quel 16 dicembre le squadre che scendono in campo all’Olimpico hanno dunque obiettivi opposti. Da qualche domenica il presidente Chinaglia, seguendo quell’impulso che non sempre lo avrà ben consigliato nella vita, ha esonerato l’allenatore. Non più Paolo Carosi in panchina, bensì l’argentino Juan Carlos Lorenzo che aveva già diretto la squadra circa 15 anni prima. Uno dei principali errori di tutta la gestione Chinaglia sarà quello di affidare ruoli societari importanti in base a un malinteso senso di “lazialità”.
Paolo Carosi, ex calciatore biancoceleste, è un buon allenatore ma forse non è pronto per gestire un ambiente complicato come quello nel quale si trova. Lorenzo invece è un personaggio bizzarro, folkloristico, che manca dal nostro Paese da parecchi anni e che, giudicando i risultati, non mostra più un gioco al passo con i tempi. Soprattutto, non sembra lui la persona capace di riportare ordine in uno spogliatoio che appare gestito da veri e propri capi clan.
D’Amico, Manfredonia e Giordano sembrano i veri padroni: ottimi giocatori e anche tifosi sinceri della loro squadra, ma incapaci di compattare lo spogliatoio intorno a un obiettivo comune. Per tale motivo le loro carriere, sempre in bilico tra “il grande e il buon giocatore”, appaiono limitate, almeno fino a quel momento, dall’attaccamento eccessivo a quei colori e dalla pigrizia nel mettersi in discussione in modo serio.
Eppure, in quel periodo c’è un sussulto d’orgoglio che lascia ben sperare. Due settimane prima di Lazio-Verona, a Genova contro la Sampdoria la squadra si rende artefice di una rimonta sulla quale nessuno alla fine del primo tempo avrebbe scommesso. Complice un pizzico di buona sorte, sotto di due gol riesce a terminare la partita sul 2-2; complice un pizzico di malasorte, nel finale la potrebbe perfino vincere e non la vince.
D’Amico, Manfredonia e Giordano sembrano i veri padroni: ottimi giocatori e anche tifosi sinceri della loro squadra, ma incapaci di compattare lo spogliatoio intorno a un obiettivo comune.
La sensazione è che comunque, se il gruppo resta unito, se qualcuno mette da parte gioco d’azzardo, discoteche e quanto vi gira intorno, la squadra potrebbe perlomeno navigare in acque placide. La domenica successiva la serie A è ferma a causa degli impegni della Nazionale e ogni giudizio è rimandato, ma nel frattempo la fiamma della speranza si è riaccesa e i tifosi riprendono vigore. Si riparte il 16 dicembre e all’Olimpico viene a far visita il Verona di Osvaldo Bagnoli, inaspettato capolista.
Quella che si vede è una Lazio ben messa in campo, senza timori contro un’avversaria visibilmente più forte ma la cui superiorità non riesce a esprimersi, anche perché i due stranieri del Verona, Briegel ed Elkjaer-Larsen non sono in campo. Per una volta l’allenatore della Lazio sembra avere indovinato le mosse tattiche facendo giocare le tre mezze punte Torrisi, Laudrup e D’Amico a ridosso dell’unico attaccante di ruolo, Giordano. Dare continuità a un pareggio come quello ottenuto contro la Sampdoria significherebbe non perdere terreno in classifica e farlo giocando in modo convincente.
Soprattutto, non sono più ammesse distrazioni. A inizio ripresa Lorenzo pensa addirittura di poter vincere. Esce Storgato, difensore scuola Juventus, ed entra il gioiellino della squadra Primavera, Dell’Anno. Nemmeno cinque minuti dalla sostituzione e la sorte della partita si compie. Da Di Gennaro a Sacchetti e quindi a Bruni. Triangolo con Galderisi che gli rende palla a pochi passi da Orsi per la deviazione vincente. La sfortunata deviazione di Podavini nella propria porta completa la sentenza.
Sullo Stadio Olimpico cala il gelo e non soltanto quello atmosferico. Con la vittoria esterna (la partita terminerà con il risultato di 0-1) la squadra scaligera afferma con forza le proprie ambizioni, mentre per la Lazio è la fine. Dopo una serie di sconfitte contrassegnate dalla mancanza di un gioco plausibile, Juan Carlos Lorenzo verrà sostituito in panchina dalla coppia Giancarlo Oddi-Roberto Lovati. In particolare Oddi è un’altra figura molto legata al concetto di lazialità ma troppo priva di esperienza per poter rimettere in assetto una barca che sta affondando.
Con la retrocessione si chiude per un ciclo. Giordano va al Napoli, Batista torna in Brasile, Laudrup e Manfredonia indossano la maglia della Juventus. Di lì a poco Giorgio Chinaglia si trova costretto a cedere le proprie quote di maggioranza all’imprenditore Franco Chimenti.
La classifica finale è impietosa: Lazio ultima in classifica a pari merito con la Cremonese. L’unica soddisfazione di una stagione sbagliata, il non aver perso i due derby stagionali. Virtù insufficiente per chi avrebbe voluto una Lazio “americana”, fatta per volare in cieli degni di un’Aquila.
Con la retrocessione si chiude un ciclo. Giordano va al Napoli, Batista torna in Brasile, Laudrup e Manfredonia indossano la maglia della Juventus. Di lì a poco Giorgio Chinaglia si trova costretto a cedere le proprie quote di maggioranza all’imprenditore Franco Chimenti. La rinascita della Lazio, che si concretizzerà appieno nel decennio successivo, dovrà passare ancora attraverso anni di sofferenze. Momenti a volte estremi che nel corso degli anni non faranno che rafforzare la fede di un popolo abituato ai “sali e scendi” della propria storia e a gestioni societarie talvolta grandiose, talvolta fallimentari. Pur con le migliori intenzioni di partenza.