I motori prima di cinema, televisione e scrittura.
Scrittore e romanziere di valore assoluto, talento creativo, artista eclettico, Giorgio Faletti è stato un intellettuale popolare e trasversale, celebre anche a livello internazionale. C’è però un aspetto meno conosciuto che aggiunge fascino ad un personaggio davvero poliedrico: il suo amore verso i motori e le corse automobilistiche, in particolare i rally. Una specialità che a cavallo tra gli anni ’80 e anni ’90 viveva il periodo massimo di popolarità e che ha visto lo scrittore partecipare in prima persona, da pilota.
“Trovo difficile dire di fare lo stesso mestiere di Hemingway. In più sono stato anche un pilota. Non so se sono gentleman ma di sicuro non sono un driver.”
Definire il romanziere di Asti è complesso. Faletti nasce artisticamente a Milano in quel Derby Club frequentato all’epoca da Gianni Rivera e Bettino Craxi, lo stesso luogo dove artisti come Giorgio Gaber e Dario Fo hanno iniziato la carriera. Sempre qui, nel 1977 – mentre Sandro Munari e la Lancia Stratos dominavano i rally mondiali – Enzo Jannacci e Beppe Viola fondarono il Gruppo Repellente, composto tra gli altri da Diego Abatantuono, Massimo Boldi e lo stesso Faletti.
Il debutto televisivo arriva nel 1982 con la trasmissione “Pronto Raffaella” condotto da Raffaella Carrà, per poi continuare su Antenna 3 Lombardia con “Il guazzabuglio” al fianco di Teo Teocoli per la regia di Beppe Recchia. È proprio l’ormai navigato regista, deus ex machina di molte trasmissioni Rai, che nel 1985 lo lancia in “Drive in”, il programma comico che ha segnato un nuovo modo di fare televisione.
Faletti non sopportava del tutto l’ambiente della televisione, a detta sua in lento declino a causa di una perdita di forza sperimentatrice, in favore di format comprati dall’estero, così parallelamente portò avanti l’attività di autore e scrittore. Proprio negli anni dei suoi primi passi da pilota di rally con una Lancia 037, un’operazione al ginocchio lo costrinse all’immobilità e all’avvicinamento al mondo della musica. Cominciò un’attività cantautorale sfociata nel primo album personale e nella scrittura di testi per Mina, Fiordaliso, Gigliola Cinquetti, oltre ad una fortunata collaborazione con Angelo Branduardi.
Raggiunge l’apice con la partecipazione al Festival di Sanremo 1994 dove, con “Signor tenente” – brano ispirato alle stragi di Capaci e di via D’Amelio – commuove il grande pubblico e vince il Premio della Critica, classificandosi secondo. Fu l’unico nella storia a partecipare sia al Festival di Sanremo che al Rally di Sanremo. Ebbe l’onore di partecipare all’edizione 1992 della gara con i colori Martini Racing, squadra che ha consegnato all’epica moderna le gesta della Lancia Delta e dei suoi piloti.
Passione per i motori a tutto tondo, grande tifoso della Ducati e della Ferrari, testimone del fatto che non si può essere italiani senza tifare le “Rosse”. Passione che metteva per iscritto nella sua rubrica su Autosprint “Io, Canaglia”. Passione che è protagonista anche nel suo “Io uccido”, romanzo più venduto nella storia in Italia dopo Il nome della rosa, ambientato nel weekend del GP di Montecarlo, in cui da straordinario comunicatore Faletti fa descrivere le sensazioni della paura a una delle vittime del serial killer, il pilota Jochen Welder.
“Era una compagnia abituale per un pilota di Formula 1. Ci si coricava da anni ogni sabato prima della gara, qualunque fosse la donna che in quel momento divideva la sua vita e il suo letto. (…) Per tanto tempo l’aveva lucidata e battuta la sua paura, dimenticata ogni volta che allacciava il casco o che saliva in macchina e stringeva la cintura di sicurezza (…).
Adesso aveva paura della paura. Quella che sostituisce il ragionamento, che ti fa staccare il piede dall’acceleratore un attimo prima del necessario e che un attimo prima del necessario ti fa cercare il pedale del freno. Quella che di colpo ti rende muto e parla soltanto attraverso un cronometro, mentre spiega quanto sia veloce un secondo per un uomo comune e quanto sia lento invece per un pilota”.
Giorgio Faletti è stato un artista puro e antitetico rispetto allo stereotipo dell’eremita, critico con i suoi stessi colleghi abbonati alla spocchia da intellettuale, ha dovuto affrontare un unico problema: cercare sempre modi nuovi per gasarsi. Energie, motivazioni, ispirazioni creative sviluppate anche grazie al motorsport, che lo hanno reso un artista pieno di vita. Anzi, come l’ha definito il romanziere noir Jeffery Deaver, “larger than life”.