Ritratti
01 Aprile 2024

Giovanni Sartori, tra mito e realtà

L'artigiano di imprese sportive, l'uomo dietro le quinte.

Giovanni Sartori si appresta ad essere, per la terza volta, partecipe – di più, artefice – di un successo sportivo con la terza squadra della sua vita. Il Direttore tecnico del Bologna infatti, dopo le straordinarie parentesi al Chievo Verona e all’Atalanta, ha costruito un Bologna formato europeo che, sotto la sapiente guida di Thiago Motta, si è rivelata la grande sorpresa della Serie A 2023/2024. Ma chi è Giovanni Sartori, come lavora e da dove viene? Di certo il suo essere un uomo allergico, o nella migliore delle ipotesi indifferente ai riflettori non aiuta. L’uomo nell’ombra, come spesso viene dipinto, è un dirigente di altri tempi, legato ad un altro calcio.

Non si interessa dei social, non ha WhatsApp, non si fida degli algoritmi e segue ancora (quando può) le partite di persona, cercando talenti nei campionati poco esplorati se non addirittura minori –  «guardo i giocatori che interessano al Bologna, tutto un altro mercato. Per quanto riguarda le big di Premier o Liga, devo dire che guardo più che altro le seconde squadre». La verità, al di là delle semplificazioni giornalistiche, è che Giovanni Sartori sa fare bene il suo mestiere. Utilizza la tecnologia come tutti ma non le concede l’ultima parola, forse neanche la penultima, ben consapevole che certe cose, se non viste con i propri occhi, non passano dai caratteri crittografati e nemmeno dai filmati.

«Non ho Whatsapp, vedo 90 partite all’anno dal vivo, le nuove tecnologie sono un ottimo strumento e le utilizzo tranquillamente, ma per età e convinzione resto un cultore del live: ai tempi dell’Atalanta vedevo 200 partite all’anno sul posto».

Giovanni Sartori a ‘Cronache di Spogliatoio’

Anche perché, poi, la differenza fra un giocatore mediocre e uno di valore passa anche dal carattere, dalla fame, dallo spirito di sacrificio, dalla serietà. E allora devi conoscerlo di persona, vederlo e rivederlo più volte. Parlare con lui, con la sua famiglia. Approfondire la sua storia. Contattare magari le persone che lo hanno allenato. Ci vuole tempo, pazienza, lungimiranza. Ci vuole artigianalità in questo mestiere, se lo si intende fare alla vecchia maniera (quella dei Sabatini, dei Corvino, tra i più ‘giovani’ anche dei Giuntoli). Sporcarsi le scarpe con il fango dei campi meno importanti.



Questo Sartori lo fa con passione dagli inizi della carriera, quando tutto ciò era più normale per un DS. Un dirigente profondamente ‘di campo’, che nelle poche interviste rilasciate si descrive così: «Sono uno all’antica, alzo il telefono e chiamo. E credo ancora molto nei rapporti umani, che si creano di persona». Predisposizione non da tutti, e assai apprezzata da chi negli anni con Sartori ci ha lavorato. A partire da Luigi Campedelli, storico presidente del Chievo che, dopo una carriera di buon livello tra A e B, lo esorta a smettere. Lui non la prende subito bene, pensa di poter dare ancora qualcosa alla squadra come giocatore: «All’inizio pensai che lo dicesse perché mi considerava scarso, ma effettivamente aveva un’idea precisa su di me. Ci aveva visto lungo».

Due anni come vice allenatore di Gianni Bui del Chievo in C1, dall’89 al ’91, e poi l’avvio della carriera di direttore sportivo della prima squadra. Pochi giorni dopo la sua nomina Luigi Campedelli muore e gli succede il figlio Luca. Si crea un trio di giovani: Luca presidente, Giovanni direttore sportivo e Alberto Malesani allenatore. Sartori può scegliere altre strade ma decide di rimanere. E rimane trent’anni scrivendo una pagina di storia del calcio italiano, quella di un quartiere di Verona che arriva alla serie A e fino ai preliminari di Champions League, nel 2005. Il sogno si ferma alle porte dell’Europa maggiore, ma il Chievo esce tra gli applausi del Bentegodi. 

«Cosa penso a quando mi dicono Chievo? A Bottagisio, il campo parrocchiale dove giocavamo in Interregionale. Mi vengono i brividi se penso che dall’oratorio siamo arrivati a un preliminare di Champions. È una storia unica e irripetibile».

Giovanni Sartori

Lì capisce quanto sia importante, nel ‘successo’ di un club, il lavoro di squadra: proprietà, allenatore, giocatori e un direttore sportivo che lavori in sintonia con la parte societaria e tenica, ma che possa godere di fiducia e assoluta autonomia. In quegli anni sono tanti gli acquisti: «Nei ventuno anni da dirigente del Chievo prendevo 10 giocatori in ogni sessione, più o meno avrò comprato 800 calciatori, forse qualcuno in più». Perrotta, preso per 1 miliardo e mezzo dal Bari e venduto alla Roma per oltre sette, e ancora Corini, Marazzina, Legrottaglie, Barzagli, Manfredini, Amauri, Luciano, Frey, Pellissier etc.. Per capire qualcosa di più di Sartori, basta sentire come ne parlano ancora, a distanza di anni, molti di questi giocatori.

Da Barzagli – «È stato il primo a credere in me, mi ha portato al Chievo quando ero sconosciuto. Mi ha dato fiducia e mi ha fatto crescere. È un grande professionista e una persona perbene» – a Perrotta – «Sartori è stato fondamentale per la mia carriera. Mi ha scoperto lui. È un dirigente serio, competente e umano» –, da Pellissier – «È stato il mio mentore. È un grande conoscitore di calcio e ha una visione lungimirante. Ha costruito squadre forti e competitive con pochi soldi» – a Delneri, allenatore del Chievo Verona dei miracoli: «è un architetto che muove le fila senza apparire, uno dei migliori nel suo lavoro».



La storia a Chievo finisce nel 2014, quando si convince che il suo lavoro, a Verona, era ormai finito. Arriva l’Atalanta, un’altro progetto che lo attira, un’altra gestione “familiare”, quella dei Percassi, in cui i rapporti umani sono ancora un valore. E anche qui la sua mano si vede abbastanza velocemente. Due anni di assestamento, ma da subito acquisti mirati e adatti al gioco dell’allenatore che portano sostanziosi utili alla società: Kessie, Caldara, Conti, Petagna, Gomez, Ilicic, De Roon, Zapata, Hateboer, Castagne, Djimsiti, Gosens e l’elenco è davvero lungo. Calciatori comprati bene e rivenduti meglio, che porteranno circa 300 milioni di utili. Con una società che gioca la Champions League per tre anni di fila arrivando a sfiorare le semifinali nel 2020 e sorprendendo tutta Europa.

Ed è proprio negli anni di Bergamo che si affina ulteriormente il metodo Sartori, tra mito e realtà. Un metodo che lo porta come detto a vedere fino a 200 partite l’anno in giro per il mondo, cercando non tra i club e i campionati d’elite ma nelle leghe meno conosciute. Sartori dispone di una struttura organizzata che ruota intorno a lui, fatta di osservatori che si muovono incrociando giudizi. Più schede, più pareri sullo stesso giocatore fino all’ultima parola, maturata sul campo, del direttore. Un metodo che gli ha consentito di mettere a segno molti colpi ben riusciti.

«Noi siamo in tanti. Contemporaneamente per un giocatore combiniamo i dati con il video e con l’osservazione live. L’ultimo step è la conoscenza col giocatore, cercare di capire carattere e personalità».

Giovanni Sartori

Emblematico è il racconto di come sia arrivato all’acquisto di De Roon. Nel 2014 Sartori segue l’Heerenveen, squadra di Eredivisie in cui si fanno notare diversi talenti: Ziyech, Djuricic, Finnbogasson. Lì nota questo mediano di sostanza e ed equilibrio e viaggia 14 volte per vederlo, nell’arco di sei mesi, prima di affondare il colpo. Che giochi davanti alla difesa o mezzala De Roon si inserisce, rifinisce, recupera palloni e non tira mai indietro la gamba. Sartori chiede un parere al suo allenatore, di cui sa che può fidarsi: Marco van Basten gli suggerisce di prenderlo e al giocatore consiglia l’Italia. Così matura un perfetto colpo in stile Giovanni Sartori.



Arriva quindi anche il momento di lasciare Bergamo, dopo otto anni di successi e di bilanci societari in positivo. L’amministratore delegato Luca Percassi lo saluta, a nome della “famiglia atalantina”, così: «Grazie, Giovanni, per quanto mi hai insegnato e per la serietà nel lavoro», mentre il presidente Antonio, sottolineando il “lavoro straordinario” fatto da Sartori, dichiara: «Gli voglio bene e gli auguro davvero il meglio». Segno di come Sartori lasci la persona, non solo il dirigente. Un addio, comunque, che sembra derivare da rapporti ormai logori e idee differenti con l’allenatore, come si può leggere tra le righe – pur sempre nel grande rispetto – nelle parole dello stesso direttore tecnico.

«Su Gasperini dico solo una cosa: con caratteri diversi, abbiamo lavorato entrambi esclusivamente per il bene dell’Atalanta».

Giovanni Sartori

Ora Sartori è pronto a compiere, insieme al Bologna, l’ennesimo capolavoro. E già osservando la conferenza stampa di presentazione (2022), si nota un uomo sinceramente emozionato mentre ricorda il padre tifoso del Bologna che lo portava, bambino, allo stadio San Siro a vedere il grande Bologna, quello dei Pascutti, Perani e Bulgarelli che nel 1964 vinse il suo ultimo scudetto. Parla di lavoro, tempo, passione, impegno ma anche di entusiasmo e riconoscenza per chi lo ha scelto per raggiungere obiettivi importanti. Anche perchè, mentre a Bergamo si collezionavano qualificazioni in Europa e bilanci in attivo, a Bologna si accumulava un rosso da 112,9 milioni. Per questo Saputo cercava la svolta, e la trova scegliendo l’uomo giusto.



Sartori costruisce a Bologna un’area scouting ben strutturata e continua nel suo lavoro di scoperta e valorizzazione di talenti in giro per il mondo. A parte Zirkzee, nome copertina, prelevato dal Bayern Monaco via Anderlecht per 8.5 milioni – e che ora ha quintuplicato il suo valore – Sartori pesca dalla Scozia Ferguson (Aberdeen), dalla Germania (Hoffenheim) l’austriaco Posch, dalla Russia (Dinamo Mosca) il croato Moro, dalla Svizzera (Basilea e Young Boys) rispettivamente Ndoye ed Aebischer, dal Belgio (Genk) il colombiano Lucumì, dall’Olanda (AZ Alkmaar) Beukema e Karlsson. Quindi rilancia Calafiori e Fabbian, oggi certezze del calcio italiano su cui Roma e Inter avevano deciso di non puntare. Infine, la più importante delle scelte: l’allenatore, Thiago Motta.

«Mi incuriosiva parecchio. Ero rimasto colpito dal calcio che faceva, coraggioso, propositivo. Thiago è un grande lavoratore e un grande comunicatore, molto diretto e deciso con la squadra, arriva subito ai ragazzi. Posso dire che ha migliorato il mio pensiero».

Un salto in avanti, domenica 3 marzo 2024. Il Bologna vince a Bergamo e stacca l’Atalanta per la lotta al quarto posto, il tutto con l’ombra e la lunga mano di Giovanni Sartori, che sta provando a riportare la città dei portici in Europa dopo 22 anni – per di più dalla porta principale, quella della Champions League. Sempre a suo modo, perché come scrive Furio Zara in un ottimo articolo su Gazzetta: «Non sentirete mai Sartori accreditarsi nessun merito, non lo ha mai fatto e mai lo farà. L’uomo che ha costruito la squadra-sorpresa della Serie A sta altrove, defilato, lontano dai riflettori».

E ancora: «Non è nemmeno vero che lavori nell’ombra come è uso dire nel luogo comune calcistico, perché nell’ombra si trama, si complotta, si architettano strategie oscure. Sartori lavora alla luce del sole, solo che il sole può essere quello di Groningen o Aberdeen, Genk o Berna (…) Per contorno della figura, Sartori potrebbe tranquillamente essere il dirigente di un club del 1973 o del 1965, quando – a parte i due-tre volti noti – gli uomini che costruivano squadre in provincia non avevano un volto, ma nemmeno un nome sull’organigramma del club nell’almanacco Panini».

Ecco chi è Giovanni Sartori, ed ecco perché il grande pubblico non lo conosce come (forse) dovrebbe. Perché nell’epoca più mediatica che sia mai esistita lui rimane dietro le quinte, e nel calcio della catena di montaggio lavora ancora, seppur suffragato dalla tecnologia, in maniera artigianale. Qualcuno dirà sbrigativamente che è simbolo di un calcio e di un modo di fare mercato che non esiste più. La verità è che, in un pallone nazionale con tanti debiti e poche idee, Sartori rappresenta il modo migliore, di certo il più efficace e sostenibile, di fare calcio.

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