Calcio
09 Marzo 2021

Glasgow Rangers, more than a club

Dai campetti fangosi della Third Division al capolavoro di Steven Gerrard.

Quando si parla di Rangers e Celtic, è storia nota, la questione trascende il calcio. Le due squadre di Glasgow rappresentano divisioni sociali, religiose e politiche profondissime e hanno sempre dato vita a scontri memorabili sul rettangolo verde. Tanto che il derby Rangers-Celtic, giocatosi finora ben 422 volte, è uno degli eventi più infuocati nella storia di questo sport, se non il più incredibile di tutti, al punto da meritarsi un nome proprio: l’Old Firm.

Circa 9 anni fa i Rangers vincevano una di queste sfide con un rocambolesco 3-2, ma con la morte nel cuore: la squadra era in amministrazione con lo spettro del fallimento dietro l’angolo, che sarebbe arrivato dopo poche settimane.

Iniziava da lì una lenta risalita addirittura dalla quarta serie, dopo il voto negativo dei club scozzesi a un riammissione in prima o seconda divisione. Era l’occasione per molti di far piangere una corazzata che li aveva spesso bastonati, dominatrice incontrastata per decenni al di là del vallo di Adriano (al 2012: 54 campionati, 33 Coppe di Scozia, 27 Coppe di Lega, 1 Coppa delle Coppe).

L’esultanza di Lee Wallace dopo la sua rete in quell’Old Firm al crepuscolo (Ph Jeff J Mitchell/Getty Images)

Dalla Champions League e dagli Old Firm si passava ora ai campetti fangosi della Third Division, con l’addio scontato di numerose stelle che andavano a giocare in Inghilterra lasciando il club con poco più di una decina di giocatori nell’estate 2012. Ma «We don’t do walking away», come disse l’allenatore, la vecchia gloria Ally McCoist: davanti alle difficoltà non si scappa, ma si risorge più forti di prima. Accanto al mister (355 gol in maglia Gers tra il 1983 e il 1998) altri scelsero di rimanere trascinando la squadra a due promozioni consecutive con numeri record, gente che aveva vestito la maglia della nazionale scozzese, come Lee McCulloch e Lee Wallace.

I record, ovviamente, arrivarono anche sugli spalti: la prima partita casalinga in Third Division fece registrare subito il numero più alto di tifosi mai visto a livello mondiale in quarta serie, con più di 50.000 presenti nelle tribune, pronti a lanciare la riscossa.

I campetti della provincia scozzese vennero costantemente invasi da folle festanti di tifosi gers, che stavano scrivendo un’altra pagina irripetibile nella storia di questo sport, tra mille difficoltà. D’altronde, per la comunità blu di Glasgow i Rangers sono «More Than a Club»: un simbolo storico, tradizionale, identitario, di cui Ibrox, il meraviglioso stadio, è il tempio in cui osservare il rito laico domenicale e cementare la comunità.

Gerrard Rangers Getty
L’artefice della rinascita, ma ci arriveremo. (Ph Ian MacNicol/Getty Images)

In seconda divisione ecco la prima battuta d’arresto, rappresentata plasticamente dalla pesante sconfitta nella finale play-off promozione 2015, conclusasi con una rissa pazzesca sul campo del Motherwell, dove il marocchino Moshni si rivelò più a suo agio con il Kung-Fu che con il pallone tra i piedi. Momento difficile, risolto grazie al nuovo presidente Dave King e al nuovo allenatore Mark Warburton, che portarono una ventata di aria fresca: il 2015-2016 fu una cavalcata trionfale che sancì finalmente l’agognato ritorno in prima serie.

I gol del bomber inglese Martyn Waghorn, la classe di Barrie McKay, l’esperienza di Kenny Miller (216 gol in carriera, 18 in nazionale) e la grinta del giocatore-tifoso Andy Halliday furono i segreti di una squadra che vinse il campionato in maniera spettacolare, e riuscì addirittura a battere il Celtic in un’epica semifinale di Coppa di Scozia vinta ai rigori.

Ma per tornare a competere veramente era ancora presto. La stagione successiva i rivali cittadini, rinvigoriti dalla cura Brendan Rodgers (semplicemente uno dei migliori allenatori della storia di questo campionato) si dimostrarono inarrestabili, mentre l’ambientamento in Premier dei Gers si rivelava più difficile del previsto: nei primi due anni la squadra non andò oltre il terzo posto e non vinse nemmeno un derby, aggravando il tutto con scelte tecniche sbagliate. Si veda in particolare l’esperienza in panchina del portoghese Caixinha, che infarcì la squadra di improbabili giocatori stranieri che non si ambientarono minimamente in Scozia.

Il 1 giugno 2018 la decisione che cambiò la storia: Steven Gerrard allenatore. La scelta era un’incognita, l’ex bandiera del Liverpool era stato un giocatore inimitabile ma come manager difettava di esperienza. Noi stessi su Contrasti ci domandavamo se fosse davvero lui l’uomo della Provvidenza in casa Rangers. Per molti, si trattava semplicemente di un nome celebre da dare in pasto a una tifoseria delusa.

La presentazione in pompa magna di Steven Gerrard ad Ibrox Park nel giugno del 2018 (Ph Ian MacNicol/Getty Images)

Con il suo consueto stile, il nuovo allenatore cominciò lentamente a cambiare le cose e costruire una squadra competitiva: arrivarono i primi derby vinti e due secondi posti consecutivi, che proiettarono i Gers come rivali credibili dei bianco-verdi (nel frattempo arrivati addirittura a 9 titoli consecutivi). Vincere anche il decimo avrebbe significato superare il record della storia scozzese, il “nine-in-a-row” che solo il Celtic della Coppa Campioni e i Rangers anni ’90 erano riusciti a portare a termine.

Si trattava dei Gers prima di Grame Souness e poi del “santone” Walter Smith, che schieravano in campo il meglio del calcio locale (McCoist tra tutti) al fianco di gente come Butcher, Hateley, Laudrup e Gascoigne. Per molti commentatori, il Celtic di Lennon nel 2020-2021 avrebbe battuto questo primato senza troppa difficoltà, in virtù di una rosa superiore a tutti e di una striscia impressionante di vittorie che sembrava quasi scontato continuare. Pochi si accorsero invece che la squadra di Gerrard, che aveva mantenuto inalterata la sua “ossatura”, era giunta alla maturazione tecnica e tattica.


«It’s coming Home»: il Ritorno sul tetto di Scozia


1 agosto 2020. Quando la funambolica ala Ryan Kent buca la porta dell’Aberdeen per la prima vittoria in campionato nessuno poteva immaginare che fosse il là a una striscia di risultati senza precedenti. Grazie a una compattezza difensiva straordinaria, a un gioco spettacolare e a un attacco devastante, la squadra comincia a inanellare goleade a ripetizione. Tra settembre e gennaio le vittorie consecutive sono 16, il primo derby fuori casa è vinto in scioltezza 2-0. Quando i biancoverdi si presentano ad Ibrox il 2 gennaio sembra essere già l’ultima occasione per tenere vivo il campionato, ma gli uomini di Gerrard vincono ancora.

Addio “ten-in-a-row”: Lennon perde la testa e lo spogliatoio Celtic si spacca, infrantosi sul muro blu eretto dal gruppo di Gerrard. La città ribolle in attesa della vittoria finale che è ormai solo questione di matematica.

Il 6 marzo i Gers schiantano il St. Mirren 3-0 e vanno a un punto dal titolo, il giorno dopo il Celtic preferisce pareggiare 0-0 col Dundee Utd piuttosto che vedere i rivali festeggiare sul loro campo, nell’Old Firm che è la prossima di campionato. Il 7 marzo 2021 i Rangers tornano sul tetto di Scozia in tempi record, con numeri a dir poco clamorosi: 32 partite, 28 vittorie, 4 pareggi, 0 sconfitte; 77 gol fatti, 9 subiti. Anche in Europa, d’altronde, la squadra è imbattuta in 11 gare e si appresta a giocare gli ottavi. I protagonisti dell’impresa meritano di essere citati tutti. In primo luogo menzione speciale va fatta alle due vecchie glorie che hanno trascinato il gruppo: il portiere Allan McGregor, 39 anni, e il regista Steven Davis, 36 anni.

Tutta la complicità tra Allan McGregor e il suo allenatore in uno scatto (Ph Ian MacNicol/Getty Images)

Entrambi protagonisti di trofei e vittorie prima del drammatico 2011-2012, tornati a Glasgow per guidare al squadra al riscatto finale grazie alla loro esperienza e determinazione. Davanti a McGregor, la difesa è stata retta dall’inglese Conor Goldson, il miglior difensore del campionato che non ha mai saltato una gara, segnando una fondamentale doppietta a Celtic Park. Al suo fianco si sono alternati l’ex Bologna Filip Helander e il roccioso nigeriano Leon Balogun. Sulle fasce hanno agito due giocatori clamorosi a queste latitudini come Borna Barisic e il capitano James Tavernier. Nazionale croato dal sinistro importante il primo, vera valanga inarrestabile il secondo.

Già a quota 200 presenze con i Gers, Tavernier, specialista nei rigori e nelle punizioni, ha collezionato quasi un centinaio tra gol e assist, numeri mai visti per un terzino.

A centrocampo, oltre alla saggia regia di Davis (capitano dell’Irlanda del Nord, una terra da sempre legata ai tifosi dei Rangers), hanno agito: lo scozzese Ryan Jack, diventato uno dei migliori nel ruolo con Gerrard; l’esplosivo Joe Aribo; Scott Arfield, capitano del Canada con alle spalle vasta esperienza in Premier League inglese e Glen Kamara, metronomo della mediana già sommerso di richieste dall’Inghilterra. In avanti giocatore fondamentale è stato Kent, acquistato per 6.5 milioni dal Liverpool e vero e proprio crack in Scozia, capace di cambiare le partite con strappi e accelerazioni.

La sua fantasia si è abbinata sulla fascia opposta a quella del più discontinuo Ianis Hagi, figlio del celebre Georghe, che ha comunque dato sfoggio di una tecnica importante nel corso della stagione. La fluidità del 4-3-3 di Gerrard ha spesso fatto correre la mente, con le dovute proporzioni, ai Gers di Dick Advocaat di 20 anni fa, che davano spettacolo con gente come Numan, Van Bronchkorst, Ferguson e De Boer in campo.

Dick Advocaat fece sgranare gli occhi del pubblico di Ibrox con il suo gioco a dir poco spumeggiante. Gerrard, oggi, non è da meno. (Ph Stu Forster/ALLSPORT)

Il centravanti titolare è stato il discusso colombiano Alfredo Morelos, capace nelle scorse stagioni di collezionare gol e cartellini rossi come caramelle. Temperamento focoso, dopo un inizio in sordina si è rivelato ancora una volta fondamentale, divenendo capace di spaziare su tutto il fronte dell’attacco ed evolvendosi dal ruolo di semplice finalizzatore che ha avuto a inizio carriera.

Dietro il trio Kent-Morelos-Hagi si sono alternati prevalentemente lo svizzero Cedric Itten, il giamaicano proveniente dall’Anderlecht Kemar Roofe (12 gol in campionato, il più bel gol dell’Europa League finora e qualche acciacco di troppo) e infine il “mitico” Jermaine Defoe, che dopo valanghe di reti in Inghilterra è venuto a Glasgow per dare una mano al vecchio amico Gerrard, coronando a 38 anni il suo sogno di vincere un campionato.

Un piccolo miracolo sportivo cominciato sul campetto del Brechin City nel 2012 e concluso con il titolo numero 55 nove anni dopo.

Gli artefici non sono solamente i protagonisti di questa stagione, ma i tanti nomi di una lunga e tortuosa avventura: McCoist, Wallace, McCulloch, Halliday e le vecchie bandiere venute a mancare nel corso degli ultimi anni, da Sandy Jardine e Tom Forsyth (colonne degli anni ’70) fino a Fernando Ricksen, capitano dei Gers campioni del 2004-2005 e a cui molti hanno dedicato il titolo, morto a causa della Sla nel 2019 dopo essere stato celebrato ad Ibrox in una delle sue ultime apparizioni pubbliche.

Mentre i pensieri affollano la mente, l’impresa dei Gers viene cantata e festeggiata con scene di giubilo irrefrenabile che colorano l’intera città da parte dei tanti tifosi. Questi non hanno mai abbandonato quella che non è solo una squadra, ma un simbolo, un orgoglio, una fede. Rangers: «More Than a Club».

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