Una gestione fallimentare senza appello.
Il calcio italiano è in subbuglio e lo è anche il presidente Gabriele Gravina. Il numero uno del calcio nazionale, dalle sue stanze di via Gregorio Allevi, sta affrontando un periodo nero e a dir poco complesso. Roberto Mancini, come un fulmine a ciel sereno, ha presentato le dimissioni da ct della Nazionale facendo venir meno una delle poche certezze di Gravina. A questo si aggiunge il fardello delle dimissioni di Nicolato dall’U21, sostituito da Nunziata, e del ct del calcio femminile Milena Bertolini. Tre nazionali che nel giro di un mese hanno perso la guida tecnica, con Gravina e i suoi collaboratori chiamati a metterci una pezza.
Mai la Figc aveva vissuto un’era cosi cupa.
Con il fantasma di due mancate qualificazioni mondiali consecutive, un fatto inimmaginabile per il nostro calcio, l’europeo aveva sì dato fiducia, respiro, con quella vittoria così miracolosamente italiana, ma poi i nodi sono tornati inevitabilmente al pettine: ecco allora le dimissioni di un commissario tecnico a poco più di 20 giorni da due gare delicate per il prossimo Europeo (e con le convocazioni ancora da diramare). Il tutto malgrado la mossa – folle – di dare a Mancini pieni poteri su U20 e U21, un tentativo disperato per trattenerlo al timone allontanando ripensamenti così come il suono sempre più ammaliante delle sirene arabe.
Fatto sta che la gestione Gravina non riesce più a nascondere le proprie crepe. Il calcio italiano sprofonda. Non ha più appeal sul mercato dei diritti televisivi, mentre i conti sono sempre più in rosso fino ad arrivare a 5,6 miliardi di debiti complessivi (un dato da fare spavento). La Serie B e la Lega Pro vivono ogni anno condizioni di profondo disagio in sede d’iscrizione per le condizioni economiche dei piccoli club di provincia, i quali sopravvivono solo per sacrifici economici dei propri proprietari. Per non parlare della Serie A, sommersa dai debiti e il cui potere economico diminuisce di anno in anno.
Insomma, un quadro che restituisce il fallimento della gestione Gravina, a capo di un pallone nazionale in profonda crisi. Anche perché le riforme, a partire da quelle non più rimandabili dei campionati, non sono mai arrivate, rimanendo solo sulla carta dei programmi elettorali e venendo rispolverate nei momenti di difficoltà come fossero slogan politici. Le dimissioni di Mancini sono state allora la punta dell’’iceberg ma la verità, e ci dispiace sparare sulla Croce Rossa, è che il presidente della Figc ha fallito su tutto.
La gestione dell’ex patron del Castel di Sangro ha collezionato più orrori di quella di Tavecchio: dalla mancata qualificazione al mondiale del Qatar al caso Juventus – e alla relativa penalizzazione cambiata e pattuita a seconda dell’utilità –, dal sopra citato fallimento delle nazionali (con l’unica eccezione dell’U20) alle problematiche riguardanti le iscrizioni in Serie B e Lega Pro, a cui non si riesce a mettere un freno e che anzi, ogni anno, sconvolgono i campionati creando situazioni sempre più paradossali.
Analizzando poi il report sul calcio fornito dalla Figc emergono dati preoccupanti: dal 2018 mancano circa 87mln di euro di ricavi provenienti dall’ingresso dei tifosi negli stadi, evidenziando il disamoramento di una vasta parte del pubblico verso il calcio italiano. Se nel 2018 la cifra era pari a 341 mln di euro, l’ultimo report ci ha mostrato che la cifra guadagnata in totale dai club è pari a 254. Altro dato da non sottovalutare riguarda l’indebitamento aggregato che tocca il valore record del calcio professionistico.
Questo è cresciuto di 239 milioni di euro rispetto alla precedente stagione sportiva (+4,4%) ed è ora pari alla cifra di 5,6miliardi.
Se andiamo a vedere le leghe minori, poi, la situazione si fa ancora più tetra. Nel 2021-2022 è stato registrato un forte aumento della perdita netta della Serie B, che ha raggiunto i 268,2 milioni di euro, il doppio rispetto ai 134,3 milioni del 2020-2021. Dal punto di vista finanziario continua a crescere l’indebitamento, che si attesta a 525,4 milioni (in aumento di 148,5 mln rispetto al 2020-2021). Si riduce anche la patrimonializzazione dei club, con l’equity che per la prima volta nelle analisi del ReportCalcio (a partire dal 1997-1998) scende in territorio negativo, con un dato pari a -27,8 milioni (rispetto ai +51 milioni del 2020-2021).
Non migliora nemmeno la Lega Pro. Sul fronte finanziario si registra un aumento dell’indebitamento, che raggiunge un dato medio per società pari a quasi 3,4 milioni di euro, in crescita rispetto ai 2,6 della stagione precedente, e il patrimonio netto torna ad essere negativo per circa 0,1 milioni. Senza considerare che, dal 2018 ad oggi, abbiamo registrato la scomparsa di 20 club professionistici tra la Serie B e la Serie C.
Ma è anche il rilancio e la valorizzazione dei giocatori nazionali, tema centrale a maggior ragione dopo le due esclusioni mondiali, un terreno su cui si misura l’inefficacia delle politiche federali. Rispetto ai 31 top campionati europei l’Italia si colloca infatti al terzo posto per minutaggio di calciatori stranieri (61,7%) e all’ultimo per l’utilizzo di giocatori formati nei settori giovanili dei propri club (appena l’8,4%).
Un dato che evidenzia quanto il decreto crescita, licenziato nel 2019 dal governo e inizialmente sostenuto da Gravina, sia stato un boomerang per il pallone nazionale che, anziché favorire la valorizzazione del “prodotto locale”, ha spinto i club ad acquisire calciatori stranieri. Che c’entra Gravina, direte voi? C’entra per il fatto che in un primo momento la federazione sostenne la misura, per poi rendersi conto solo dopo del problema: così Gravina e il suo staff ne chiesero la modifica, ma senza trovare il parere favorevole dei grandi club di Serie A. Ormai, il danno era stato fatto.
Per non parlare delle altre riforme – quelle promesse ma mai pervenute, mai votate, chiuse in qualche cassetto della federazione – o della candidatura ad Euro 2032, con Gravina che prima ha proposto l’Italia indicando strutture fatiscenti per poi cercare l’appoggio della Turchia di Recep Tayyip Erdogan ed evitare brutte figure in fase di assegnazione. A proposito di strutture poi, consideriamo che tra Serie B e Lega Pro ci sono oggi 7 club (Catanzaro, Feralpisalo, Reggiana, Monterosi, Sorrento, Sestri Levante, Lecco) senza impianti sportivi idonei e costretti a giocare a km di distanza se non in altre regioni.
Pensiamo solo al Catanzaro, che ha indicato lo stadio di Lecce (400 km di distanza) per le sua partite casalinghe in attesa di completare i lavori allo stadio Ceravolo.
Quindi, è doverso ricordare anche il fallimento del calcio femminile. Un movimento in crisi ancor prima di iniziare, con i club costretti ad allestire squadre femminili giovanili per non incorrere in sanzioni pecuniarie da parte della federazione – e che hanno visto lievitare i propri costi con l’introduzione del professionismo per le squadre maggiori. Le azzurre poi, al momento dell’eliminazione, non le hanno mandate a dire ai vertici del calcio. Con il duro comunicato apparso sui profili social delle calciatrici, oltre a ribadire le responsabilità del ct Bertolini, è stato infatti sottolineato il disinteresse della Figc, regolarmente assente alle manifestazioni sportive.
Ma ciò che più di tutto non è tollerabile è il fatto che Serie B e Lega Pro inizino i campionati con alcune X nei calendari in attesa che vengano designati i ripescaggi. Un caos dettato dalla poca chiarezza delle regole e del continuo sovrapporsi della giustizia ordinaria a quella sportiva, con i vertici della Figc inermi e il risultato di un imbarazzo planetario che rappresenta plasticamente l’approssimazione e il caos del nostro calcio.
Ecco perché, tornando all’inizio, le dimissioni di Mancini sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma un vaso già ampiamente colmo. E per Gravina hanno rappresentato un danno d’immagine e di credibilità importante, come sottolineato da Aurelio De Laurentiis che, certo con la classica spocchia ma in questo caso non proprio ingiustificata, ha bacchettato il numero uno della Federcalcio chiedendo di
“uscire dalla dimensione di dilettantismo”.
«Per quanto riguarda la Federazione, ciò che mi appare più sorprendente è che si arrivi a poche settimane da due gare molto importanti della Nazionale subendo le dimissioni dell’allenatore Roberto Mancini. Qui sono due le principali considerazioni da fare: non si sanno tenere i rapporti con i propri collaboratori inducendoli alle dimissioni; mancano strumenti giuridici idonei a trattenere gli stessi determinando il rispetto dei contratti sottoscritti anche attraverso la previsione di specifiche penali».
Per questo, nel nostro piccolo, chiediamo a Gravina di fare un gesto che potrà aiutare l’Italia a crescere: dimettersi. E che per uscire dal pantano si facesse sentire anche il CONI con il presidente Malagò, che intervenisse con decisione anche il ministro Abodi, che non può andare avanti con dichiarazioni (spesso peraltro lucide e condivisibili) sui giornali, ma che è invece chiamato a mettere alle strette Gravina prima che sia troppo tardi. Perché il calcio italiano, un settore che corrisponde a 10,2 miliardi nel PIL nazionale, sta sprofondando. E ogni anno passato in questo modo diventa sempre peggio.
Grafica di copertina a cura di Felice D’Amore