È questione di giorni, se non addirittura di ore, prima che arrivi l’ufficialità dell’addio di Antoine Griezmann all’Atletico Madrid, con più che probabile destinazione Barcellona. La maglia numero 7 dei colchoneros è già passata sulle spalle di Joao Felix: con un carico di aspettative e il peso di 120 milioni a bilancio, il giocatore portoghese ex Benfica sarà anche il principale indiziato a raccogliere l’eredità tecnica del Piccolo Diavolo.
Così, dopo 5 anni di idillio diviso tra l’iconico Vicente Calderón e il futuristico Wanda Metropolitano, il giocatore più amato dalla parte bianco-rossa di Madrid ha invocato a gran voce la cessione. Il calciatore non si presentato al ritiro estivo della squadra e ha minacciato persino di pagare di tasca propria la clausola rescissoria pendente sul suo cartellino pur di liberarsi dal giogo contrattuale esercitato dal presidente Cerezo.
Il gol alla Roma nel novembre del 2017 (Photo by Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images)
Le strategie di mercato, nell’epoca dei separati in casa illustri (Icardi, Nainggolan, Dzeko, Higuain, anche senza uscire dai confini nazionali), non stupiscono più nemmeno nell’ottica di una dinamica perversa in cui i calciatori acquisiscono un potere sempre maggiore nelle trattative nei confronti delle società, asfissiate dalle svalutazioni che impattano sui bilanci. E d’altra parte non sarebbe nemmeno deprecabile la volontà di assecondare le lecite aspirazioni sportive di un calciatore nel pieno della sua maturità sportiva, in cerca della consacrazione definitiva nell’Olimpo di questo sport, accasandosi presso un club paradigma stesso del calcio.
Eppure, qualcosa stona in questa, ennesima, litania di mercato, di cui avremmo volentieri fatto a meno. Riavvolgendo il nastro, e riportando le lancette a poco più di un anno fa, i ricordi ci restituiscono un’immagine insolitamente analoga, dall’epilogo opposto. Dopo un finale di stagione esaltante, culminato con i festeggiamenti dell’Europa League davanti alla fontana di Nettuno (grazie a una doppietta proprio di Griezmann), l’ambiente colchonero era stato violentemente sconquassato dall’addio dell’idolo immortale dell’Atleti, il Niño Fernando Torres, e dalle voci di un imminente trasferimento proprio del Piccolo Diavolo alla corte blaugrana (sì, sempre loro), disposti a pagare per intero la sua clausola rescissoria.
Campione del Mondo. Con merito (Photo by Shaun Botterill/Getty Images)
All’ultima di campionato, durante la festa commovente dedicata dal Wanda a Torres, il cuore ferito del tifo atletista aveva regalato solo bordate di fischi al suo campione transalpino: fischi amari, pieni di rancore e dell’orgoglio ferito nel profondo da chi si sente sedotto e poi abbandonato. Griezmann aveva preso tempo, e prima di riportare la Francia sul tetto del Mondo, aveva annunciato, tramite un video-spot, girato (un caso?) dalla casa di produzione di Piqué, la sua permanenza all’Atletico Madrid, sostenendo di non poter abbandonare i colchoneros in un momento di transizione troppo delicato per fare mancare il proprio apporto.
Un segnale lodevole, anche se non richiesto, volto alla spettacolarizzazione mediatica di un evento, “La Decisión“, che auto-celebrava in modo patologico il protagonista; cappuccio della felpa alzato, davanti al Wanda, e giuramento di fedeltà all’Atleti. Una dinamica simile a quanto avviene periodicamente nei draft dei grandi cestisti americani della NBA, dove però è assodato il ruolo dello sport come show-biz e intrattenimento puro e disinteressato. Una mossa così insolita aveva portato in dote a Griezmann una dose incalcolabile di amore da parte dei propri tifosi, fieri di assistere al ‘gran rifiuto’ di uno degli attaccanti più celebrati del momento alle lusinghe della corazzata catalana, gratificati dalla vittoria di una passione, quella atletista, incomparabile nel cuore colchonero, e comprovata dalle azioni del francese. Quasi un trionfo dei tifosi, anima e motore del calcio, cittadini di una singolare oligarchia del divertimento, dove viene costantemente negato loro il diritto di voto.
Perlomeno, ci ha fatto divertire con le sue variegate esultanze (Photo by Denis Doyle/Getty Images)
Oggi, senza trofei da alzare, senza la leadership del capitano Godin, da cui Griezmann avrebbe a buon diritto ereditato la fascia, il francese ha fatto una clamorosa marcia indietro. Cosa è cambiato rispetto a un anno fa? Assolutamente nulla. È ancora il Barca a bussare alla porta di Griezmann, con i soliti splendidi sogni di gloria, gli stessi dell’anno passato. Ancora una volta si è manifestata la consueta dose di personalismo, l’egocentrica brama di successi anteposta a qualsiasi alea di fedeltà o rispetto. L’Atletico Madrid ripartirà dall’importante tesoretto della sua cessione, Griezmann indosserà una nuova maglia, blasonata e foriera di splendide sfide, mentre nessuno riuscirà a colmare l’ennesimo vuoto nel petto dei tifosi dell’Atletico, di tutti coloro che credevano di aver trovato una bandiera e si sono trovati di fronte a un papelito.
Resisteranno ancora una volta, come hanno superato le drammatiche finali di Champions League perse contro i più ricchi, belli e forti di Madrid. Il tifo colchonero ha imparato sulla propria pelle che in un calcio senza bandiere Davide non batterà Golia. Tuttavia, per una volta, avevano creduto davvero che Le Petit Diable potesse trasformarsi ne Le Petit Prince.
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