Il City di Pep vince la Champions governando il caos.
Mentre il suo City alzava la coppa dalle grandi orecchie, Guardiola aveva lo sguardo perso. Sputacchiava nervosamente, e quasi sembrava dare istruzioni ai suoi su come disporsi nel momento della celebrazione – dove ogni schema finalmente salta, e la gioia svuota le fatiche della tensione fin lì accumulata. Felice, certo, ma anche solitario y final, Guardiola era quasi inebetito di fronte alla sua gloria. Finalmente ce l’ha fatta, Herr Pep. Più di un miliardo speso in sei anni, due finali di Champions e una semifinale: l’ha inseguita a lungo, era diventata un’ossessione. E l’ha vinta, Eupalla volendo, nel modo meno guardioliano possibile.
«Nei precedenti siamo stati un disastro quando potevamo vincere, ora è tutto meraviglioso ma potevamo perdere. Sono felicissimo per aver ottenuto il Treble».
Pep Guardiola, Sky Sport, 10.06.2023
Il City ieri non solo non ha dominato, come da attese di vigilia – e nonostante le solite patetiche dichiarazioni mani-avantiste dell’allenatore catalano –, ma ha persino sofferto. Si era inginocchiato davanti alla sua panchina, Pep, quando al minuto 58 Bernardo Silva e Akanji combinavano un disastro specchio del braccino corto tenuto fino a quel momento dai suoi ragazzi. Mentre Haaland e De Bruyne (uscito dopo 30′ per infortunio) giocavano a nascondino, l’Inter cresceva ed esplorava con qualità tanto la parte centrale del campo quanto le corsie laterali. E solo la pigrizia di Lukaku sottoporta – nonché una buona dose di culo nell’occasione della traversa/salvataggio proprio di Lukaku su azione di Dimarco – permetteva al City (in vantaggio grazie al piattone di Rodri al 67′) di vincere la Champions senza una sola sconfitta.
Pep dunque può godersi una meritata vacanza. Ha vinto una Coppa al merito, più per il percorso battuto negli anni che per questa singola Champions, dove non ha mai incontrato avversari davvero all’altezza. A proposito di questo, l’Inter ha chiuso la partita – con tutto il rispetto – avendo in campo giocatori come Bellanova, Darmian, D’Ambrosio. Insomma, Inzaghi il miracolo l’aveva già ampiamente compiuto arrivando fin lì e disputando con tanta presenza una finale che sulla carta sembrava senza contradditorio. Una storia c’è stata, e l’Inter vi è entrata da protagonista del racconto. Ma alla fine, come ha detto Pep,
«questa competizione è una moneta», imprevedibile fino all’ultimo, e per questo tanto più emozionante. Non è stata una finale spettacolare, tutt’altro: non è stata neanche una finale tesa, dal campo agli spalti.
L’Inter a livello di tifo non ha avuto rivali, e c’era da attenderselo. Ma permetteteci un commento disamorato sui ‘festeggiamenti’ dei tifosi del City. Già assenti ingiustificati per tutti e 90 i minuti, hanno festeggiato il titolo più importante della loro (tutt’altro che gloriosa) storia con un’apatia rabbrividente. Un’immagine plastica del calcio che verrà. Così mentre Benzema veniva presentato in pompa magna in uno sperduto club dell’Arabia Saudita (sic!), per la prima volta nella storia una proprietà araba alzava al cielo il più importante e ambito trofeo intercontinentale: la Champions League. In attesa di capire gli sviluppi della proprietà nerazzurra, che parrebbe attentamente visionata da un fondo arabo, l’anno prossimo in Champions saliranno a tre le proprietà di quei profumati lidi: City, già favoritissimo, PSG e Newcastle. Ci sarà da divertirsi, e molto di cui parlare, in una competizione che ha demonizzato la Superlega ereditandone i principi di fondo.