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10 Novembre 2022

Chi semina vento raccoglie tempesta (di sabbia)

Tutta l'ipocrisia di Guardiola sul Qatar.

Un editoriale di Oliver Brown sul Telegraph ha messo a nudo l’ipocrisia di Guardiola sul Mondiale in Qatar, criticando il doppiopesismo di Pep e la “memoria corta” di troppi addetti ai lavori. Come riporta oggi Lo Slalom nella sua rassegna stampa, l’allenatore catalano, così solerte oggi nel criticare la manifestazione, è infatti da tempo strettamente legato al Qatar. Per il Qatar, scrive Brown, Guardiola aveva addirittura accettato il ruolo di ambasciatore per il Mondiale:

«Negli ultimi 20 anni è stato più spudoratamente pro-Qatar di David Beckham durante una visita al bazar del centro di Doha. La sua fedeltà risale all’incantesimo vissuto a metà degli anni 2000 all’Al-Ahli, il club più antico del Qatar. La lealtà al piccolo emirato si è ulteriormente estesa quando, nel 2010, ha firmato per essere ambasciatore della candidatura alla Coppa del Mondo. E ora si lamenta?». Quindi Brown aggiunge che Pep aveva accettato questo ruolo per un torneo da giocare in estate, impossibile tuttavia per le condizioni del Qatar: «una lingua di sabbia nel Golfo Persico, le cui estati sono abbastanza calde da friggere un uovo sul marciapiede».

Ma c’è di più, secondo il giornalista del Telegraph: «Guardiola ha da tempo una stretta affinità personale con il Qatar. Nel 2011, quando il Barcellona abbandonò la tradizione delle maglie senza sponsor, firmando un contratto di 5 anni e mezzo con la Qatar Foundation, Pep disse che nei due anni vissuti nel Paese, lui e la sua famiglia avevano ricevuto un trattamento meraviglioso. Disse che il Qatar si apre al mondo occidentale. Disse che spesso non capiamo il mondo musulmano, né loro noi, mentre il Qatar gli pareva il Paese musulmano più aperto e più vicino alle democrazie occidentali». Quindi la bordata finale:

«È un fenomeno curioso la visione del mondo di Guardiola. Da un lato elogia il Qatar – un luogo dove si paragona l’omosessualità a un danno psichico – dall’altro definisce autoritaria la Spagna, oppressore della sua Catalogna.



Quindi la chiusura: «Nessuno mette in discussione la forza o la sincerità dei sentimenti di Guardiola nel sostenere l’indipendenza della Catalogna. Ma quando appone etichette ai Paesi, deve accettare che i suoi giudizi morali sono fortemente guidati dall’interesse personale. Quando Guardiola oggi parla di un Mondiale pazzo, si potrebbe dire che ha il diritto di cambiare idea dopo 12 anni.

Ma dov’era questa preoccupazione nel 2010 – continua Brown – quando faceva campagna per il torneo che si sarebbe tenuto nel caldo torrido dell’estate del Qatar? Sì, il successivo passaggio alle date invernali è stata una colossale vessazione per i manager della Premier League. Ma ne è in parte responsabile Guardiola, avendo appoggiato questa assurda candidatura. Ha seminato il vento. Ora, con grande costernazione, sta raccogliendo la tempesta». Una tempesta di sabbia, aggiungiamo noi.

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Con buona pace di Urbano Cairo.

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