«In Europa si tifano le italiane» è forse la frase più stupida e insipida che, con ricorrenza e petulanza, si senta pronunciare dagli egregi dottori del pallone. Il controllo delle emozioni è una cosa pericolosa, ma l’odio lo è ancor di più – così (ci) dicono. Baciamoci e abbracciamoci dimenticandoci delle rivalità, dunque! Buttiamoci alle spalle decenni di lotte furenti, più o meno metaforiche. Dimentichiamoci delle icone patriottiche del pallone, delle bandiere, dei capitani; ogni cosa è uguale a un’altra, fratelli tutti!
Questa però non è un’enciclica, bensì una denuncia. Ricorderete senz’altro l’eco mediatica favoleggiante che, insieme all’Atalanta del simpaticissimo Gasperini, accompagnava la cavalcata dei nerazzurri in Champions, nell’ultima edizione disputatasi. Bene, sarebbe curioso fare una stima esatta delle persone che, al trotto della Dea, vedevano con trasporto ed entusiasmo sincero il grande sogno della Bergamo calcistica. Il caso vuole, infatti, che l’Atalanta sia una delle squadre più odiate del nostro campionato. Lo dicono le chiacchiere da bar, la tradizione, lo dicono le tante rivalità che – meravigliosamente – contraddistinguono le lotte interne al tifo del Belpaese. Andatelo a dire ai romanisti e ai laziali, di tifare l’Atalanta! Ditelo pure ai napoletani, o ai bianconeri di Torino.
A proposito della Vecchia Signora. Scommettiamo sul vostro supporto incondizionato alla Juve in Champions, nevvero? Sarebbero esterrefatti, gli ingenui cantori dell’amore ad ogni costo, nel vedere le piccole folle di amici e conoscenti, persino parenti, che sotto diverse vesti – interisti, romanisti, atalantini, qui sì tutti fratelli! – si radunano per gufare la Juventus al risuonare dell’inno della Champions League.
Non ci stupiremmo, noi, invece, nel vedere quegli stessi giornalisti, che vivano sempre felici e contenti, mangiarsi le unghie fino a scavarne la pelle, costretti a scrivere e raccontare l’inverosimile, a sorridere stridendo i denti il successo dei propri nemici. Sfatiamo quest’altro mito: che i giornalisti siano sempre imparziali e non siano tifosi. Come volete che nasca, in loro, la passione per il football? Dal gesto tecnico, direte voi. Senz’altro. Ma di chi? Per chi, e per cosa? Ogni cosa, per noi italiani, è riconducibile al tifo. E il gufo altro non è che un tifoso troppo passionale.
«Come la Nazionale, tutta Italia tifa per noi», Gasperini dixit. Sì, più o meno come quando, a Italia 90, il San Paolo tifò per l’Italia e voltò le spalle al Dio partenopeo Diego Armando Maradona. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Magari siamo scemi, noialtri, ma ciechi non lo siamo. L’Italia è un Paese meraviglioso proprio per questo. Nelle disgrazie ci si compatta, nell’abbondanza ci si isola. I tifosi si vedono, i gufi gufano – nell’ombra. I sardi tifano Juventus – perdonaci, Gigi Riva! – e i siciliani tifano Napoli. Tutti tifano per tutti, e nessuno tifa più per nessuno.
Restiamo umani, signori! Odiamoci, che questo è vero amore (e vera umanità). La gufata, tratto distintivo di un popolo totalitario in cucina, democratico in parlamento, cattolico a letto, comunista in fabbrica (Leo Longanesi docet), è nostro patrimonio nazionale. Tifare è meraviglioso, la malattia più bella che potesse mai capitarci. Ma gufare non è forse tifare con un occhio di troppo (Edipo Re)? Sempre amore è. Che cos’è l’odio, infatti, se non una forma d’amore capovolto (San Tommaso)?
Esultare per un gol della propria squadra è unico; gridare come ossessi per un gol subito dalla squadra gufata lo è (quasi) allo stesso modo. È capitato a chiunque, di vestirsi da gufi. Capita in continuazione. Non c’è male in tutto questo, ma nel nasconderlo – nascondere è peccato, Dio ci ama per quello che siamo. Mica a caso il gufo, assieme alla civetta, è simbolo di saggezza e chiaroveggenza.
Brevissima enciclopediadel gufo:
Il gufo sornione
Si dichiara “sportivo” e, apprestandosi a vedere una partita, inizia a rifilare complimenti a destra e a manca nei confronti della squadra gufata. Abbasserà gli occhi ad ogni gol, starà zitto per tutti i 90’ (e più), limitandosi a qualche commento ipocrita nei confronti della squadra gufata; se il risultato gli dà ragione, griderà come un pazzo lontano da occhi (e orecchie) indiscreti; se il risultato gli dà torto, non tornerà mai più sul luogo della gufata.
Il gufo sincero
Si dichiara gufo fin da subito. Presenta le proprie carte con così tanta nonchalance da sentirsi poi libero di insultare e gufare la squadra gufata anche e soprattutto in presenza di tifosi avversari.
Il gufo per caso
Entra sulla scena della partita quasi magicamente. Spesso è la mamma, che volendo dar prova del proprio amore, si lascia andare ad un commento nei confronti della squadra che poi, puntualmente, subirà gol.
Il gufo da bar
Guarda la partita sorseggiando la propria pinta, senza commentare mai, né in una direzione né in un’altra, gli accadimenti della partita (si dice spettatore neutro, presente solo per lo spettacolo). Se prende un’altra birra, forse è lì per una ragione specifica.
Il gufo da radio
Si chiude in macchina augurando ogni sorta di male alla squadra avversaria. Teme di sentire un “rete” ad ogni occasione della squadra avversaria; quando la palla ce l’ha la “sua” squadra, invoca gli spiriti più reconditi, chiama a sé il fato; se il fato gli dà ragione, manterrà volume della radio e postazione della macchina invariati in eterno.
Il gufo da stadio
Soggetto insieme innocuo e pericolosissimo. Basta un pugnetto rivelatore, esibito tra i tifosi avversari, a scatenare l’inferno. Un commento sussurrato sottovoce, una parola non detta, uno sguardo incerto, per riconoscerlo. È coraggioso, bisogna riconoscerglielo. Ma è anche un grande bugiardo, perché non sarà mai disposto ad ammettere di esser lì solo per gufare.