Controracconto di un amore perduto.
José Maria Gutiérrez Hernández del Campo, meglio noto come Guti, è stato autore di una delle carriere più difficilmente interpretabili di sempre. Sebbene sia stato al vertice del calcio europeo, nell’equipo del mundo, per anni – contribuendo, divertendo, a vincere – probabilmente in pochi conserveranno di lui un’immagine di vincente. Guti è stato soprattutto un calciatore silenzioso. Ma non di quel silenzio melanconico che rende il pallone uno sport letterario, piuttosto il silenzio di uno a cui davvero interessa poco di quello che sta facendo, un tasso così ponderato di menefreghismo raramente si era visto nei campi di fùtbol, prima di Guti.
Il topos del calciatore che non rispetta le aspettative enormi che gli sono state riposte trova in Guti un next level narrativo: non solo sembra che la disattesa non abbia influenzato il suo carattere, ma l’impressione anzi è che un temperamento così letargico non abbia influenzato in alcun modo la sua vita. Etichette – Calderòn lo definiva una promesa eterna – e paragoni – con ogni singolo galactico – ingombranti hanno semplicemente permesso al madrileno di trascorrere in relativa serenità la carriera, nell’accettazione totale di essere, per quasi tutta la sua durata, nel posto sbagliato e al momento sbagliato.
“Stavo crescendo come attaccante e arrivò Ronaldo, crescevo come centrocampista e arrivò Zidane, ora sono in nazionale come centrocampista e arriva Beckham. Tutte le porte mi si chiudono”.
Non ci si deve deprimere al pensiero che la sua carriera sia stata un fallimento rispetto alle attese – si parla di un giocatore che ha vinto il doppio di quanto abbiano vinto, sommati, i principali top player dell’attuale Serie A – perché l’estetica del suo gioco è stata davvero un’opera d’arte, epitome di tutto ciò che los invencibles della generazione successiva hanno rappresentato. Quando si parla di Guti si deve innanzitutto tenere a mente che si sta parlando di una bandiera.
Entrato tra le merengues come canterano da bambino, a 9 anni, e da madrileno, ne andrà via temporaneamente, nel 2010, da uomo a 34. Mentre passavano le ere al Bernabèu, e decine e decine di giocatori, Guti c’era. Mai protagonista, mai al centro di nessun progetto. Guti non è mai stato abbastanza, e può aiutare a rappresentare al meglio, malgrado l’incondizionata lealtà da lui donata alla camiseta, quanto avari di riconoscenza siano al Madrid.