Tradizione di popolo, miniera d'oro del marketing All Blacks.
Lungi dall’essere una semplice danza pre-partita, la haka è un sentimento radicato in un popolo antico e temibile. Nasce, etimologicamente, dalla composizione di due parole: “Ha” e “Ka”, “soffio” e “infiammare”. È per questo che, nella sua realizzazione (la celebre dimostrazione degli All Blacks, nazionale di rugby neozelandese, prima di iniziare la partita), gli interpreti si lasciano trasportare completamente dalle emozioni.
Chiunque abbia visto una partita della Nuova Zelanda è rimasto affascinato da questo rituale. Quante volte lo abbiamo imitato insieme ad un amico, travisandone le parole e scimmiottandolo? Eppure, pochi di noi si sono realmente interrogati sul senso profondo di questo atto sacro. L’Haka non appartiene agli All Blacks e non è neanche, come si crede generalmente, una danza intimidatoria. La definizione migliore ce l’ha fornita Alan Armstrong:
“La Haka è una composizione suonata con molti strumenti. Mani, piedi, gambe, corpo, voce, lingua, occhi… tutti giocano la loro parte nel portare insieme a compimento la sfida, il benvenuto, l’esultanza, o il disprezzo contenuti nelle parole. È disciplinata, eppure emozionale. Più di ogni altro aspetto della cultura Māori, questa complessa danza è l’espressione della passione, del vigore e dell’identità della razza. È, al suo meglio, un messaggio dell’anima espresso attraverso le parole e gli atteggiamenti”.
Rappresenta il senso di orgoglio dei Maori e l’irriverenza nei confronti dei colonizzatori. Il corpo è lo strumento, ogni sua parte dà vita ad una melodia. Più che ad intimidire, serve a rendere manifesto lo stato della propria anima (spesso viene utilizzata per salutare un’ultima volta chi è andato via per sempre, per vivere a pieno un momento di gioia o, sorprendentemente, per onorare chi si ha davanti).
I Maori, dicevamo; popolazione particolarissima, fin dalle proprie origini. Indomita e felicemente estranea alla modernità. Ricca di storie tra finzione e realtà. Secondo la leggenda, questa stirpe ha come terra madre Hawaiki, definita, con un velo di nostalgia, come “Hawaikinui, Hawaikiroa, Hawaikipāmamao”, ovvero “la grande Hawaiki, la lunga Hawaiki, la lontana Hawaiki”. Non si tratta però della Nuova Zelanda, bensì di un’isola della Polinesia.
Parliamo di un elemento fondamentale nella mitologia polinesiana, patria spirituale degli dei e terra natia di Varima-te-takere, madre primordiale delle divinità e degli uomini. Confrontandola con la mitologia occidentale, è paragonabile ad un Titano greco. La storia Maori ha inizio con l’avventura di Kupe, figura di riferimento nelle tribù polinesiane: per salvare il proprio popolo dalla carestia, egli va alla ricerca di un gigantesco polpo, Muturangi, causa principale della scarsa pescosità.
Le stelle indicano la via per Aotearoa, “la terra della lunga Nuvola Bianca”, ovvero la Nuova Zelanda. Qui vivranno in pace per circa sette secoli, fino a quando nel 1642 arrivarono i primi coloni. Sono riusciti a sottomettere i Maori? Mai. Dire che sia stato grazie all’haka è senza dubbio fuorviante – soprattutto perché la sua stesura risale al 1820, per celebrare la forza della vita sulla morte dal capo della tribù degli Ngati Toa; tuttavia già allora si può rintracciare il carattere e l’orgoglio di questa popolazione, “l’identità razziale” forgiata nella lotta per l’indipendenza.
Esistono diverse tipologie di Haka, la più famosa è la Ka Mate. Il merito va agli All Blacks i quali, al termine dei classici inni nazionali, mettono in scena la propria danza per esprimere la libertà e la felicità del popolo Maori. A differenza di ciò che normalmente si crede, questa non è una danza di guerra.
La Peruperu è invece realizzata con le armi, prima di una battaglia, e si conclude con uno scenografico salto, il più in alto possibile. Da menzionare anche la Kapa, seppur priva di tradizione. Si tratta di un ballo degli All Blacks, studiato a tavolino per più di un anno, da inscenare nelle occasioni speciali. È stata al centro di numerose polemiche perché si conclude con un gesto richiamante il taglio della gola. In realtà, secondo Derek Lardelli, studioso della cultura Maori, vuole simboleggiare “il disegno dell’energia vitale nel cuore e nei polmoni”. Energia vitale o taglio della gola? Poco importa, dati i risultati sportivi della nazionale di rugby più forte al mondo.
«Guerrieri Neri, fatemi diventare una cosa sola con la terra
Questa è la nostra terra che rimbomba
È la mia ora! Il mio momento!
Questo ci definisce come i Guerrieri Neri
È la mia ora! Il mio momento!
Il nostro dominio
La nostra supremazia trionferà
E si imporrà sopra tutti
La felce d’argento!
Guerrieri Neri!
La felce d’argento!
Guerrieri Neri!»
Tutte, seppur diverse, hanno degli elementi comuni e imprescindibili. L’uomo più anziano è colui che deve guidare la coreografia (se non coincide con il capitano, poco importa). Non è un compito che spetta al giocatore più forte o con maggior carisma, questo onore appartiene invece all’uomo con maggiore saggezza ed esperienza. Anche da un punto di vista estetico e visivo ci sono delle caratteristiche fondamentali: gli occhi spalancati chiamati Pukana, il Ngangahu, molto simile al precedente con l’aggiunta dell’emissione di un suono stridulo dalla bocca ed il Whetero, la lingua al di fuori della bocca rivolta in senso di sfida agli avversari.
Insieme ai tatuaggi l’haka, per lo meno per il mondo occidentale, è l’elemento più rappresentativo di questa cultura. A differenza di ciò che molti potrebbero pensare però, la haka, anziché unire, è al contrario motivo continuo di contrasto e divisione. In patria sono infatti molti a ritenere che, a causa degli All Blacks, il rituale sia stato eccessivamente spettacolarizzato disperdendo il suo significato più puro.
I Maori nel 2000 – dopo uno spot Adidas, sponsor tecnico della squadra per la coppa del mondo in Galles – richiesero quindi una parte del compenso della sponsorizzazione in quanto legittimi proprietari dell’haka. Circa dieci anni e molte polemiche dopo, grazie a John Key, a quel tempo primo ministro, ai Maori è stata riconosciuta la proprietà intellettuale ed un risarcimento di 64 milioni di sterline per sfruttamento e abuso delle loro terre. Contestualmente, è stata tolta loro la possibilità di qualsiasi richiesta futura di diritti e di veto nei confronti degli All Blacks. Questioni di soldi, come sempre. Persino quando a ballare, insieme ai vivi, sono i defunti.