Breve storia degli Scaligeri a partire dall'evoluzione del logo.
Il calcio si evolve costantemente. In campo, nelle giocate dei calciatori, in panchina nelle tattiche disegnate dagli allenatori, fuori dal rettangolo verde, nelle sedi delle società. Dove si decide chi comprare e chi vendere, dove si tracciano le direttrici strategiche per il futuro e dove si pensa alla “veste” del club. Simboli, colori, tradizione. Non stupisce allora se di tanto in tanto, dopo qualche decade di “stagnazione”, le società decidano di mettere mano ai propri loghi.
Qualche volta stravolgendo l’originale, partendo da un foglio bianco, – quello che nel marketing si chiama rebranding –, altre volte pescando dalla tradizione. In ogni caso creando dibattito tra i tifosi. L’ultimo in ordine di tempo a imbarcarsi in questa operazione è stato l’Hellas Verona che, il primo giugno scorso, tramite i suoi canali ufficiali ha presentato il suo nuovo logo.
Gli scaligeri hanno scelto di evolversi guardando al passato e al momento più glorioso della società veronese che ebbe il suo acme con la conquista dello scudetto nella stagione 1984/85. Il nuovo logo, infatti, riprende le due teste di mastino disposte in maniera bifronte che includono la scala a quattro pioli della Signoria Scaligera e simbolo della città. Sopra, la scritta Hellas Verona F.C. I colori, ovviamente, il giallo e il blu con le declinazioni bianco-blu. Ma prima di questo rilascio ci sono state quattro evoluzioni principali che hanno accompagnato i momenti chiave della storia del Club contribuendo a scolpirne il nome nell’immaginario cittadino.
1903-1945
Dalle origini ai primi campionati di Serie B
1903-1945. Dalle origini ai primi campionati di Serie B
«Correva l’anno di grazia 1903 quando, nelle aule del Liceo Maffei, nacque e prese forma un’idea destinata a lasciare un profondo segno nella storia della città di Verona. Un gruppo di giovani studenti ispirati dal professor Decio Corubolo e dal conte Carlo Fratta Pasini, diede inizio alla gloriosa e ultracentenaria epopea dell'”Hellas”, culminata il 12 maggio 1985 con la conquista del campionato italiano di calcio di Serie A».
Si legge questo in una targa appostata di fronte al più prestigioso liceo cittadino, Scipione Maffei, luogo di cultura e testimone della storia dell’Hellas Verona. Qui aveva trovato la sua dimensione il professor Decio Corubolo che, dopo tanto peregrinare, era riuscito ad ottenere la cattedra di greco e latino. Il professor Corubolo era un uomo di cultura nato però lontano dal centro, in provincia, nel paesino di Pressana, a una quarantina di chilometri dalla città: piena campagna veneta. Per questo, dopo le lauree in giurisprudenza e in lettere, il suo destino non poteva essere che quello dell’esule in Patria.
Gli toccò insegnare prima a Campobasso, poi a Chieti, prima di far ritorno nella sua terra e arrivare al Maffei. Questa volta per restarci. Era il 1879. Rimesse le radici e ristabilita la connessione con la propria terra, il professore poté ricominciare a occuparsi dell’altra sua grande passione: lo sport e nella fattispecie il calcio. Una disciplina che da qualche anno iniziava a farsi strada in Italia e che incuriosiva anche Corubolo. Così nel 1903, corroborato dal conte Carlo Fratta Pasini e da un manipolo di aitanti studenti, diede vita all’Associazione Calcio Hellas.
Gli studenti riuniti fuori dal Maffei, per la fondazione dell’Hellas Verona, 1903 (foto da Wikipedia)
Nel nome c’era il rimando all’Ellade e al greco, la materia principe di Corubolo. Nelle casse, un capitale di appena 32 lire. Il simbolo era un ovale a strisce gialloblu con al centro la scritta Hellas e in basso la croce gialla su sfondo blu, stemma cittadino. Era il primo mattone di una storia ultracentenaria. Il dado era tratto! Il calcio all’epoca però non era lo sport più seguito, l’organizzazione dei tornei era piuttosto approssimativa e il professionismo un vocabolo inesistente. Così l’Hellas trascorse i suoi primi anni di vita giocando amichevoli e piccoli tornei locali: per iscriversi al primo campionato – la prima categoria veneta – dovette attendere il 1910.
Da quel momento il pallone a Verona non si fermò più, eccezion fatta per gli stop forzati dovuti agli eventi bellici. Come quello del 1915-1919 coincidente con la Prima Guerra mondiale, che terminò con la ripresa dell’attività e con il primo cambio di denominazione della società. Nel 1919 i gialloblu diventarono Hellas Verona e anche il logo societario accolse la modifica: rimase l’ovale bicolore, il gonfalone cittadino in basso ma al centro, nella banda bianca, c’era la scritta Hellas Verona. Disposta su due righe e più leggibile.
Si andò avanti così senza grossi cambiamenti fino al primo agosto 1928 quando – in seguito alla direttive del regime contenute nella Carta di Viareggio del 1926 che ridisegnava il calcio – l’Hellas Verona cambiò nome diventando A.C. Verona in seguito alla fusione con Scaligera e Bentegodi. Mutò, questa volta radicalmente, anche il logo. L’ovale cedette il posto a un a uno scudo bicolore, diviso trasversalmente in una parte gialla e una blu. Nella parte sinistra, quella blu, capeggiava il fascio littorio, nell’altra gialla, la scala a quattro pioli e la data 1903.
Nella sezione superiore dello scudo la nuova denominazione A.C. Verona. La squadra, invece, scese in campo nel girone unico della Serie B dove rimase fino al 1 giugno del 1941 e alla fragorosa sconfitta con il Modena per 6-1 che costò la retrocessione in C e un’agonia che durò due stagioni. Nella stagione 1943-44 l’A.C. Verona era di nuovo in B. Fu l’ultimo campionato giocato per intero nell’Italia Fascista e l’ultima apparizione dello stemma di regime.
1945-1965
Dalla rinascita post-bellica alla prima storica serie A
1945. Dopo una serie di evoluzioni intermedie, l’ovale accoglie i simboli della città e della provincia di Verona.
La guerra era finita, la dittatura sconfitta, il suo artefice esposto al pubblico ludibrio in un piazzale di Milano. Restavano i vincitori con il vento della storia in poppa e i vinti; rimanevano le ferite di una guerra fratricida. C’era un Paese che doveva ripartire e reinventarsi. Nell’ottobre del 1945 ripartiva anche il calcio, l’A.C. Verona pure. Dalla Serie B-C Alta Italia e da un nuovo logo che sotterrava ogni legame con il regime precedente. Non si tradivano i colori ma si prendeva distanza dalla retorica del fascismo che anche in città si era combattuto con ardore.
Ritornava l’ovale anche se completamente rivisitato. Nella parte superiore trovavano spazio la croce gialla su sfondo blu e la scala a quattro pioli su sfondo rosso: simboli cittadini. Su di essi si stagliava la figura equestre del Signore di Verona Cangrande della Scala. Più sotto rimaneva la scritta A.C. Verona che divideva l’ultimo campo che conteneva bande verticali gialloblu e un inserto bianconero. Lo stemma rimase identitario dell’A.C. Verona per un ventennio, un periodo trascorso quasi per intero in Serie B ma che diede alla città la grande gioia della prima promozione in Serie A.
Il 16 giugno 1957 un pareggio con il Como valse per i ragazzi di Angelo Piccioli la Massima Serie, ma la A si rivelò un sogno effimero. Non bastò, infatti, l’ingaggio del calciatore/hockeista norvegese Finn Gunderdsen a salvare i gialloblu dalla retrocessione. Si ripartì quindi nel settembre del ’58 nuovamente in B ma con una novità nel nome: l’A.C. Verona assorbì l’A.S. Hellas, un’altra società cittadina, tornando a essere A.C. Hellas Verona.
1965-1984
Il pazzo Verona
1965. Il logo diventa tondo, a cerchi concentrici.
Intanto a metà della decade dei Sessanta la società presentò una nuova vesta grafica per il suo simbolo. Dal carnevale di simboli e colori si arrivò a un minimale e sobrio tondo blu a cerchi concentrici gialli: al centro l’immancabile scala a quattro pioli e le lettere A C V. Dal punto di vista calcistico, se gli anni Sessanta coincisero quasi esclusivamente con la Serie B, la decade successiva vide gli scaligeri in pianta stabile in Serie A.
Sono gli anni del genio scapigliato di Gianfranco Zigoni, giocoliere in campo e stravagante fuori. Come quando il 1° febbraio del ’76, contro la Fiorentina, finì in panchina per scelta tecnica e per tutta risposta all’allenatore Uccio Valcareggi si presentò con indosso una vistosa pelliccia e stivaletti da cow-boy. Se non doveva giocare almeno doveva farlo con stile.
Ma gli anni ’70 sono stati anche la Fatal Verona del 5-3 al Milan che scucì uno scudetto già vinto dalle maglie rossonere. Questa decade, anticonformista e ribelle, non poteva fermarsi alle linee del campo di gioco. Viveva fuori nella vita di tutti i giorni e anche sugli spalti. Così il 30 novembre 1971 nacquero le Brigate Gialloblu, gruppo ultras che per un ventennio connotò il tifo scaligero orientandolo verso uno stile di tifare all’inglese e che si fece conoscere in Italia per la sua aggressività negli scontri con le tifoserie avversarie.
1984-1995
Lo scudetto, la Coppa Campioni e il ritorno in provincia
1984. Appaiono i mastini. Saranno il simbolo del Verona più vincente e sono concettualmente alla base anche del nuovo logo.
Gli anni Ottanta sono riconosciuti come la decade d’oro dell’Hellas Verona. Fu qui, esattamente il 12 maggio del 1985, che si concretizzò un processo alchemico su cui in pochi avevano creduto. Il metallo semplice Verona divenne prezioso oro con un riflesso tricolore grazie allo scudetto. Il primo per Verona: l’eccezione nel calcio di provincia. Le pagine sui giornali sportivi e i frame televisivi immortalavano la banda di Osvaldo Bagnoli da cui spuntava la chioma bionda del danese Preben Larsen Elkjaer che correva senza una scarpa a segnare alla Grande Signora.
La maglia gialloblu del Verona con lo sponsor Canon era diventata popolare e conosciuta in tutta Italia. Una maglia che ospitava nel petto anche un logo nuovo di zecca. Non era un tondo a cerchi concentrici ma un esagono schiacciato che racchiudeva al suo internodue mastini stilizzati disposti in posizione bifronte. Nel mezzo, l’immancabile scala stilizzata. Linee semplici, dai tratti distintivi, che fecero subito breccia tra i tifosi che in quegli anni iniziavano a portare i loro drappi in giro per l’Europa.
La Coppa Campioni terminata agli ottavi nel “derby” italiano con la Juventus, in un Comunale di Torino reso deserto dalle porte chiuse. Lontano dagli occhi sì, ma non dal cuore. E soprattutto da una sofferenza che sembrò figlia dell’ingiustizia di un arbitraggio che per i veronesi fu quanto meno partigiano.
“Se cercate i ladri, sono nell’altro spogliatoio” tuonò Osvaldo Bagnoli alle forze dell’ordine che si erano appropinquate allo spogliatoio gialloblu sentendo dei rumori molesti.
Eppure, torti o meno, il Verona era lì a giocare con le grandi del calcio. Un paradiso che si sgretolò però nell’anno delle “Notti magiche” e del Bentegodi mondiale con una retrocessione che riportò sulla terra la città. Al purgatorio seguì comunque una pronta risalita, a dispetto di un travaglio societario che ebbe il suo momento drammatico il 23 febbraio 1991 con la dichiarazione di fallimento del club. Ne seguì l’acquisto da parte dei nuovi investitori capeggiati dall’imprenditore edile Eros Mazzi e nell’ennesimo cambio di nome. Ora il club si chiamava Verona Football Club.
1995-2020
Il ritorno dell’Hellas Verona
1995. Torna l’ovale, che nel tempo accoglierà anche il tricolore oltre alle righe verticali e al simbolo della città di Verona.
Quello del 1991 non fu l’ultimo cambiamento nel nome del Verona perché nel 1995 il club tornò al “vecchio” Hellas Verona Football Club. Il cerchio era idealmente chiuso e anche un nuovo logo era pronto a debuttare. Si tornava all’ovale del 1903 con le bande verticali gialloblu e al centro, su sfondo bianco, la scritta Hellas Verona: sopra di essa gli ormai iconici mastini e sotto il gonfalone cittadino. Il nuovo logo comparve in maniera vistosa sulle divise della stagione 1995-1996; non era più sul petto ma al centro, all’altezza della pancia, integrato nel disegno della maglia.
Un inno al nuovo che strizzava l’occhio all’Hellas delle origini senza dimenticare i gloriosi anni Ottanta. Con la nuova combinazione arrivò anche un’altra promozione in Serie A che, come capitava spesso da queste parti, era meno duratura della vita di una farfalla. Nel 1997-98 l’Hellas, infatti, era di nuovo in B, e l’altalena pronta a ripartire, caricandosi a bordo il bel calcio di Cesare Prandelli e il pragmatismo di mestiere di Attilio Perotti. Nel frattempo nel logo, sopra al disegno dei mastini, era apparso anche il tricolore in onore dello scudetto e sulla giostra ci fu spazio anche per il pirotecnico gioco di Alberto Malesani.
Ma le polveri gialloblu si spensero sul più bello, bagnate dalle lacrime di quel quattro maggio che agli interisti costò lo scudetto e ai veronesi la Serie A, persa a favore del Piacenza. Il resto della storia è cronaca recente. Agli anni anonimi in B, nei primi 2000, seguì l’onta della retrocessione in Lega Pro e la rinascita sotto la guida di Andrea Mandorlini, fino all’ultima convincente stagione.
Chissà se è in onore di questa ritrovata competitività e dell’esser di nuovo tra le grandi d’Italia che qualcuno negli uffici della società ha pensato di rispolverare il logo del Verona scudettato.
Credendo si potesse cambiare ancora vestito, questa volta però senza inventare nulla ma andando a valorizzare quel che c’era già in casa. Facendo un’operazione di recupero, forse senza troppa fantasia ma sicuramente in controtendenza rispetto a quello che fanno tanti grandi club impegnati a diventare Brand globali, tifati anche laddove il calcio è una scoperta recente.
A Verona si è scelto di salire sulla DeLorean e di tornare indietro per ridare agli appassionati tifosi gialloblu l’emblema più amato: due mastini e la scala a quattro pioli che avevano identificato il Club in Italia e in mezza Europa nel suo periodo migliore. Prima dell’epoca delle pay-tv e del marketing online; per meriti sportivi sul campo. A Verona, sostanzialmente, si è preferito mettere da parte la creatività per dedicarsi al recupero. Più che l’estro di un art director, si è scelta la scrupolosità di un restauratore.