Trentaquattro anni fa una tragedia mistificata, distorta, strumentalizzata.
È il 15 aprile 1989 ed è una piacevole giornata di primavera a Sheffield, di quelle giornate che rappresentano un’eccezione nello Yorkshire. Dalle parti di Hillsborough, stadio che solitamente ospita le gare dello Sheffield Wednesday, c’è gran movimento: sul prato verde non ci saranno gli Owls, ma il Liverpool di Kenny Dalglish e il Nottingham Forest di Brian Clough, per un’attesissima semifinale di FA Cup. La partita è in campo neutro, come vuole la tradizione, e questo sembra l’impianto migliore: la trasferta è agevole sia per i tifosi dei Reds sia per quelli dei Forest.
La Coppa d’Inghilterra continua ad attrarre pubblico, vuoi per il suo prestigio, vuoi perché il desiderio di calcio degli inglesi ha bisogno di trovare sfogo dentro i propri confini nazionali. Il mondo del football con la croce di San Giorgio viene infatti da un periodo nerissimo della sua storia:quattro anni prima all’Heysel gli hooligans del Liverpool avevano causato la morte di 39 persone durante la finale di Coppa dei Campioni contro la Juventus.
La Uefa aveva stabilito una punizione esemplare, 5 anni di esclusione dalle competizioni europee per tutte le squadre inglesi.
Proprio per arginare il fenomeno della violenza degli stadi, il governo del primo ministro Margaret Thatcher promuove una serie di iniziative durissime per gli standard britannici: maggiori controlli agli ingressi, barriere protettive che impediscano le invasioni di campo, separazione netta dei settori. Anche l’impianto di Hillsborough, con i suoi 54mila posti, si deve adeguare. Sono le 14.30 e i tifosi del Liverpool iniziano ad ammassarsi nei pressi del West Stand.
Provengono tutti da Leppings Lane, la strada che costeggia l’ingresso della Tribuna Ovest: per accedere allo stadio gli oltre 10mila supporter dei Reds sono costretti a passare attraverso sette stretti varchi, con tanto di tornelli. Non ci sono posti assegnati e in tanti scelgono la strada più breve, quella del tunnel principale che porta ai settori 3 e 4 della tribuna. I gradoni al centro si riempiono in pochi minuti, mentre ai lati c’è ancora spazio. Spostarsi negli altri settori non si può, degli alti cancelli impacchettano la tribuna in comparti stagni, come delle grosse voliere dipinte di blu ma sprovviste di tetto.
La cara vecchia tradizione inglese di arrivare allo stadio solo pochi minuti prima del fischio d’inizio mal si concilia con le nuove regole imposte dal governo Thatcher. Fuori, su Leppings Lane, il clima inizia a farsi incandescente: i tifosi del Liverpool vogliono entrare, hanno tutti un regolare biglietto, hanno diritto di essere lì e di assistere allo spettacolo, di vedere all’opera il loro beniamino, John “Aldo” Aldridge. Ma la fila è sempre più lunga, si entra uno alla volta e i cancelli fuori dal West Stand tremano di rabbia Scousers.
Qualcosa non sta funzionando: lo sanno gli agenti della polizia del South Yorkshire, lo sa soprattutto David Duckenfield, da poco nominato sovrintendente capo e responsabile della sicurezza durante il match. Duckenfield, con una scarsissima esperienza in fatto di gestione dell’ordine pubblico durante gli eventi sportivi, è nel suo box di guardia, posizionato alla destra del West Stand. Il suo secondo, Roger Marshall, è all’esterno, in mezzo ai sostenitori del Liverpool: ha perso totalmente il controllo della situazione, continua ad arrivare gente che spinge chi è già in fila.
Il rischio è che nella calca qualcuno si senta male o resti schiacciato.
Marshall chiede tre volte a Duckenfield di autorizzare l’apertura del “Gate C”, cancello che di solito viene spalancato per far defluire i tifosi al termine della partita, e permettere così a più persone di entrare contemporaneamente. Il sovrintendente capo tentenna, ma di fronte alla situazione sempre più critica dà il via libera: sono le 14.52, un fiume di supporter dei Reds si riversa nel tunnel centrale, quello che porta ai settori 3 e 4, già stracolmi. Il problema non è stato risolto, si è solo spostato qualche metro più avanti: dal collo di bottiglia su Leppings Lane ai gradoni di Hillsborough.
Alle 15 la partita inizia regolarmente: l’arbitro Ray Lewis, inconsapevole di quanto stia accadendo a poche decine di metri di distanza, fischia l’avvio della gara. Ed è un match avvincente, con le due squadre che sono molte aggressive, in costante pressing nella trequarti avversaria. Al 5’ minuto il Liverpool va addirittura vicino al gol: calcio d’angolo dalla destra dell’irlandese Houghton, pallone a mezza altezza al limite dell’area per Beardsley che si coordina e in acrobazia centra in pieno la traversa.
A molti tifosi dei Reds, però, della partita interessa poco.
Già da qualche minuto diverse decine di persone stanno tentando di scavalcare la barriera che divide il West Stand dal terreno di gioco, con i poliziotti che provano invano a ricacciarli indietro, manganelli alla mano, credendo sia un tentativo di invasione. La realtà dei fatti è ben diversa: nel settore 3 non si respira, una transenna a pochi metri dalla rete metallica si è spezzata e una valanga umana ha appena travolto ragazzi, donne e bambini che si trovavano appena più sotto. C’è grande tensione, urla, confusione: chi ce la fa si arrampica nella parte superiore della tribuna, aiutato da altri supporter dei Reds.
Scene drammatiche, facilmente reperibili nei tanti filmati presenti sul web: le immagini trasmesse in diretta dalle tv britanniche sono un pugno nello stomaco anche a più di30 anni di distanza. Pochi istanti dopo la traversa colpita da Beardsley si decide finalmente di interrompere la partita: un poliziotto corre in campo dall’arbitro Lewis per spiegare che sta accadendo qualcosa di molto grave. I tifosi del Liverpool invadono il prato di gioco per chiedere aiuto e porre termine a un match che probabilmente non sarebbe mai dovuto iniziare.
Vengono chiamati i soccorsi, ma la prima ambulanza arriverà solo 9 minuti dopo lo stop alla gara.
Nel frattempo medici, infermieri, pompieri arrivati a Sheffield come semplici tifosi del Liverpool si ritrovano in prima linea nel tentativo di salvare più persone possibili: praticano massaggi cardiaci, cercano di rianimare decine di corpi stesi a terra, mentre i tanti che si sono riversati in campo sono scossi, increduli. Alcuni corrono davanti alle telecamere per mostrare il loro biglietto d’ingresso, prevedendo già che le forze dell’ordine avrebbero provato a far ricadere le responsabilità su di loro, altri prendono i cartelloni pubblicitari e li trasformano in barelle di fortuna per trasportare i feriti lontano dall’inferno.
Nonostante gli sforzi 94 persone perdono la vita a Hillsborough o durante il trasporto all’ospedale: morte per asfissia, nella maggior parte dei casi, o per i traumi causati dalla caduta dai gradoni. Il tragico numero sale a 96 nei mesi successivi, 97 con la morte di nel 2021 di Andrew Devine, sopravvissuto quel giorno ma poi rimasto per i successivi 32 anni in stato semivegetativo. Molti di loro sono ragazzi, 78 hanno meno di 30 anni. La vittima più giovane, Jon-Paul Gilhooley, di appena 10 anni, è il cugino di Steven Gerrard. Già, proprio lui, quello che negli Anni 2000 sarebbe diventato capitano e simbolo della parte rossa di Liverpool.
La polizia, con in testa David Duckenfield, prova a scaricare tutta la colpa sui supporter: ubriachi, violenti e in troppi arrivati allo stadio senza biglietto. Le successive commissioni di inchiesta racconteranno un’altra verità, dei tanti errori commessi, della mancanza di preparazione delle forze dell’ordine, della lentezza dei soccorsi. Arriveranno le scuse del governo ma solo nel 2012, per bocca dell’allora premier David Cameron: dirà che le famiglie di chi ha perso la vita a Hillsborough hanno subito una “doppia ingiustizia”, quella dei “tragici eventi” e quella della “denigrazione dei deceduti”.
Sì perché a seguito del rapporto di 395 pagine dell’Hillsborough Independent Panel, commissione indipendente presieduta dal vescovo di Liverpool, proprio nel 2012 verrà ufficialmente riconosciuto che alle 15:15 di quel giorno 59 delle 96 vittime erano ancora in vita, e 41 di esse avrebbero potuto essere salvate con soccorsi tempestivi e adeguati. Chiamata in causa anche la polizia del South Yorkshire, colpevole di aver modificato 164 testimonianze dei presenti allo stadio e di aver indirizzato i media verso ricostruzioni false. L’obiettivo era scaricare le colpe sui tifosi e assolvere poliziotti e soccorritori dalle loro (gravissime) responsabilità.
Anzi, fu l’occasione per strumentalizzare la tragedia e compiere un’ulteriore stretta sugli hooligans con le conclusioni (anch’esse indirizzate) del rapporto del giudice Taylor.
Nonostante tutto ciò però, nonostante le proteste e le battaglie portate avanti dal Hillsborough Family Support Group – comitato creato dalle famiglie delle vittime per giungere alla verità dei fatti – nessuno è stato condannato da un tribunale per quanto accaduto. Il processo all’ex capo della polizia David Duckenfield si è concluso nell’ottobre 2019 con un verdetto di non colpevolezza. A Liverpool il 15 aprile resta una giornata di grande dolore, senza una risposta certa.
Già, perché se oggi il responsabile della strage non ha un nome ed un cognome, quantomeno i tifosi dei Reds sono stati assolti dall’infame accusa di colpevolezza che su di loro aveva cucito il governo Thatcher e la macchina del fango mediatica – «non hanno causato e non hanno contribuito alla morte delle vittime», sancirà decenni dopo la commissione. Chiedetevi allora perché a Liverpool “The Sun” non sia utilizzato nemmeno come carta igienica, nelle case dei Reds così come in quelle dei Toffees: il giorno successivo alla strage la prima pagina del tabloid accusava i supporters di essersi accaniti sui cadaveri derubandoli e di aver urinato sui “coraggiosi poliziotti”.
Infine la strage di Hillsborough ha rappresentato un autentico spartiacque nella concezione britannica di vivere lo stadio.
Infatti il giudice Taylor, incaricato dal governo di stilare un rapporto per fare luce sulle dinamiche del pomeriggio di Sheffield, ha sostanzialmente gettato le basi dell’odierno “Modello Inglese”. L’obbligo per i club di restaurare i propri impianti disponendo soltanto posti a sedere ha giustificato l’aumento dei prezzi medi dei biglietti che, in aggiunta alla onnipresente videosorveglianza targata CCTV, ha allontanato dalle gradinate le frange più turbolente della working class. Dalla tragedia, infine, hanno perso sempre i soliti.