Marco Steiner racconta il padre nobile della letteratura disegnata italiana.
Oggi ricorre l’anniversario della nascita di uno dei più grandi fumettisti italiani di sempre. Stiamo parlando di Hugo Pratt, padre nobile della nostra letteratura disegnata. Un artista, e anzitutto un uomo, che ha fatto dell’avventura la sua magnifica stella polare. Per saperne di più sulla sua vita, e in particolare sui suoi legami con l’universo sportivo, abbiamo contattato lo scrittore Marco Steiner. Pseudonimo, questo, suggeritogli proprio dallo stesso Pratt.
Nato a Roma nel 1956, medico, ha conosciuto alla fine degli anni Ottanta il disegnatore, che gli affidava spesso le ricerche filologiche per i suoi fumetti e quindi per le avventure di Corto Maltese. Nel 1996 ha completato il romanzo “Corte Sconta detta Arcana” lasciato incompiuto dal defunto Pratt e nel 2006 ha scritto il romanzo “L’ultima pista”, ideale prosecuzione di “Tango”. Nel 2014 pubblica il suo primo romanzo con la casa editrice Sellerio, “Il Corvo di Pietra”, e nel 2015 il secondo dal titolo “Oltremare”. Entrambi vedono tra i protagonisti principali un giovane Corto Maltese.
Ad avviare Pratt verso il mondo del disegno, in tenera età, fu sua nonna. Poi gli anni scolastici passati ad attraversare Venezia da un tetto all’altro nascondendo sotto le tegole giornali, libri, bozze a matita. Quindi il primo lavoro con il gruppo, giovane ed entusiasta, de “L’Asso di Picche”. Pratt ha accolto, fin dai primi anni della sua vita, gli stimoli disseminati lungo i passaggi che ha attraversato, affinando la sua dimensione istintiva. Un patrimonio di crescita personale fondamentale, paragonabile a quello di tanti grandi calciatori italiani passati per i campetti parrocchiali o per le infinite partitelle a pallone in strada, lì dove l’estro, lo stile e il portamento germogliano spontaneamente. Cosa ci puoi dire riguardo l’intuizione e il guizzo prattiano? Quali sono gli elementi che secondo te lo rendono unico?
Lo sguardo di Pratt è tutto. Il suo affinamento avvenne proprio a Venezia. Sua nonna, uno splendido personaggio capace di leggere i tarocchi e l’anima delle persone, lo portava al cinema e, una volta ritornati a casa gli diceva: “Ugo, adesso disegna quello che hai visto” (All’epoca il suo vero nome era Ugo Prat, senza l’H e la doppia T). Molto inizia da questo particolare: lo stimolo di una persona affascinante nei confronti di un ragazzino curioso. La nonna fu capace di affinare lo sguardo del nipote che, naturalmente, aveva già il suo talento personale. Ma fu lei a permettergli di svilupparlo, incitandolo all’originalità. Aggiunse anche qualcosa in più, un ingrediente fondamentale: la libertà di disegnare ciò che voleva. “Disegna quello che hai visto”, cioè quello che lo aveva maggiormente colpito e che avrebbe potuto interpretare a modo suo. Di solito s’insegna a riprodurre ciò che si vede.
La nonna di Pratt invece gli insegnò a raccontare le immagini che avevano colpito la sua memoria, sapendo che Ugo le avrebbe potute trasformare con l’immaginazione. Tanti anni fa mi è capitato di vedere un magnifico disegno di Pratt ragazzino nella bottega di un suo vecchio amico veneziano. Si trattava di un grande foglio ingiallito dal tempo e completamente riempito da figure di indiani, cowboys, cavalli, frecce, diligenze, pistole e poi c’erano tutte le onomatopee classiche dei fumetti tipi BANG, BOUMMM, ARGH. Era uno spettacolo, un lavoro assolutamente giovanile, ma senza risparmio di fantasia e senza spreco di carta, non c’era un pezzetto di foglio lasciato bianco, anche questo la dice lunga su quel periodo. E poi, a proposito di guizzo e d’intuizione, c’è una cosa fondamentale: lo sguardo che Pratt scambiava con Corto prima d’iniziare ogni storia: “Ogni volta che disegno Corto Maltese, inizio dagli occhi, ci scambiamo uno sguardo e poi partiamo insieme verso l’avventura”.
Nel 1987 mentre Pratt si trovava a Napoli per una sua esposizione organizzata dall’ente autonomo Mostra d’Oltremare, Maradona e compagni festeggiavano il primo storico scudetto degli Azzurri. Nei manifesti vicino allo stadio e al luogo dove si esponevano gli originali di Pratt si alternavano le immagini di Maradona e Corto Maltese. Pur essendo due immagini completamente diverse, c’era un collegamento fra loro: l’Argentina, il paese d’Oltremare che aveva formato uno dei più grandi calciatori della storia e uno dei più grandi autori di fumetto. (Tratto dalla prefazione di Patrizia Zanotti in “Corto Maltese. Un viaggio straordinario. Catalogo della mostra” (Napoli, 25 aprile-9 settembre 2019). Raccontaci di come Pratt, divertito da queste coincidenze, interagì con i giovani detenuti del carcere minorile di Nisida, nel quale si recò in visita per affrescare un muro del cortile, servendosi proprio del calcio come argomento privilegiato per entrare in intimità con loro e quindi avvicinarli alla sua arte.
Il contatto e l’interazione con i giovani per Hugo Pratt era un elemento fondamentale, lui infatti si definiva “fumettaro” proprio perché amava essere conosciuto e apprezzato in particolare dai giovani lettori più che dai critici (che in effetti lo considerarono un grande artista non subito, ma solo dopo i riconoscimenti avuti in Francia, forse perché in Italia il fumetto è considerato un’arte minore). Di quella mostra a Napoli conosco un fatto curioso realmente accaduto: i quadri dell’evento erano contenuti in una grossa cassa di legno, ma una volta scaricata la cassa, non si trovava più la chiave. Pratt non si preoccupò troppo, si guardò in giro e sorrise, guardò prima Patrizia Zanotti e poi alcuni dei ragazzi detenuti e chiese loro: “Per caso voi siete capaci di aprire questa cassa perché la signora qui accanto si è persa la chiave?”. È inutile dire che con poche mosse i ragazzi aprirono il lucchetto e aiutarono Pratt e la Zanotti ad allestire la mostra. L’altro particolare è il fatto che uno di loro guardò Patrizia Zanotti e le disse: “Signurì, voi tenite gli stessi occhi di Maradona”. “Per forza – gli rispose Pratt – Patrizia è nata a Buenos Aires”.
Avendo trascorso tanti anni in Argentina e conscio della portata universale del linguaggio calcistico, qual è stato, se c’è stato, il rapporto tra Hugo Pratt e il mondo del pallone, al di là della mostra napoletana?
Per quanto riguarda il calcio, Pratt realizzò un portfolio partendo dalle origini del gioco. Cercò di scoprire storie legate al calcio arcaico cinese e giapponese e quindi a quello che si praticava in Grecia e nell’antica Roma. Un giorno mi parlò dei racconti del Conquistador Hernán Cortés che descriveva con dovizia di particolari il Tlachtli: un gioco molto violento praticato dai popoli precolombiani dell’America centrale con una palla sferica gommosa ma molto pesante. Spesso la fine di quegli incontri consisteva in sacrifici umani: il punto di vista di Pratt, anche nei riguardi degli sport, era sempre originale. I mondiali di calcio poi lo appassionavano davvero e, per esempio, so che si trovava a Parigi quando la nazionale italiana vinse i mondiali del 1982. Pratt scese al bar d’angolo dove prendeva il caffè tutte le mattine e si gustò la vittoria in mezzo ai francesi che tifavano Germania.
Dal pallone sferico a quello ovale, il passo è breve. Parlaci della passione prattiana per il rugby. Una passione nata nel lido di Venezia e cullata successivamente proprio nella terra dei Gauchos.
Il vero sport praticato attivamente da Hugo Pratt fu il rugby. A Buenos Aires il suo club era il C.A.S.I. cioè il Club Atletico San Isidro. Esistono disegni e acquarelli preparatori alla storia “Tango” con i giocatori di questa squadra, che scende in campo proprio nella zona in cui Pratt viveva. Mi è capitata una strana coincidenza durante un viaggio in Argentina nato per scrivere la prefazione a “Tango”. Sono andato a San Isidro con il fotografo Marco D’Anna e abbiamo trovato il campo di rugby dove aveva giocato Hugo Pratt. Non credo sia cambiato molto dai tempi di Corto, c’era ancora un grande scudetto sulle tribune che ricordava i cento anni dalla fondazione del Club (1902-2002), negli spogliatoi anche gli armadietti di legno sembravano gli stessi che dovevano esserci stati all’epoca.
Abbiamo incontrato un distinto signore del ’25 che si stava cambiando dopo una partita di tennis e ci ha raccontato che era un ex-giocatore di rugby e che si ricordava di Hugo Pratt, ci anche detto che era diventato un vice commodoro dell’Aeronautica ed era stato nominato Commendatore della Repubblica Italiana dopo aver accolto il presidente Gronchi come capo del Cerimoniale. Mentre questo arzillo signore continuava a raccontare le sue storie infinite, nella sala dei pesi si stava allenando un ragazzo che poteva avere una ventina d’anni. Non so per quale motivo gli ho chiesto il nome, ma la sua risposta all’inizio mi sembrò una presa in giro: “Io mi chiamo Estanislao Pratto.” Non sto scherzando, si presentò proprio così. Certe volte le coincidenze sono incredibili, questo giovane Pratto giocava a rugby al C.A.S.I. ed era un bel ragazzo con una capigliatura da leone, aveva un sorriso aperto di denti bianchi e una maglietta rossa col numero 79 e la scritta Rolling Stones. Estanislao Pratto però non conosceva Corto Maltese, sarebbe stato troppo.
La vela nell’immaginario di Pratt occupa uno spazio imprescindibile. Parlaci della genesi del suo primo, grande amore, del suo sviluppo e quindi dei riferimenti culturali a cui Pratt ha attinto per creare i suoi personalissimi sogni liquidi.
Pratt lesse un mondo di libri e vide migliaia di chilometri di pellicole di film: molte di quelle pagine e di quelle sequenze parlavano di storie di mare. Pratt ci teneva a specificare che però i suoi modelli letterari non erano soltanto i grandi scrittori come Stevenson, Melville o Conrad, ma anche molti autori minori come De Vere Stacpoole, autore di “Laguna Blu” e “La nave di corallo”, fra gli altri. Tutti questi scrittori avevano sviluppato in Pratt un mito, quello dei Mari del Sud, le stesse atmosfere che avrebbero poi affascinato Gaugin e tanti altri artisti e scrittori. “L’ammutinamento del Bounty” è stata una delle storie che colpirono maggiormente Pratt in tutte le sue forme, letterarie e cinematografiche, ma ci sono tante altre storie di mare come “La strega rossa”, il film di Edward Ludwig con John Wayne dal quale Pratt ha tratto l’immagine di presentazione iniziale del suo personaggio.
Corto Maltese, infatti compare per la prima volta ne “Una Ballata del Mare Salato” legato a quattro tavole in croce, proprio come John Wayne nel film. Questo è un particolare interessante per capire come l’insegnamento di sua nonna, quel “disegna ciò che hai visto” in fondo abbia dato l’origine a un personaggio immenso non solo nel mondo del fumetto, ma della letteratura in generale. Anche l’abbigliamento di Corto viene da un altro film, “Il trono nero” con Burt Lancaster. Credo sia stato naturale innamorarsi del mare per un ragazzo cresciuto a Venezia osservando navi, vele e marinai. Senza dimenticare l’importanza di suoi due grandi viaggi fatti a bordo di due grandi navi: quella che lo portò verso la guerra in Africa e l’altra verso il suo futuro di disegnatore a Buenos Aires. Quelle non furono semplici crociere, furono viaggi fondamentali per la sua formazione.
A proposito di sogni liquidi, Pratt e la voga alla Veneta: esiste una storia?
Una storia precisa non la conosco ma da qualche parte ho visto una foto nella quale Hugo Pratt voga in compagnia di due amiche. Dagli abiti delle ragazze e dai loro occhiali da sole si direbbe sia stata scattata negli anni ’50, ma non si capisce il tipo di imbarcazione. Potrebbe essere un sandalo. Di sicuro un veneziano come Pratt non poteva non saper vogare e apprezzare la magica atmosfera che si vive quando si attraversa Venezia nel silenzio, quando si scivola lentamente sull’acqua dei canali, soprattutto quelli minori. I marmi e i merletti dei palazzi si riflettono, sembrano ricami, la musica e la liquida poesia completano il quadro.
“Quando avevo quindici anni mio padre mi regalò un suo libro prima di partire per il campo di concentramento, dicendomi di andare a cercare la mia isola. Mio padre aveva ragione, l’ho trovata la mia isola del tesoro. L’ho trovata nel mio mondo interiore, nei miei incontri, nel mio lavoro. Trascorrere la vita in un mondo di fantasia, questa è stata la mia isola del tesoro.” L’uomo di oggi invece tendenzialmente sembra aver smarrito il senso della ricerca dell’impossibile, dell’avventura. In quali grandi imprese marittime si è cimentato personalmente Pratt?
Quel che so di certo è che Pratt veleggiò con me e alcuni amici nel mare greco portandoci a vedere il porto di Lepanto dove avvenne una grande battaglia navale fra la flotta ottomana e la Lega Santa. Non lontano da lì ci siamo avventurati e quasi arenati in un basso canale per raggiungere il monumento di Lord Byron a Missolungi, lì dove il grande scrittore inglese aveva combattuto per l’indipendenza greca contro l’impero ottomano.
Dato l’enorme affascinamento che Pratt provava per gli eserciti, sia di mare che di terra, e in particolare per le divise militari, qual era il suo senso della guerra e quindi della lotta tra gli uomini?
Il senso generale di ogni cosa è sempre il punto di vista in cui ci si pone negli eventi e Hugo Pratt, nei confronti della guerra, ha sempre cercato di guardare e raccontare il punto di vista di uomini, donne, soldati, vittime, figli, coinvolti, loro malgrado, nel grande evento storico rappresentato dal conflitto militare. Che siano storie di vincitori o vinti, non ha importanza. Il punto di vista è sempre quello umano, la domanda che Pratt si pone ogni volta è la più importante: “Come si comporta l’uomo sbattuto all’interno dell’inaccettabile, grande momento storico chiamato Guerra?”. Tutto questo, compresa la fascinazione per le descrizioni dei dettagli di divise, bandiere e mezzi militari, molto probabilmente deriva dalla sua personale esperienza giovanile nel teatro di guerra africano.
Nell’Africa Orientale Italiana, Hugo Pratt ragazzino ha vissuto da vicino la violenza e l’amicizia, ha conosciuto l’altro sesso, ha subito la perdita di suo padre e ha incontrato soldati appartenenti a tanti schieramenti. Ed è proprio per tutta questa serie di motivi che “Gli Scorpioni del deserto” può essere considerato il suo più grande, articolato e magnifico affresco dell’umanità in lotta: guerrieri, vigliacchi, spie, combattenti locali e interi popoli violentati dall’assurda logica del colonialismo. Pratt conosceva le storie di Jack London, corrispondente di guerra sul campo durante la guerra russo-giapponese ai primi del ‘900, e poi con Oesterheld in Argentina aveva raccontato un’altra bellissima storia di guerra: “Ernie Pike” basata sui veri resoconti dal fronte del grande giornalista americano Ernie Pyle.
Rimanendo nel seminato della ruvida poesia, la domanda sorge spontanea: Pratt ha mai avuto una passione per la boxe?
Pratt conosceva bene e spesso seguiva i grandi incontri di boxe tanto che in “Tango” si parla proprio di un match di boxe del secolo, quello del 14 settembre del 1923 che vide Dempsey, l’americano del Nord, il “Massacratore di Manassa” , contro Firpo “Il toro selvaggio della pampa”. Si racconta che il campione argentino, 1 metro e novanta per 100 chili di muscoli, buttò fuori dal ring l’americano al primo round facendolo volare con un solo pugno direttamente sulla macchina da scrivere di un cronista, ma l’arbitro contò quei dieci incredibili secondi facendoli durare per ben 17 secondi e alla fine Dempsey sconfisse il campione argentino anche se qualcuno disse che si era infilato un ferro di cavallo nel guantone.
Come si spiega il suo arroccamento in Svizzera? Proprio lui, che ha fatto dell’aspirazione libertaria una filosofia di vita, ha finito per passare l’ultima fase della sua esistenza in un regno chiuso, impermeabile. A cosa è stata dovuta una reazione simile?
Penso che Pratt abbia vissuto una vita molto intensa e avventurosa e dunque questo regno chiuso svizzero credo fosse una specie di reazione alla sua continua e generosa propensione all’esterno. Mi spiego meglio: dopo aver vissuto da giovanissimo l’Africa, dopo aver vissuto la vera Avventura con la A maiuscola in Argentina, Patagonia, Amazzonia e poi in giro per il mondo, credo sia nato in lui un desiderio di introspezione, cioè quello di vivere in una specie di rifugio, più che in un regno chiuso, Pratt scelse un mondo fatto di libri, di dischi, di nastri di Revox e di film per raggiungere uno stato mentale più adatto all’introspezione, del resto in questa atmosfera Pratt ha realizzato fra l’altro Mü, una delle sue storie più complesse e, direi, filosofiche.
Insomma, in generale, penso che Pratt, dopo aver vissuto per quasi tutta la vita “alla Corto Maltese”, abbia deciso di lasciar viaggiare il suo personaggio verso mondi ancora più lontani e onirici e per farlo, credo abbia desiderato vivere in una specie di nave di pietra, vetro, carta dove cogliere al meglio le immagini che venivano dalla sua memoria. Quella casa era affacciata su un lago incastonato fra le montagne e sembrava un mare molto lontano.
Qual è secondo te l’insegnamento più importante che Pratt ci ha lasciato in eredità?
Viaggiare, essere curiosi, rispettare culture e opinioni diverse dalla nostra, per poi tracciare la nostra rotta libera, personale e, forse, indirizzare anche il destino come ha fatto Corto Maltese, con una bella linea della fortuna marcata sul palmo.
Pare proprio che nessuno riesca a capire. Sto male. Sto male come un cane ma nessuno pare darci peso. Tutti a minimizzare o addirittura a scherzarci sopra. “Hai 20 anni figliolo ! Giochi a calcio in una delle più grandi squadre del Paese ! ma di cosa ti lamenti ???”. Oppure “hai più soldi […]