Miglior calciatore messicano di sempre, bomber della squadra accanto.
Personaggio particolare, Hugo Sanchez. Unico, forse. Modernissimo, senza retorica. Spettacolare, senza fronzoli. Forza motrice capace di volare, con i piedi per terra. Volto indio dal sorriso leggero, animo sensibile mascherato da rapace in area avversaria. Sguardo che mescola sapientemente malcelata ritrosia, forse timidezza, e voglia di fare gol. Sempre, ovunque. A ogni latitudine e con qualsiasi maglia indossata. La storia sportiva del più significativo giocatore messicano di tutti i tempi, forse il solo attaccante di rango assoluto nell’era moderna ad aver giocato nelle tre squadre principali di Madrid. In poco più di un decennio il percorso di Hugo Sanchez somiglia per alcuni aspetti a quello un po’ gipsy di Romario, o anche a quello di Christian Vieri. Sentimento sì, romanticismo no. Sempre coinvolto in ogni progetto tecnico in carriera, sempre libero di stare o andare. Più moderno di così.
DA MEXICO CITY CON FURORE
Aprile 1985, finisce il campionato spagnolo. Se lo aggiudica il Barcellona ma la notizia è un’altra. Il titolo di capocannoniere, di pichichi della Liga, lo vince un attaccante messicano che gioca da anni nella squadra meno opulenta della capitale spagnola, l’Atletico Madrid. Il suo nome per esteso è Hugo Sanchez Marquez, ma per i tifosi colchoneros l’abbreviazione Hugo Sanchez può bastare. Agli avversari addirittura avanza. Non è più giovanissimo Sanchez quando si laurea pichichi per la prima volta, ha 27 anni. Ma è il primo e unico messicano a essere riuscito in una simile impresa. Peraltro, con una squadra valida ma non eccelsa.
Il suo modo di giocare colpisce. È agile, una pantera, è diverso da chiunque altro. Sa anche essere potente, quando serve, e di sicuro è preciso e molto affidabile come professionista. Hugo Sanchez nasce a Città del Messico l’11 luglio del 1958 e si dice che fin da bambino sia tutt’uno con il pallone. Suo padre Hector è stato un buon attaccante e il fratello maggiore Horacio fa il portiere, ma se è bravo non è certo questione di DNA: anche i fratelli di Maradona sono stati calciatori.
GENESI DELLA CAPRIOLA
A 14 anni il ragazzo è già una punta di buon livello e gioca nelle giovanili del Pumas UNAM. Ha ottima tecnica per essere una punta, è grintoso, segna e fa segnare. In nuce, è già Hugo Sanchez, manca solo qualche dettaglio a completare il quadro. Il fisico deve ancora formarsi, lui è leggerino, ma corre, salta e dribbla con la massima naturalezza. Sembra nato per fare quello, e ciò che fa è il frutto della commistione fra talento e forza di volontà. Quello che salta agli occhi è la capacità di far sembrare semplice ciò che agli altri non riesce. Ma proprio perché è mingherlino viene schierato nel ruolo di attaccante esterno, a supporto della punta centrale
Appena diciottenne, firma il primo contratto da professionista con l’UNAM, concludendo nel frattempo gli studi e iscrivendosi a un corso di laurea in Odontoiatria presso l’Università di Città del Messico. I suoi numeri migliori non finiscono in bocca, bensì alle spalle dei portieri avversari. Ha una particolarità, quel ragazzo non proprio alto ma estroso e con i capelli lunghi: ogni volta che segna, festeggia il gol con una capriola frontale. Si saprà anni dopo che il gesto è dedicato alla sorella, ginnasta avvezza a certe piroette. Dopo un periodo di adattamento, l’allenatore della prima squadra Bora Milutinovic decide di schierarlo attaccante centrale, mossa forse azzardata. Sembra la vittima naturale di difensori senza scrupoli e invece chi è addetto alla sua marcatura impazzisce: Hugo Sanchez non è soltanto agile.
Si è rinforzato sul piano fisico e per giunta staccargli il pallone dal piede è davvero complicatissimo.
I numeri parlano una lingua univoca: 99 gol in 183 partite che, in quattro stagioni e mezzo, significano per l’UNAM la conquista di due Campionati messicani, una Coppa dei Campioni CONCACAF e una Coppa Interamericana. Hugo Sanchez scende in campo sempre con il sorriso sulle labbra. La gioia apparente e le giocate estemporanee esaltano il pubblico. Durante la celebrazione delle sue reti continua a eseguire capriole finché lo speaker dello stadio non smette di gridare “Gooooool!”, solo per vedere quante ne riesce a fare in una manciata di secondi. Non c’è autoreferenzialità nel gesto, nessuno ci ravvisa nulla di indisponente. È solo gioia sportiva che si esprime in modo funambolico.
ATLETICO MADRID
Nell’estate del 1981 giunge un’offerta piuttosto interessante da parte dell’Atletico Madrid: Hugo Sanchez è contattato dal presidente Vicente Calderón in persona, e per accettare la proposta dei Colchoneros il giocatore rifiuta persino il trasferimento all’Arsenal di Londra. Al centro dell’attacco dell’Atletico giocherà dunque un riccioluto 23enne messicano che nel Paese d’origine è una stella. Il primo anno è di adattamento e la squadra non va molto oltre la metà classifica. Il campionato lo vincono i baschi della Real Sociedad. La media gol dell’attaccante è comunque buona, perché 8 reti in 10 presenze significano quasi un gol a partita.
L’esperienza con i Colchoneros è un crescendo continuo e ha il suo culmine proprio nell’edizione 1984-85: l’Atletico Madrid conclude il campionato al secondo posto e conquista Coppa del Re (grazie a una doppietta di Hugo Sanchez) e Supercoppa di Spagna. Ma soprattutto, grazie ai 19 goal messi a segno in campionato, la punta messicana vince il suo primo Trofeo Pichichi, il riconoscimento che il quotidiano sportivo Marca dà ogni anno al capocannoniere stagionale della Liga. Nel 1985 Sanchez ha dunque 27 anni ed è nel pieno della maturità calcistica. Il Real Madrid lo vuole e non intende mollare la trattativa che ha intrapreso. Arriva sul tavolo di Vicente Calderón un’offerta “che non si può rifiutare”.
REAL MADRID
In squadra i blancos hanno un giovane talento cresciuto in casa. Uno con le stimmate del fuoriclasse. Si chiama Emilio Butragueño e, a occhio e croce, insieme i due attaccanti sarebbero perfetti. Lo saranno. Il Real Madrid lo acquista così per 240 milioni di pesetas dopo un lungo tira e molla con l’Atlético, durante il quale cerca di intromettersi più volte il Barcellona. Hugo comincia a incantare il pubblico del Santiago Bernabéu con giocate acrobatiche e gol di rara bellezza. Le rovesciate, che rappresentano il marchio di fabbrica di un repertorio più che completo, sono un concentrato di potenza, precisione e leggiadria nel gesto.
In sette stagioni con la maglia del Real Madrid Hugol, come i nuovi tifosi lo hanno ribattezzato, conquista altri quattro Trofei Pichichi, e, di conseguenza, fa suo un altro soprannome, “Pentapichichi”, proprio in merito alle volte in cui è divenuto capocannoniere della Liga.
La stagione migliore è il 1989-1990, durante la quale – 38 goal complessivi – vince il titolo assegnato ogni anno al miglior marcatore di tutti i campionati europei, la Scarpa d’Oro. L’esperienza al Real Madrid si conclude nel 1992 con un totale di 207 goal in 283 partite. Completano il quadro la vittoria di una Coppa Uefa nel 1986, di cinque Campionati consecutivi (1986-1990) e di numerosi altri trofei collegati a quei successi. Unico neo, il non avere mai alzato al cielo la Coppa dei Campioni. Quando Hugo Sanchez smette di essere un calciatore del Real e decide di tornare a giocare in Messico, per i connazionali la chioma dell’attaccante è quella di una divinità laica che ritrova la via di casa. A 34 anni una serie di infortuni ne limitano la pericolosità, ma è pur sempre Hugo Sanchez e bisogna stare preoccupati. Gioca per una stagione nell’America di Città del Messico, 11 realizzazioni in 29 partite.
RAYO VALLECANO
Poi d’improvviso torna in Spagna per giocare anche con la terza squadra di Madrid, il Rayo Vallecano. È la stagione 1993-1994. Le ambizioni non sono più quelle di 10 anni prima, non potrebbe essere diverso. Il Rayo (“fulmine”, in castigliano) è una piccola squadra di quartiere. Vallecas è infatti un barrio periferico di Madrid. La gente di lì è nota per il suo spirito collettivista ma anche per un pronunciato orgoglio d’appartenenza territoriale. Lui è un apolide del calcio che sta bene ovunque.
Sia pure per una sola stagione, Hugo Sanchez riesce a farsi apprezzare ancora una volta ma 16 gol in 29 partite non sono sufficienti a salvare i Franjirrojos.
Insieme con la terza squadra di Madrid, scendono in Segunda il Lleida e l’Osasuna di Pamplona. Dopo la parentesi al Rayo Vallecano, ancora un ritorno in Messico, per disputare la stagione 1994-95 nell’Atlante. L’anno successivo va in Austria, la maglia è quella del LASK Linz. Anche stavolta l’avventura dura il tempo di una stagione, prima dell’ennesimo rientro in patria. Nel 1996-97 gioca nel Celaya l’ultima da professionista, con gli ex compagni di squadra ai tempi del Real Madrid Emilio Butragueño e Míchel.
LA NAZIONALE
29 gol in 58 apparizioni con la Nazionale messicana, la media di mezzo gol a partita. Da ricordare, inoltre, le tre fasi finali della Coppa del Mondo cui Hugo Sanchez partecipa: la prima, 1978, vede il Messico chiudere il gruppo 2 all’ultimo posto senza conquistare neanche un punto. La seconda, di fronte al proprio pubblico (1986), si conclude ai calci di rigore contro la Germania Ovest al termine di un quarto di finale non privo di polemiche sull’operato arbitrale. Nel 1994 saranno ancora i tiri dal dischetto a eliminare il Messico, stavolta nell’ottavo di finale contro la Bulgaria.
L’ex numero 9 di Atletico, Real e Rayo Vallecano è ricordato in patria come il miglior calciatore messicano di ogni epoca.
I poster con la sua immagine vanno ancora a ruba, e non solo presso i tifosi di una certa età. La cosa incredibile è che, pure a distanza di tanti anni, quando nei campi polverosi di Madrid o di Città del Messico qualche ragazzino segna un bel gol in acrobazia, la prima frase che esce dalla bocca degli spettatori è: “Chico, machi sarai mai, Hugo Sanchez?”. Non esistono reincarnazioni ma se el chico in questione esulta in modo strafottente e altezzoso, allora non è Hugo Sanchez. Garantito.