È il 16 agosto 2004, e ai Giochi olimpici di Atene si sta per disputare quella che poi verrà ribattezzata “la sfida del secolo”. Ai blocchi di partenza ci sono infatti alcuni tra i nuotatori più forti di tutti i tempi, pronti ad affrontarsi nei 200 metri stile libero in una gara all’ultima bracciata per la medaglia d’oro: Michael Phelps, Peter Van den Hoogenband, Grant Hackett e Ian Thorpe formano senza dubbio il quartetto più blasonato. L’eccitazione è visibile tra il pubblico, l’acqua della piscina è increspata dal vento. Il sole picchia sulla parte alta delle tribune e i nuotatori sono pronti a darsi battaglia nello spettacolare scenario della città di Atene, in cui le Olimpiadi dell’era moderna erano nate più di un secolo prima.
Lo starter suona e il pubblico accoglie il tuffo con un boato, poi il silenzio tombale dovuto all’estrema concentrazione su ogni singolo movimento in vasca. Dopo la prima virata, l’olandese Van de Hoogenband è in testa. Segue “Thorpedo” con la sua inconfondibile muta nera. Superati i primi 100 metri l’australiano guadagna terreno e si avvicina prepotentemente all’avversario in corsia 4. È ormai un testa a testa tra i due che se la giocano per millimetri, anzi millesimi di secondo. Alla terza virata Thorpe gira dietro al rivale e il pubblico incomincia ad agitarsi, stimolato dall’adrenalina del finale di gara. Ma gli ultimi 25 metri sanciscono il sorpasso definitivo dell’australiano: è proprio Ian Thorpe a toccare per primo la piastra in 1’44,71’’, crono con cui stabilisce il nuovo record olimpico.
In quell’Olimpiade Thorpe vincerà altre quattro medaglie, di cui due d’oro, che si aggiungeranno al suo già ricchissimo palmarès.
Parliamo di un atleta in grado di bruciare tutte le tappe e ritrovarsi campione del mondo a soli 15 anni: nel 1998, a Perth, riesce ad arrivare davanti al connazionale Hackett nei 400 stile libero con una rimonta mozzafiato nello sprint finale. A 16 anni e 10 mesi, durante i campionati panpacifici di Sydney, compie invece l’impresa di stabilire quattro nuovi record mondiali in quattro giorni consecutivi: il 22 agosto 1999 registra 3’41,83’’ nei 400 stile libero, divenendo il più giovane nuotatore in grado di battere un record del mondo; il giorno seguente è la volta dei 200 stile in 1’46,34’’; il 24 agosto, sempre nei 200 stile, abbassa il suo stesso tempo a 1’46,00’’; in ultimo il 25, insieme ai compagni Hackett, Kirby e Klim, vince il primato nei 4×200 con 7’08,79’’.
Una potenza sovrannaturale, un talento innato destinato a riscrivere la storia del nuoto. La prima Olimpiade a cui partecipa è nel 2000: non solo si disputa nel suo Paese ma proprio nella sua città natale, Sydney. Quale miglior occasione per affermarsi ancora una volta come il più forte davanti ad amici, famiglia e a tutto il proprio popolo? Thorpe si presenta in ottima forma ed è un assoluto protagonista: oltre a due argenti nei 200 stile e nella 4×100 misti, vince tre ori che rimangono inscritti nella storia. Tra l’incredibile staffetta 4×100 stile. Prima della gara, lo sprezzante americano Gary Hob Junior aveva parlato chiaro: «suoneremo gli australiani come delle chitarre»; benzina ad infiammare una gara tanto sentita.
“Thorpedo” è l’ultimo dopo i connazionali Michael Klim, Chris Fylder e Ashley Callus. Tutti e tre sono davanti agli avversari dall’inizio alla fine, e anche Thorpe parte in vantaggio; nei primi 50 metri, però, si fa raggiungere dal diretto concorrente statunitense. Il sogno sembra poter svanire ma, come spesso nella sua carriera, l’australiano tira fuori il coniglio dal cilindro negli ultimi 25 metri: con un guizzo finale riesce ad assicurare la vittoria alla sua squadra, nel tripudio della folla. Una vittoria storica, dal momento che gli Stati Uniti non erano mai stati battuti in quella disciplina. E un trionfo celebrato dagli staffettisti australiani con la mimica, sbeffeggiante, di chi suona la chitarra.
Seguiranno altre vittorie e altri record, tra cui l’apice dei campionati di Fukuoka del 2001, in cui diviene il primo a vincere sei medaglie d’oro nello stesso mondiale.
La sua vita sembra perfetta, la carriera quella che qualunque sportivo sogna da bambino. Chiunque pagherebbe per assaporare anche solo un decimo della gloria di Thorpe; ma il mondo dello sport, specie nelle discipline individuali, nasconde lati oscuri che rischiano di farti affondare. La mente può giocare brutti scherzi, soprattutto quando sei sempre tu, da solo, a lottare contro te stesso alla ricerca della perfezione. Nel nuoto infatti basta sbagliare la partenza, una bracciata, una virata o persino una fase della respirazione che in un attimo hai perso senza possibilità di recuperare: la ripetizione ossessiva del gesto tecnico è maniacale, e l’esecuzione non concede nessun margine di errore. Anche per questo gestire il proprio equilibrio mentale non sempre è un compito facile.
Un accenno di depressione Thorpe l’avverte in età adolescenziale. Sicuramente è frutto, almeno in parte, della “solitudine” con cui un nuotatore deve convivere quotidianamente. All’epoca tuttavia non è in grado di decifrare questo suo malessere, e solo qualche anno più tardi capisce, a ritroso, di cosa si trattasse davvero. Come tanti prima e dopo di lui, si rifugia per un periodo nell’alcool, abusandone. Ma l’effetto ottundente è effimero, e i postumi del giorno dopo non fanno che peggiorare il suo stato. Il down psicologico raggiunge livelli tali che, come dichiarato da lui stesso, in più di un’occasione si ritrova a pensare al suicidio, raggiungendo il punto più basso della sua esistenza.
In questo contesto il 21 novembre 2006, a soli 24 anni, Ian Thorpe annuncia il suo ritiro.
Uno shock per tutti gli amanti del nuoto e dello sport in generale, ma una decisione totalmente consapevole e quasi liberatoria per lui. Thorpe vuole banalmente riprendersi l’adolescenza che non ha vissuto: ballare, fare festa, socializzare con gli altri e non dover più sottostare alle restrizioni che l’agonismo di massimo livello comporta. Vuole dimenticare il nuoto, almeno per un po’. Nella conferenza stampa ufficiale fornisce una spiegazione molto semplice: «Se un bambino dovesse chiedere ai suoi genitori perché Thorpe si è ritirato, la risposta giusta sarebbe che ho già fatto tutto quello che potevo e volevo fare in questo sport». Ma come spesso accade, a un iniziale periodo di serene gozzoviglie seguono i problemi: una crisi finanziaria, ma soprattutto il ritorno della depressione.
Così, dopo la lunga pausa di riflessione, “lo squalo” capisce che non può fare a meno di quella parte della sua vita. Deve ributtarsi in acqua.
Dopo ben 2.099 giorni dall’ultima competizione, nel novembre 2011 c’è il tanto atteso ritorno in vasca in occasione della Coppa del Mondo. Thorpe è protagonista di buone prestazioni e registra anche dei tempi che fanno ben sperare per le imminenti qualificazioni olimpiche. Tuttavia, con l’avvicinarsi dell’appuntamento, Thorpe sente che qualcosa non va. Lui stesso ammette che l’ansia del pre gara, la stessa che ai tempi d’oro si convertiva in grinta al momento del tuffo, ora gli fa mancare il respiro come se stesse affogando, influendo negativamente sulle sue prestazioni. Infatti, ai trial australiani di marzo ad Adelaide “Torphey”, non riesce a fare i tempi necessari per qualificarsi.
Grazie allo spirito combattivo e alla ritrovata convinzione nei propri mezzi, Thorpe si lascia alle spalle la grande delusione focalizzandosi sul futuro. La sua passione per allenamenti, gare e per tutto il mondo del nuoto è ormai risorta, così il campione con il sorriso decide di proseguire la carriera ponendosi nuovi obiettivi. Purtroppo per lui, però, le disgrazie non erano finite. Nel 2014 deve infatti ritirarsi, e questa volta definitivamente: in seguito a una grave infezione post operatoria, rischia addirittura l’amputazione del braccio sinistro.
Eppure la storia di “Thorpedo” ha un lieto fine. Dopo la grande delusione per non essere riuscito a qualificarsi alle Olimpiadi di Londra, e dopo la paura per la scampata amputazione, riesce a combattere i demoni nella sua testa.
«Nella vita, anche se i sacrifici che hai fatto ti sembrano sufficienti, non sempre può andare esattamente come ti aspettavi».
In quel momento decide di affrontare il futuro con positività e determinazione, trovando una totale serenità interiore che lo porta a compiere un grande passo: nel 2014 fa coming out sulla sua omosessualità, ponendo fine a tutte le fastidiose dicerie e illazioni che lo avevano accompagnato sin dagli inizi della carriera. Più libero e risolto, riesce anche a inquadrare quello che, da lì in avanti, sarebbe stato il suo ruolo su questo pianeta: prendersi cura delle nuove generazioni, trasmettendo ai futuri campioni la quintessenza dei valori che una figura umana e sportiva deve incarnare. Valori che Ian Thorpe, per tutta la sua carriera, ha sempre portato con sé.