Un dilemma è sempre un’ipotesi priva di risposta definitiva. Perché in fondo si scontrano due punti di vista di pari efficacia e grado di veridicità. Spesso un dilemma altro non è che un ingorgo di sentimenti contrapposti. Per trovare la via d’uscita da un’impasse concettuale sarebbe necessario formulare una terza ipotesi e non sempre si può. Nel caso specifico, la domanda è la seguente: alla soglia dei 40 anni Zlatan Ibrahimovic furoreggia in Serie A perché i suoi sono ancora i colpi di un fuoriclasse, oppure lo svedese è l’attuale capocannoniere del campionato solo in relazione a un torneo sempre più livellato verso il basso?
Partiamo dalla fine: in assenza di prove o di prove contrarie, il dubbio rimarrà tale. Ma poiché quella che abbiamo formulato è una domanda che molti si sono posti, possiamo almeno cercare di fare ordine nel campo dei pro e dei contra. Il campione di Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Manchester United, Paris Saint-Germain e a più riprese Milan, è un personaggio talmente divisivo che con molta difficoltà chi lo ama e chi no, potrebbe cambiare idea su di lui. Anche di fronte a evidenze improvvise. Dunque, tanto vale attenersi ai fatti e cercare di leggerli con la massima obiettività possibile.
I PRO
La prepotenza caratteriale (oltre che fisica) di Zlatan Ibrahimović ha spesso offuscato il giudizio sull’attaccante, finendo con il polarizzare ogni cosa intorno alla sua figura. È la forza e allo stesso tempo il limite di uno dei più grandi giocatori della propria epoca. Un fuoriclasse che in sostanza ha avuto soltanto una grave sfortuna: essere giocatore di calcio al tempo di Leo Messi e di Cristiano Ronaldo. Non si può negare che il ritorno in Italia di Ibra sia stato non soltanto un’abile operazione di marketing del Milan, fino a quel momento incapace di risollevarsi dai decenni di gloria della gestione Berlusconi.
Il ritorno del campione è stato uninnesto di personalità in una squadra buona ma di scarso peso caratteriale rispetto agli interpreti del passato, nemmeno tanto remoto. Ma la presenza di un leader varrebbe poco, se non supportata dai risultati. E allora analizziamoli un momento, i risultati, facendo la breve cronistoria di un anno solare (poco meno) con la maglia del Milan. È il 27 dicembre 2019, il covid è soltanto l’ipotesi di un virus sconosciuto e al momento confinato alla Cina. Le prime pagine dei giornali non parlano ancora di terapie intensive e di tamponi, tiene banco una notizia di sport che qualcuno sottovaluta.
Il Milan annuncia un po’ a sorpresa di aver trovato un accordo con Ibrahimovic per un contratto di sei mesi, con opzione di rinnovo per la stagione successiva. L’intesa viene formalizzata cinque giorni dopo. È un colpo di mercato non privo di insidie ma che in termini d’immagine salva la faccia a una dirigenza della quale la tifoseria non è soddisfatta. Il resto è tutto da verificare, Ibra arriva dalla Major League statunitense e i Los Angeles Galaxy non sono certo il Real Madrid. Per questo motivo, la media di un gol a partita non lascia sospettare ciò sta per accadere. Il “figliol prodigo” sceglie la maglia numero 21 ed esordisce al “Meazza” il giorno della Befana 2020.
Milan e Sampdoria pareggiano 0-0 e qualcuno pensa a una sorta di buen retiro, sebbene tutto il merchandising legato allo svedese abbia segnato picchi di vendita assoluti. In altre parole, se la critica è scettica, il tifo sogna. E fa bene, perché nel turno successivo Zlatan (che in serbo-croato significa “d’oro”) ha ripreso confidenza con il gol. Ma non è soltanto quella rete a impressionare: se prima la manovra era asfittica e la squadra appariva depressa, è evidente che anche la sola presenza di Ibra sia in grado di galvanizzare i compagni.
Come per magia, tutti sanno cosa fare: il gioco non migliora di qualità, ma la presenza di un totem diventa il vero punto di riferimento intorno al quale ricostruire. Con la ripresa del campionato dopo il lockdown generale, il Milan sembra la squadra più in forma, insieme con l’Atalanta. E anche il gioco ha già cambiato fisionomia. Intorno a Zlatan risplende la stella di chi fino a quel momento era sembrato procedere a scartamento ridotto. L’ambiente si esalta e la squadra termina al sesto posto. Acciuffa un posto per l’Europa League e se ci fosse stato Ibra fin dall’inizio…chissà.
Poi inizia la stagione 2020-2021 e nemmeno il covid riesce a fermare il numero 21 rossonero. Non più di tanto, perlomeno. Qualche giornata di assenza dovuta a un tampone positivo, ma al ritorno i numeri hanno in sé qualcosa di mostruoso. 10 reti in 6 presenze, più un gol in Europa League che fanno 11. Ma soprattutto la sensazione che contro le sue giocate manchi la contromossa. Non avrà più lo spunto di quindici anni prima, ma la fisicità di Ibra, unita a doti tecniche intatte nel tempo, terrorizza letteralmente qualsiasi difesa.
I CONTRO
Zlatan Ibrahimovic è sempre stato considerato giocatore di grande statura tecnica, oltre che fisica. Tuttavia, nel corso degli anni non è mai riuscito a togliersi l’etichetta di “forte con i deboli, debole con i forti”. Grandi giocate, progressione inarrestabile, agilità corporea dovuta anche al taekwondo (di cui è cintura nera), dribbling secco e tiro potente ma scarsa capacità di fare la differenza nei momenti topici, almeno a livello internazionale. Di essere valore aggiunto, laddove altri campioni sanno essere decisivi.
È così nell’Ajax, squadra con la quale vince due campionati olandesi ma alla quale non sa dare una nuova dimensione internazionale. È così con la Juventus: momenti di calcio straordinario, uno scudetto (poi revocato per i fatti di Calciopoli) ma zero titoli fuori dall’Italia. È così con l’Inter: 4 scudetti, certo, ma in anni di forte livellamento generale, non fosse altro perché in quella fase la Juventus viene retrocessa d’ufficio in serie B e poi fatica a riprendere il suo posto al vertice del calcio italiano. Anzi, a voler essere pignoli, sarà un caso ma l’Inter di Mourinho mette a segno il triplete del 2010 proprio nel momento in cui si libera di lui.
I primi trofei internazionali di Ibra diventano realtà alla soglia dei 30 anni, con il Barcellona. Nel 2009 la squadra catalana vince la Supercoppa UEFA e la Coppa del Mondo per Club, ma sono trofei figli di un successo che non fa parte del palmarès dello svedese: la Champions League, conquistata a Roma il 27 maggio 2009. Anzi, dopo il suo addio il Barca rivince ancora nell’Europa dei grandi trascinato dal gioco collettivo e dalla guida di Guardiola (dominando per giunta la competizione): è il 2010/2011 e i catalani accumulano due Champions in tre stagioni, rigorosamente senza lo svedese.
Intanto Ibra è passato al Milan. Con il passare degli anni è diventato una prima punta a tutti gli effetti, la media gol è alta e lo scudetto 2010-2011 è meritato. Ma anche in questo caso, un fuoriclasse è tale quando c’è un prima e un dopo di lui, anche a livello continentale. E invece il Milan ha smesso di vincere fuori confine, tanto che nel 2012 Ibrahimovic va a giocare nel Paris Saint-Germain, all’interno di una Ligue 1 che presenta un buon livello generale ma che in termini di vertice non prevede alternativa alla squadra della Capitale. E anche qui sono quattro scudetti in altrettante stagioni ma nessuna soddisfazione oltralpe.
Per assurdo l’unica vera gioia europea Ibra la vive durante la sua esperienza meno lineare: con il Manchester United. Non sarà la Champions ma nel 2017 almeno i red devils riescono a mettere le mani sull’Europa League.
Dopo l’esperienza americana, Zlatan torna al Milan. Non è più la serie A di quando giocava con Del Piero, Trezeguet, Cannavaro, Nedved, Thuram, Cambiasso, Crespo, Vieira, Inzaghi, Nesta, Kakà, Seedorf, Pirlo, Ronaldinho. Il nostro sembra piuttosto un movimento alla ricerca di se stesso. La Nazionale ha ripreso pian piano a fare risultati dopo la catastrofe degli anni passati, ci sono campioni stranieri, sia pure di una certa età, ma nulla di paragonabile ai fasti del passato. Le politiche di vivaio languono. Zlatan Ibrahimovic detta legge come prima. Anzi, più di prima e tutto ciò sembra strano. I fans dello svedese impazziscono, i sospettosi sospettano.
Alla fine…
…questi sono gli elementi a disposizione per dare una risposta sensata. Dal nostro punto di vista non ne esiste una giusta o una sbagliata. Esistono le argomentazioni. Esistono l’analisi di un fenomeno e le comparazioni con il passato e con i fuoriclasse contemporanei, semmai. In fondo, se stessimo parlando di Cristiano Ronaldo il tema avrebbe preso un’altra piega. Dell’asso portoghese si potrebbe dire che i due scudetti in altrettante stagioni non rappresentino valore aggiunto, che la Juventus avrebbe potuto vincerli anche senza di lui. CR7 è atteso a ben altra prova del fuoco: la Champions League.
Si potrebbe dire anche che Ronaldo ha segnato molto, ma che la sua media gol non è stata ancora sufficiente per fargli vincere la classifica dei cannonieri in serie A. Quagliarella prima, Ciro Immobile poi. E se quest’anno Ibrahimović si fosse messo in testa di vincere la speciale classifica per la terza volta in carriera, beh, si potrebbe affermare che per Cristiano Ronaldo non c’è due senza tre. Specie se il Milan continuerà a giocare per la sua ape regina. Pardon, re. Su certi argomenti un maschio alfa come Zlatan potrebbe diventare piuttosto permaloso.