Mentre storiche società falliscono, stadi storici vengono abbattuti, mentre il costo dei biglietti continua a salire, mentre le istituzioni fanno di tutto per portare la gente fuori dall’ambiente magico dello Stadio, c’è chi non vuole mollare di fronte a tutto questo. Amico di Antonio Cunazza, mente del progetto Archistadia, Federico Roccio detiene un record speciale, meritevole di una nuova narrazione, specie in tempi poveri di storie autentiche. Per raccontarlo, ha trasmesso alle sue pagine la propria passione; noi lo abbiamo intervistato.
Partiamo dalla tua opera, Il cacciatore di Stadi. Cosa credi che questo libro abbia, in più (al di là dell’incredibile record che qui racconti), rispetto al classico racconto da stadio che ha già avuto ampia fortuna editoriale in passato (celeberrimo l’esempio di Febbre a 90° di Nick Hornby)?
Il mio racconto a differenza di Nick Hornby e del suo Arsenal, è un viaggio che parte sì dal mio trascorso in rossonero, ma che poi diventa una vera e propria avventura in 30 Paesi e 500 stadi. Non è il classico racconto di appartenenza ad una squadra o ad una frangia di tifo, ma una passione che ti porta a scoprire nuove realtà, anche le più sconosciute. Perché girare gli stadi è anche un modo per arricchire la propria cultura. Scoprire usi e costumi di altre nazioni, in alcuni casi di mondi differenti dal nostro. Con il tuo Arsenal, ma come lo stesso Milan, Inter o Juve che sia, non scopriresti mai la quarta serie turca o la serie B lituana. Questo è il cacciatore di stadi, che non si sofferma solamente sulla Champions League o sui derby, ma oltre a questi match cerca sempre di andare a scovare le partite più “cazzute” che ci siano sulla terra! Un esempio: a febbraio sono andato a vedere in Macedonia Rabotnicki-Renova, del campionato macedone appunto.
“Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”, scriveva il grande Albert Camus. Ci sapresti dire qual è l’aspetto che più di ogni altro ti affascina dell’esperienza Stadio?
Lo stadio è tutto. Risposta banale, scontata, ma è la verità. E’ il posto in cui incontri i tuoi amici, per una birra o per quattro risate, lì li troverai sempre. E’ il posto in cui ti permetti di staccare la spina, per le mille rotture di scatole che hai avuto nella settimana appena finita, che sia lavoro, famiglia ecc ecc. E’ il posto in cui provi gioie, dolori, emozioni positive e negative che solo allo stadio puoi vivere. E’ il posto in cui puoi gridare come un pazzo; nessuno ti dirà mai di stare in silenzio! Nel mio caso è anche il posto in cui conosci culture e persone di ogni località del mondo! Quest’estate per esempio al Luzhniki di Mosca, durante Portogallo-Marocco, ho conosciuto un ragazzo australiano.
Di stadi ne hai girati parecchi, di luoghi anche. Sapresti parlarci di una squadra, di una partita o magari di un campionato dove, da esterno, hai percepito uno specifico senso identitario e comunitario?
Ne ho viste tante, di cotte e di crude. Ma credo che due squadre come il Celtic Glasgow e l’OFI Creta, siano difficilmente paragonabili. La prima, bè la prima parla da sola. Ho vissuto due Old Firm, qualcosa di incredibile e indescrivibile. Si preparano il giorno prima bevendo fiumi di birra fino all’ora in cui inizia la partita. Il giorno dopo l’Old Firm è usanza prendere un giorno di ferie da quanto si è hangover. Un mio amico scozzese mi diceva sempre: “Io in chiesa non prego per la mia famiglia, non prego per il mio lavoro… Prego Dio solo perchè vinca il Celtic!”. La seconda invece è quel mix tra ignoranza e romanticismo che si viveva in Italia negli anni ’90. Vi dico solo che un mio amico dell’OFI, prima di un OFI-Panathinaikos, per rubare una bandiera ai tifosi della squadra di Atene si è appeso ad un filo della corrente, folgorandosi un braccio. Robe da pazzi. Ma un Paese così ospitale come la Grecia, raramente mi è capitato di trovarlo nei miei 30, (ad oggi 31).
In Italia ci si lamenta spesso, e a ragione, della mancanza di strutture adeguate, di violazioni di qualsivoglia genere, di libertà concesse solo a metà. Le piattaforme multimediali e televisive stanno prendendo il posto dell’esperienza stadio, unica al mondo, specie tra i più giovani. E mentre gli Ultras rimangono da soli, abbandonati al proprio destino, la passione rischia di morire lentamente. Bandieroni, fumogeni, tamburi, da noi se ne vedono sempre di meno, qualora non siano esplicitamente vietati. Quanto è difficile raccontare alle generazioni d’oggi che una partita allo stadio, con tutto ciò che essa si porta dietro, vale mille volte di più di una semplice partita vista attraverso uno schermo? La situazione credi andrà peggiorando? O c’è ancora margine per riscoprire quest’esperienza originaria?
Difficile? Difficilissimo. Quando ero piccolo, andava bene se potevo giocare una volta alla settimana alla Play Station 1 e qualche partita a Super Mario con il Game Boy in bianco e nero. Oggi nascono con in mano già un IPhone 7, un IPad o un qualsiasi strumento simile a questi. Sinceramente parlando mi fa schifo questa cosa. Mi ricordo quando alle elementari i miei mi mandavano a letto alle 21, e io sotto il cuscino mi tenevo sempre una radiolina che mi aveva regalato mio nonno per ascoltare le partite il sabato e la domenica sera… ma non c’era comunque tutta la Pay-tv di oggi, solamente i più “ricchi” potevano permettersi Tele+.
Oggi invece si nasce guardando Sky o Mediaset Premium. Stesso discorso per lo stadio: quando ero piccolo mio padre mi portava a San Siro, i bambini non pagavano e non avevano bisogno del biglietto. Oggi per comprare un biglietto devi sempre avere dietro un documento d’identità, per non parlare dei prezzi: stadi che cadono a pezzi e ogni anno costano sempre di più. Onestamente non vedo via d’uscita. Quest’anno con l’arrivo di Cristiano Ronaldo nel nostro campionato, penso ci sarà un incremento per quanto riguarda la presenza dei tifosi, ma non è e non deve essere Cristiano Ronaldo a risolvere questo problema. Anche perchè dopo averlo visto giocare una, due partite, facciamo anche una stagione, il gioco è bello che finito. Bisognerebbe ripartire da zero, modernizzando tutti gli stadi (come in Inghilterra) e tenendo prezzi accessibili a tutti (come in Germania).