Calcio
02 Settembre 2019

Il calcio femminile contro le regole base dell'economia

Il professionismo femminile non può salvare il calcio italiano.

E’ innegabile che la cavalcata delle Azzurre al Mondiale di Francia abbia generato un’onda anomala di entusiasmo nei confronti del calcio femminile, finora un sentimento inedito per il nostro Paese. Per quanto oggi possa sembrare esplosa, tale bolla di interesse si era gonfiata tanto da dare voce alle richieste di professionismo per le calciatrici. Alla Coppa del Mondo rosa noi abbiamo preferito una piacevole astinenza, eppure ci sembra doveroso trarre alcune considerazioni su questo tema.

Innanzitutto le sparate da campagna elettorale da parte dei dirigenti federali, insieme agli entusiastici reclami del capitano (o della capitana) Sara Gama, lasciano il tempo che trovano di fronte alla nefasta realtà del calcio nostrano. Ahinoi, al termine di ogni stagione, le tribolazioni finanziare, spesso terminali, che affliggono le squadre italiane impongono alla FIGC di interrogarsi sulla sua stessa sostenibilità. Tuttavia, in un ambiente incapace di garantire economicità ai suoi primi tre campionati, introdurre un nuovo torneo professionistico appare una follia.

Inoltre urge ricordare che in Italia, oltre al Calcio, soltanto altre tre federazioni prevedono il professionismo, ovvero Basket, Golf e Ciclismo, e nemmeno per tutti i livelli. Afflitto dagli atavici mali dell’intero “Sistema Paese”, la condizione indigente dello Sport italiano ci impone un rigido realismo. Romanticamente vorremmo pensare che lo sviluppo del calcio femminile possa essere viatico per un profondo ripensamento del concetto di “Fare Calcio” nostrano, ma lo scheletro che sorregge il corpo del pallone italiano è marcescente.

Ancora, senza dubbio, il calcio femminile italiano può essere considerato in via di sviluppo, soprattutto in termini di praticanti, ma ad oggi rimane arretrato anni luce rispetto a realtà come Francia, USA, Inghilterra e Olanda. Proprio dalla terra dei tulipani giunge un assist per un’eventuale crescita credibile e sostenibile. Infatti le imponenti mani di Edwin Van der Sar, ex numero uno della Signora ed oggi direttore generale dell’Ajax, hanno firmato un accordo che equipara le tutele contrattuali maschili e femminili. Per semplificare potremmo dire un professionismo de facto, ma non de iure.

L’ormai ex Governo si interrogava sulla possibilità di introdurre la figura del “lavoratore sportivo” per districarsi nella complicata diatriba tra dilettanti e professionisti, oggi però, care ragazze, occorre riflettere attentamente su cosa si desidera. Come si dice “chi troppo vuole nulla stringe”, ma non vogliateci male. Guardate come è ridotto il mondo professionistico maschile, siete sicure che ne valga davvero la pena?

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