La polemica è causata dall’ignoranza di tutti i disputanti, diceva Ezra Pound; e come dargli torto. Anche perché sono sempre più sicuro che sia la noia il vero motore del mondo. Bisogna appassionarsi, interagire, esprimere e difendere opinioni di cui forse nemmeno siamo così convinti. Altrimenti che faremmo? Siamo noi che abbiamo scelto di vivere in società, creando la malattia (la noia per l’appunto) e la “cura” (qualsiasi cosa che occupi il tempo, come se il tempo fosse un contenitore da riempire ma vabè, soprassediamo). Schiavi della chiacchiera, del si dice, e anche dell’oggetto del dibattito che viene proposto e rilanciato da altri, e su cui ci sentiamo quasi obbligati ad esprimere un parere. Sono giorni ad esempio che a Roma – e non solo – tiene banco il caso Nainggolan, originato dalle dirette instagram in cui il calciatore giallorosso si mostrava visibilmente ubriaco bestemmiando a più riprese nostro Signore (amen). E allora si è messa in moto la macchina perversa della “comunicazione”, dal vomitus matutinus dei giornali al megafono degli imbecilli rappresentato dai social. Persino i telegiornali gli hanno dedicato un titolo, fra occhi e falangi saltate a Capodanno.
Se venite dalla messa del primo dell’anno non guardatelo, anche se il bip sulle bestemmie potrebbe aiutare
Colpisce innanzitutto l’interpretazione etica del fatto; sì perché ci portiamo avanti nei secoli del secoli questo approccio moraleggiante agli eventi, di deriva cristiana o pseudo-socialista, che crea solo ulteriore confusione. E come spesso accade la morale viene brandita come un’ascia, e impugnata da chi si appella al tribunale etico per sputare veleno. Già oltre un secolo fa Nietzsche parlava dell’invidia (più o meno sociale) che invoca uguaglianza con la maschera della morale; dopo 150 anni la situazione non sembra cambiata, tutt’altro. Non si può paragonare un calciatore milionario con un operaioche non arriva a fine mese, parlando di mancanza di rispetto, semplicemente perché non ha senso. L’operaio ha tutto il diritto a farsi girare i coglioni per la sua condizione, ma questo non vuol dire che il ricco sportivo non possa ubriacarsi a Capodanno per rispetto… è una polemica talmente idiota che solo a riportarla sprofondiamo nell’assurdo. Anche su queste premesse, irrimediabilmente e sempre morali – scusate la ripetizione – si sono create le schiere del Sì e del No come fosse un referendum, dei difensori ad oltranza di Radja e dei boia pronti a condannarlo.
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I primi sostengono che in fondo è un ragazzo come noi, che a Capodanno è permesso esagerare e che fanno fede le prestazioni sul campo (e lì il numero 4 della Roma è inattaccabile); i secondi affermano invece che è irrispettoso per un calciatore che guadagna cifre simili – come se l’aspetto economico c’entrasse qualcosa – comportarsi in quella maniera. Per non parlare della predica sulle bestemmie. Qual è il problema? La bestemmia in sé (allora dovremmo condannare mezza Italia) o il segnale che si dà? Perché dipende dal tipo di segnale di cui parliamo; pensare ai calciatori come personaggi pubblici che devono rispondere ai cittadini o alla macro-categoria dei giovani che si avvicinano allo sport è un’illusione priva di fondamento. Alcuni giocatori ci credono, e il senso di responsabilità è ammirevole, ma non si può pensare che da una presa di coscienza particolare debba necessariamente seguire un codice di condotta generale. I calciatori semmai devono rispondere ai tifosi, e lo fanno con le prestazioni sul terreno di gioco. Poi devono rendere conto ai propri superiori e ai propri colleghi come in ogni luogo di lavoro – ovvero alla società, all’allenatore e ai compagni di squadra – ed è proprio qui che dobbiamo arrivare.
Posto che dell’uomo Nainggolan non ce ne può e non ce ne deve fregare di meno, e che abbiamo abbandonato le categorie morali con le rispettive propaggini – esaltazione del “ragazzo come noi” o condanna del “rozzo arricchito irrispettoso e maleducato”– il punto è un altro. Mettetevi per prima cosa nei panni della società: anche qualora Pallotta e soci fossero dei libertini, abituati all’abuso di alcol e alla bestemmia facile, in ogni caso dovrebbero mandare un messaggio affinché un gesto del genere non si ripeta né venga emulato. Eil problema dell’emulazione a Roma è ancora più sentito che altrove: sappiamo tutti come questa sia una città particolarmente accondiscendente, diciamo così, nei confronti dei desideri e delle voglie dei giocatori. E mettetevi adesso nei panni dell’allenatore e degli altri calciatori della Roma: cosa dovrebbe dire Di Francesco alla squadra? La verità, ovvero che Nainggolan è un essere geneticamente modificato, che può permettersi di ubriacarsi e poi risultare comunque il migliore in campo (come succede da quattro anni a questa parte)? E questa verità come verrebbe accolta dallo spogliatoio? Avrebbero i compagni di Radja l’onesta per ammettere che è effettivamente così, e che loro invece devono tenere la testa bassa e pedalare?
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Infine aggiungiamoci il tema della costruzione di una mentalità vincente, stile Juventus, di cui nella capitale si discorre da anni: il salto decisivo per portare la Roma stabilmente nell’èlite del calcio europeo. Immaginiamo tutti come avrebbero reagito a Torino per una faccenda simile – possiamo avere dubbi sulla cessione del giocatore, non certo sulla tribuna per diverse partite – e proprio quella continuità societaria è stata foriera di successi per la società bianconera. Ecco perché la matassa è più ingarbugliata di quanto possa sembrare, e la disputa morale non fa altro che aggravare la questione. L’As Roma dovrebbe allora ragionare in termini puramente utilitaristici: punire Nainggolan, senza rancore o condanne etiche, ma con una multa salata e la non convocazione almeno per la prossima partita. Poi si vedrà. A meno che non si voglia continuare a far le cose alla romana, permettendo ai calciatori di agire senza mai pagarne le conseguenze (si veda da ultimo il caso De Rossi, passato in cavalleria con una sanzione economica sconosciuta) e perseverando nel non recidere un legame, fin troppo viscerale, tra alcuni giocatori e quella parte dell’ambiente che vive il romanismo come una continua guerra contro il mondo, senza mettersi mai in discussione. La strada per la vittoria, si sa, è in salita ed è tortuosa, ma da qualche parte si dovrà pur iniziare. Prima o poi…